Supply Chain agile

Coronavirus, logistica in crisi: così le aziende possono limitare i danni

L’emergenza coronavirus ha generato il rallentamento o addirittura il blocco delle attività logistiche e produttive, ma può diventare un’occasione per le aziende per ripensare il proprio modello di supply chain. Di fronte a questo e altri fattori di rischio, si può aumentare la resilienza. Ecco come

Pubblicato il 26 Feb 2020

Alberto Proverbio

Associate Partner VPS

Logistics-Shipping-Technology

E’ allarme per le filiere logistiche produttive in queste ore, per colpa del coronavirus.

Prima ancora di scombussolare il nostro Paese, l’epidemia stava già infatti impattando in modo pesante sulle catene di fornitura e di supply chain a livello mondiale, anche nell’industria tecnologica: Apple ha già segnalato il rischio di riduzione disponibilità degli iPhone. Le strategie di business continuity si dimostrano essenziali, ma la situazione di crisi può essere anche colta come opportunità per passare a modelli di supply chain più agili e moderne.

L’impatto del coronavirus sulla supply chain

Il problema globale sulle catene di fornitura è dovuto, com’è ovvio, al fatto che l’epidemia di coronavirus sia esplosa a Wuhan, nella provincia di Hubei: un importante hub industriale e di trasporto delle merci nella Cina centrale. Per questo motivo, ha repentinamente iniziato a ostacolare gravemente le operazioni logistiche, il trasporto di merci, le attività produttive. Si sono riscontrati gravi ritardi nelle spedizioni di merci e un pesante impatto sulla produzione industriale in tutta la Cina, in settori come l’automotive, le forniture farmaceutiche e mediche e il manufacturing hi-tech.

Secondo quanto riportato da TrendForce, l’intera produzione mondiale di smartphone dovrebbe crollare del 12% in questo primo trimestre del 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019. Apple ha pubblicato una nota per i propri investitori, in cui ammette che sarà impossibile raggiungere gli obiettivi di fatturato anticipati lo scorso gennaio, in occasione della periodica pubblicazione dei risultati finanziari. Secondo quanto riferito da Bloomberg, FCA ha previsto di sospendere l’attività nello stabilimento di assemblaggio in Serbia che produce la Fiat 500L, per carenze nelle forniture di componentistica dalla Cina. Inoltre, in Cina si produce la gran parte dei principi attivi necessari per la produzione di un’ampia tipologia di farmaci: quindi il mondo rischia di andare incontro anche ad una carenza di farmaci.

Quindi oltre al rischio di contagio, l’epidemia comporta anche questo non trascurabile impatto economico: il rallentamento o addirittura la fermata delle attività logistiche e produttive. Un impatto che ora, come sappiamo, potrebbe ulteriormente estendersi anche ad altri paesi, come la Corea del Sud e, purtroppo, l’Italia.

Altri fattori di rischio per la logistica

E teniamo conto che il coronavirus è solo uno dei tanti fattori di rischio che possono impattare le supply chain a livello mondiale.

Altri esempi, peraltro recenti, sono la Brexit, la guerra commerciale di dazi Usa-Cina, disastri naturali come alluvioni, uragani, terremoti, i “cyber-attack”, i cambiamenti delle normative, la volatilità della domanda, il cambiamento delle esigenze dei consumatori, gli obiettivi di decarbonizzazione e di sostenibilità ambientale.

Le catene di fornitura, le supply chain, sono sempre più complesse e interconnesse a livello globale e quindi risultano potenzialmente più fragili, in quanto impattate sempre più spesso da eventi e fattori di rischio e volatilità sia a livello globale che locale: fattori di rischio che sono, peraltro, anch’essi in crescita.

