Una delle prime domande che facevo ai miei studenti all’inizio del corso era: “perché digitale?”. Dopo aver chiarito che “digitale” ha a che fare con i numeri e che “digitalizzare” vuol dire rappresentare, descrivere, con i numeri e quindi dopo aver assodato che si “digitalizza” l’informazione, ovvero si rappresenta, si descrive, con i numeri una qualche informazione, la domanda che proponevo, un po’ per accendere la loro attenzione, un po’ per iniziare quel lungo percorso interattivo che è la valutazione degli studenti, era “perché?”, “perché rappresentare con i numeri l’informazione?”, “perché fare tutta quella fatica?”.
Atto primo (Non commettere gli stessi errori)
Quando sono giunto in Parlamento e, occupandomi di digitale ho iniziato a incontrare molti protagonisti sia pubblici sia privati della storia digitale della Pubblica Amministrazione, ho usato la stessa tecnica, anche se l’obiettivo era più legato a chiarirmi le idee. La domanda che ho fatto a quasi tutti era:
“perché non ha funzionato?”
Una delle frasi che ho letto attribuita ad Albert Einstein e che amo particolarmente è “Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose”. Nella storia del percorso verso la pubblica amministrazione digitale è importante capire cosa non ha funzionato, altrimenti le cose non cambieranno.
Atto secondo (Imparare dal passato)
Il giorno che Matteo Renzi raccolse deputati e senatori nella sede del Partito Democratico per parlare di riforma della Pubblica Amministrazione, io gli consegnai un estratto di un documento CNEL del 1981 (avevo otto anni a quell’epoca e iniziavo a programmare in BASIC) in cui si citava il Rapporto Giannini dove era scritto: “non può esistere un corretto processo di automazione della Pubblica Amministrazione senza un contestuale processo di riforma della stessa; e nel contempo che un processo di riforma della Pubblica Amministrazione che voglia essere moderno e produttivo non può prescindere da un utilizzo razionale dell’informatica.”
Più chiaro di così!
Atto terzo (Uomini e non tecnologie)
Dobbiamo smetterla di considerare la sfida della Pubblica Amministrazione Digitale (PAD) un affare tecnologico. Non è un problema di connettività, di data center, di infrastrutture digitali o di ecosistemi. Non è nemmeno un problema di norme.
Mi spiego meglio: la tecnologia, la connettività, le infrastrutture materiali e immateriali, gli ecosistemi digitali e normativi, sono tutti strumenti ed è giusto e sensato cercare di avere gli strumenti migliori possibili, come pure è naturale pensare che con gli strumenti giusti, il lavoro sarà più semplice. In alcuni casi gli strumenti nuovi e più potenti permetteranno di raggiungere risultati migliori e più velocemente ed è importantissimo, lo ripeto per evitare di venir frainteso a scopo polemico, è importantissimo continuare a sviluppare i migliori strumenti possibili, ma io credo che molti dei risultati si potevano raggiungere già con gli strumenti del 1980.
Perché non ha funzionato?
Secondo me perché non abbiamo messo al centro l’uomo.
Non esistono una PA e una PAD. La Pubblica Amministrazione è Digitale, altrimenti non rispetta i principi stabiliti dalla Costituzione che all’articolo 97 stabilisce che gli uffici pubblici siano organizzati in modo da assicurarne il buon andamento e cioè l’economicità, l’efficacia e la rapidità dell’azione amministrativa (e quindi anche l’efficienza). Ora, onestamente, nel 99,99% dei casi è possibile pensare che un dipendente pubblico che non usa il digitale stia assicurando il buon andamento del suo ufficio? Non scherziamo! Usare le tecnologie digitali nella PA è un vero e proprio dovere morale perché è un dovere morale perseguire l’efficienza dell’azione amministrativa!
Allora, perché non lo fanno? Mancano gli strumenti?
Io non credo.
Per lo meno non credo che sia quello il vero problema, anche se è di fronte agli occhi di tutti che molto spesso gli strumenti tecnologici e normativi non siano i migliori, ma è altrettanto vero che andando a vedere le tante eccellenze digitali sparse nel nostro Paese, esistono molte PA che gli strumenti migliori sono riuscite a scovarli e a usarli o qualche volta a costruirli.
Se vogliamo veramente la PAD, iniziamo a focalizzarci sugli uomini, consapevoli che la vera sfida non è tecnologica o normativa, ma di gestione delle risorse umane.
Atto quarto (Tre passi per la PAD)
Il primo passo sono le competenze. Basta col mancato riconoscimento delle competenze professionali nel settore digitale! Non tutti possono operare le persone, non tutti possono costruire edifici, non tutti possono difendere imputati e allora non tutti possono fare i Chief Digital Officer della PA. Smettiamo di raccontare la favola che le conoscenze e le competenze tecniche possono essere demandate ai livelli inferiori. Voi scegliereste come primario di un reparto uno che non sa nulla di anatomia, ma che ha tanti collaboratori a cui può chiedere le informazioni che non ha? Io no!
Le competenze non solo sono fondamentali nella gestione, ma anche nell’interlocuzione con i fornitori esterni. Quale può essere la qualità dei servizi ICT sviluppati da fornitori esterni quando il committente non ha le competenze necessarie per sapere cosa può e deve aspettarsi, se non conosce lo stato dell’arte e non sa valutare la qualità della proposta? Come è possibile per la PA svolgere il ruolo di strumento di promozione dell’innovazione, con la leva del procurement, se il ruolo decisorio è svolto da chi non ha le competenze per “sfidare” i fornitori a spingersi oltre, in una competizione da cui ne trae beneficio in termini d’innovazione e di competitività l’intero settore?
Il secondo passo è il cambio organizzativo. Soprattutto il modo con cui questo cambio deve essere realizzato, perché il digitale fa terribilmente paura quando ti obbliga a cambiare l’attività che sai svolgere e non sai cosa ti toccherà fare. Troppe volte la digitalizzazione dei processi della pubblica amministrazione ha seguito strade sbagliate. La strada top-down in cui un’entità “superiore”, forte della sua autorità, ma debolissima nella sua arroganza che le fa supporre di avere piena conoscenza del dominio da digitalizzare, impone il nuovo modo di lavorare infarcito di tanta tecnologia. Il risultato di questa strategia e’ quasi sempre il fallimento, con tempi di attuazione dilatati, risultati di efficientamento mediocri e clima aziendale terribilmente peggiorato. Una strada di questo tipo, nel migliore dei casi, serve all’ego del decisore politico, o del suo consigliere esperto, e nel peggiore dei casi serve a far contento qualche fornitore “amico”. Non si ottiene così la PAD. E non lo si fa nemmeno con la strategia bottom-… bottom, quella che digitalizza l’esistente senza cambiarlo di una virgola, quella in cui l’esperto di dominio si trasforma in progettista software ed “elettrifica” i processi così come sono. Una strada in cui il fornitore software si ingrassa grazie alle continue richieste di modifiche dovute ad una progettazione sbagliata i cui errori il committente incontra solo nell’operatività quotidiana e tenta di aggiustare di volta in volta, senza mai ricorrere alle competenze giuste.
La digitalizzazione della PA è invece una bellissima sfida che obbliga a ripensare profondamente il lavoro all’interno della PA, facendo chiarezza sugli obiettivi da raggiungere, eliminando le ambiguità, formalizzando le responsabilità e le attività da svolgere. Digitalizzare un processo obbliga a definire chiaramente input e output, capendo bene “perché sto facendo questa attività”, e la risposta non può essere “per prendere lo stipendio a fine mese”. Digitalizzare i processi della PA significa co-progettare, insieme agli stakeholder e agli esperti (veri) di digitale, i servizi cercando di capire come utilizzare al meglio le tecnologie per ottenere servizi migliori e curando particolarmente il processo di transizione in modo da valorizzare le risorse umane coinvolgendole e valorizzandole.
Il progetto di trasformazione della PA in ottica digital first è un grande progetto di riorganizzazione, valorizzazione e riqualificazione delle risorse umane, dove l’aspetto tecnologico è solo nello sfondo.
Il terzo passo è la regia politica. La trasformazione PA-PAD è un’operazione che formalizzando i procedimenti introduce trasparenza e quindi va a toccare quel potere burocratico che trae la sua forza dall’asimmetria informativa. Se grazie alla digitalizzazione permetto ai cittadini di sapere le cose anche senza dover chiedere al funzionario (o all’amico politico), di controllare l’andamento delle pratiche, il raggiungimento degli obiettivi, allora sposto il potere verso i cittadini, proprio come vuole la Costituzione. ”La sovranità appartiene al popolo” e con il digitale e l’aumento di trasparenza che ne deriva, un po’ di quella sovranità, che la macchina burocratica gli aveva tolto, gli viene restituita. La trasparenza e la formalizzazione delle regole, con la possibilità di controllare automaticamente il rispetto delle stesse, rende molto più difficile la corruzione.