Come garantire la business continuity

In questo contesto, per garantire la necessaria “business continuity” e quindi la sostenibilità dell’attività operativa, la risposta delle aziende deve essere indirizzata a:

    • avere una supply chain agile, con capacità di reagire rapidamente agli eventi esterni, monitorata e guidata da una supply chain Control Tower che, abilitata da leve organizzative tattiche e strategiche, sappia raccogliere dati dal campo in tempo reale e, attraverso analitiche avanzate e simulazione di scenari alternativi, supporti nel prendere decisioni sia sul breve che sul medio periodo (per esempio, attivando fornitori alternativi, modificando un piano di produzione, spostando attività produttive da un impianto all’altro, creando buffer di stock, rivedendo il “footprint” produttivo)
    • sviluppare una cultura e una capacità di supply chain risk management in grado di identificare, classificare e gestire i principali rischi, basata su analitiche avanzate e pianificazioni di scenario. Gli eventi di rischio saranno valutati in base all’ampiezza del loro impatto sul business e alla possibilità di anticipare e prevedere l’evento stesso e, per ogni evento, dovrà essere previsto un possibile approccio per minimizzarne l’impatto (per esempio, aumentando o riducendo la quota di fornitori locali). È inoltre necessario che sia attivato un processo di monitoraggio continuativo dei possibili eventi di rischio. In questo modo è possibile spostare le attività di Risk Management dal mondo della compliance a quello del business e trarne reale valore competitivo.
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Una torre di controllo della catena di approvvigionamento globale

L’insieme di questi approcci viene abilitato e facilitato dalla costituzione di una singola piattaforma digitale per il controllo della catena di approvvigionamento globale (Global Supply Chain Control Tower): si tratta di uno Shared Service Center con una squadra di esperti di supply chain e “data scientist”, caratterizzato da una serie di capacità:

  • raccolta dati in tempo reale da tutti i nodi della supply chain estesa (stabilimenti produttivi, fornitori, contract manufacturer, centri di distribuzione, operatori logistici, clienti, ecc.)
  • gestione di grandi moli di dati (Big Data)
  • visibilità estesa sulla filiera e dashboard di controllo
  • analisi dei dati raccolti attraverso analitiche avanzate di tipo reattivo (es. alert di fronte a situazioni criticità), predittivo, prescrittivo (es. logiche di machine learning)
  • simulazioni e valutazioni di scenari alternativi, inclusi scenari per gestire eventi di rischio
  • decisioni sulla base dei dati raccolti e degli scenari elaborati

Una Supply Chain Control Tower deve essere progettata per risultare distribuita su più posizioni, con gruppi di esperti che hanno accesso agli stessi dati e possono lavorare facilmente anche in modalità smart working (da remoto). Costruire una Control Tower efficace è dunque un progetto strategico per qualsiasi organizzazione e più l’impresa ha stabilimenti e fornitori in diversi paesi, più diventa centrale il suo ruolo: quello di aumentare la reattività e la resilienza della Supply Chain.

La creazione di Supply Chain Control Tower Globali richiede la messa in atto di nuove capacità e nuovi processi a livello non solo di singola azienda ma di rete di aziende e di ecosistema: ha impatti organizzativi e richiede competenze distintive e nuove professionalità. Infine, necessita la disponibilità di una piattaforma applicativa che, facendo leva sulle nuove tecnologie quali IOT, cloud, big data, machine learning, sia in grado di acquisire i dati dal campo, analizzarli, mostrarli, supportare le decisioni.

Il mercato è in grado di offrire già piattaforme applicative di questo tipo, focalizzate sulla supply chain e la collaborazione lungo tutta la filiera, che rendono possibile portare avanti iniziative pilota in tempi rapidi.

E’ comunque consigliabile partire da modelli semplici, fare esperienza sul campo attraverso la fase pilota e, col tempo, far crescere il modello in termini funzionalità applicative, complessità delle logiche e implicazioni sul business.

La crisi innescata dal coronavirus, affrontata dal punto di vista del business, può diventare un’occasione per le aziende per ripensare il proprio modello di supply chain, sviluppando una maggiore sensibilità al risk management, costituendo vere e proprie control tower per il monitoraggio e la comprensione dei fenomeni dispersi lungo le filiere (sempre più globali), sviluppando lo Smart Working anche come misura cautelativa in casi di necessità e ripensando al footprint industriale, cioè valutando l’ipotesi di spostare e/o ridondare anche in Occidente alcune delle produzioni attualmente svolte solo in Cina.

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