La digitalizzazione della PA e’ una operazione di lotta alla corruzione e di riequilibrio democratico e quindi e’ un’azione profondamente politica, altro che tecnica o tecnologica!
Finale
Continuo a pensare che gli strumenti che avevamo già nel 1980 fossero sufficienti, ma questo non significa che sottovaluti la possibilità di affinarli e potenziarli. Sul piano normativo, la recente modifica introdotta in legge di stabilità, che obbliga ad acquistare beni e servizi ICT esclusivamente tramite soggetti aggregatori, in coerenza con il piano nazionale, permettendo di reinvestire in innovazione i risparmi conseguiti, è una leva importante che permette di coordinare e standardizzare, concentrando l’azione su pochi obiettivi comuni. Altre leve importanti potranno venire dalla riforma del CAD e dagli altri decreti di attuazione della riforma della PA. Sicuramente è necessario eliminare dal CAD tutte le norme troppo legate alla tecnologia, spostandole nei regolamenti tecnici, che sono molto più veloci da aggiornare per stare al passo con i tempi. Anche la governance va semplificata, identificando chiaramente le responsabilità e delegando pienamente, senza timore di perdere il controllo.
Ci sono poi alcune modifiche che possono dare un grande aiuto per accelerare il processo PA-PAD: per prima cosa la digitalizzazione del controllo di gestione. Se vogliamo la trasformazione della PA dobbiamo avere gli strumenti per controllarne lo stato di avanzamento. La PAD non è fatta solo di pochi, grandi, progetti, ma di decine di migliaia di azioni di trasformazione da compiere. Obiettivi da definire, da misurare e da controllare, un’attività improponibile se continuiamo a lasciare il controllo di gestione “nascosto” dentro i documenti dei piani di performance degli enti, relegandolo a mero adempimento burocratico. I dati dei programmi, progetti e azioni delle PPAA vanno strutturati e gestiti digitalmente. Gli indicatori di risultato vanno monitorati, confrontati e correlati. I dati del controllo di gestione delle PPAA sono tra i big data più importanti da imparare a gestire.
La seconda cosa da definire sono le sanzioni e chi le commina. Va istituito undifensore civico dei diritti digitali del cittadino, che sia una figura separata dal CDO della PA, che invece ha la responsabilità operativa. Il vecchio CAD è infarcito di responsabilità erariali e dirigenziali, ma poi non c’è nessuno che ne chieda conto. Il nuovo CAD deve dare le leve giuste a chi ha la responsabilità di CDO, misurare i risultati, premiare chi raggiunge gli obiettivi, punire chi non si dà da fare.
La terza cosa da fare è semplicissima a dirsi: basta carta. Non solo nei confronti dell’esterno, ma soprattutto nei processi interni. La carta non è quasi mai necessaria ed è ora di fare lo switch off passando ad una seria gestione documentale. La “copia analogica di documento informatico”, così come la chiama il CAD, deve diventare una rarità assoluta. Ogni volta che vedo nei siti web della PA i pdf scansionati, un po’ stortini, con tutte quelle firme, sigle, e timbri, completamente inutili e penso a tutti i metadati persi in quella operazione, mi vien voglia di proporre il reato di perdita di metadati! Basta carta vuol dire gestione dei fascicoli più efficiente e gestione dei flussi documentali più trasparente. Basta carta, con la gestione per obiettivi e con il BYOD è anche la base dello smart working.
La quarta cosa da fare è aumentare il controllo civico sui procedimenti fornendo al cittadino e all’impresa la possibilità di controllare online lo stato di avanzamento delle proprie istanze, di sapere chi è il responsabile del procedimento, quali sono i termini entro i quali si ha diritto ad una risposta e cosa fare (e come farlo, in modo semplice) se i propri diritti non vengono rispettati. Il fastidiosissimo classico in cui si chiede qualcosa alla PA e poi non se ne sa più nulla, non può esistere in un mondo connesso. Nelle linee guida dei servizi della PA, per renderli compatibili con Italia Login, dovranno assolutamente essere presenti la funzione di “stato di avanzamento” e di “feedback” in modo da poter usare i dati, collegandoli al controllo di gestione, per la valutazione.
Più importante in assoluto, però, è che bisognerà usare gli strumenti, non solo definirli; passare all’esecuzione, con in mente, chiaro, l’obiettivo di una trasformazione che è principalmente culturale.
(Il sipario per adesso non lo chiudiamo. C’è ancora moltissimo lavoro da fare…)