L’emergenza derivante dall’epidemia Covid-19 rischia di aumentare in modo esponenziale la frammentazione dei dati sanitari, con tutte le conseguenze che questo comporta, sia in termini di contrasto all’emergenza stessa, sia in un’ottica di più lungo periodo del sistema sanitario nel suo complesso.
Una situazione che arriva da lontano ma che rischia, quindi, di aggravarsi ulteriormente. Fotografiamo lo stato dell’arte, l’impatto dell’emergenza e le possibili soluzioni.
La frammentazione dei dati sanitari
I sistemi informativi delle aziende sanitarie sono in massima parte strutturati secondo architetture “a silos” con applicazioni diverse, debolmente interconnesse fra di loro ed operanti su basi di dati fornite da fornitori diversi, eterogenee dal punto di vista tecnologico e di contenuto informativo.
Di conseguenza il patrimonio informativo risulta frammentato ed i dati – clinici e organizzativi – dei pazienti sono distribuiti in contesti diversi (es. cartelle cliniche specialistiche, cartelle ambulatoriali, sistemi dipartimentali, sistemi di supporto alla ricerca, archivi di big-data, etc.).
Questa frammentazione dei dati in contesti diversi, anche in cloud e gestiti da fornitori diversi, rende difficile, se non impossibile:
- dal punto di vista clinico: presentare un quadro complessivo dello stato di salute del paziente per assicurare la massima fondatezza delle decisioni cliniche e per attivare quei meccanismi di monitoraggio e quelle segnalazioni di alert riscontrabili dalla correlazione di diverse informazioni (es. co-morbilità, allergie…).
- dal punto di vista economico e della continuità del percorso di cura: assicurare la continuità dei processi, evitando trascrizioni manuali, hand-over verbali o cartacei, pianificare ed ottimizzare le risorse necessarie al controllo di gestione, specialmente in un contesto distribuito e di collaborazione sul territorio.
- dal punto di vista della protezione dei dati: adempiere a tutte le disposizioni del Regolamento, non solo in termini di criteri e livelli uniformi per la sicurezza ed il controllo sugli accessi e sull’utilizzo dei dati personali, ma anche relativamente al diritto dell’interessato all’ottenimento ed alla trasportabilità dei propri dati.
- dal punto di vista della prevenzione e della ricerca: disporre di un patrimonio informativo, coerente ed il più ampio possibile, necessario per eseguire -nel rispetto della normativa- analisi statistiche, epidemiologiche e di ricerca.
- dal punto di vista della dipendenza dai fornitori delle diverse applicazioni ai quali bisogna rivolgersi -con i conseguenti oneri in termini di tempi e di costi- ogni qual volta sia necessaria l’acquisizione di dati di interesse, fino a configurare fenomeni di “vendor lock-in” evidenziati anche dal “Quadro europeo di interoperabilità – Strategia di attuazione” ([1]) e dalle “Linee guida 8” dell’Autorità Nazionale Anticorruzione ([2])
L’evoluzione dei modelli di cura ed assistenziali verso forme sempre maggiormente rivolte alla deospedalizzazione ed alla collaborazione di diversi attori nell’ambito di percorsi, composti di diversi episodi e forme di interazione incentrate sulla persona, insieme all’evoluzione tecnologica (inclusa la telemedicina ed i dispositivi, IoT) e al proliferare di prodotti e soluzioni specializzati per specifiche esigenze, porta ad aumentare sempre di più questa frammentazione dei dati, che diventano sempre più settoriali e circoscritti ad attività specifiche e registrati secondo tecnologie diverse e con modelli sintattici e semantici diversi, quasi sempre proprietari.
L’impatto della situazione di emergenza Covid-19
La necessità di rispondere in tempi immediati ad esigenze contingenti dettate dall’emergenza Covid-19 porta all’implementazione di soluzioni indipendenti ed autonome rispetto ai sistemi esistenti, mettendo inevitabilmente in secondo piano gli aspetti di integrazione ed omogeneizzazione dei dati sia all’interno delle singole aziende che su scala regionale e nazionale.
Basta ricordare che la “Fast Call” lanciata dal Ministero fra il 24 e il 26 marzo ha avuto oltre 800 risposte relative ad app distinte ed indipendenti, di cui circa 300 per il telemonitoraggio e oltre 500 al supporto di “attività di telemedicina”.
Lo scenario risultante può essere schematizzato come in figura 1.
Figura 1 – La frammentazione dei dati in applicazioni e sistemi diversi, con strutture e basi dati spesso inaccessibili e proprietarie
Senza considerare le tecnologie per l’analisi degli spostamenti basate su dati anonimizzati forniti dagli operatori telefonici, le soluzioni di telemedicina implementate e/o in fase di implementazione per far fronte a questa emergenza possono essere sinteticamente classificate in tre categorie principali, in relazione alla loro finalità;
- Evidenziazione precoce dei casi di possibile contagio;
- Cura e monitoraggio dei pazienti positivi, nelle fasi di pre- e post-ospedalizzazione
- Assistenza, cura e monitoraggio domiciliare dei pazienti “ordinari” (in particolare pazienti cronici e/o fragili), allo scopo di evitare affollamenti e rischio di infezioni nelle strutture ambulatoriali.
Come emerge da uno studio in corso presso il Laboratorio sui sistemi informativi sanitari dell’ALTEMS, le strategie adottate sono molto diversificate sia fra le diverse regioni che fra le singole aziende della stessa regione. Variano dai soli contatti telefonici con i pazienti, all’utilizzo di strumenti informatici già esistenti e già in uso (essenzialmente nell’ambito dei servizi sociali) adattati per raccogliere ulteriori dati, all’utilizzo di strumenti di comunicazione conosciuti ed immediati anche per i pazienti (es. Skype), all’acquisto di nuove piattaforme ed app separate dai contesti esistenti o allo sviluppo di nuove soluzioni più organiche, che però richiedono tempi non immediati per l’implementazione e la formazione.
Un modello comune per organizzare ed integrare i dati
Prescindendo dalle difficoltà, che inevitabilmente emergeranno al termine della situazione di emergenza, per “mettere a sistema” queste nuove soluzioni nell’ambito dei processi clinico-organizzativi, questo scenario ha conseguenze anche nell’immediato sia dal punto di vista della cura ed assistenza al paziente, che per quanto riguarda la possibilità di analisi statistiche ed epidemiologiche su più vasta scala.
Per quanto riguarda l’assistenza al paziente, diventa ancora più frammentato -sia all’interno dell’azienda che per gli altri attori sul territorio coinvolti nel processo di valutazione, cura ed assistenza- il quadro completo e dettagliato del paziente, tanto più importante in caso di cronicità e co-morbilità.
Per quanto riguarda le analisi ed elaborazioni che richiedono la correlazione di informazioni diverse ai fini del monitoraggio e della prevenzione, è necessaria, ogni volta, la realizzazione ex-novo di flussi di esportazione dai diversi sistemi interessati e la realizzazione di una base dati “ad hoc” nella quale far convergere i dati di interesse e sulla quale eseguire poi le elaborazioni necessarie (statistiche, AI, etc.).
Operando ogni azienda su patrimoni informativi diversi sia dal punto di vista dei contenuti che dal punto di vista della struttura dei dati, i risultati delle elaborazioni effettuate dalle singole aziende a livello locale sono difficilmente comparabili. Risulta inoltre difficile (e rischioso) lo scambio dati fra le singole aziende e la loro integrazione a livello regionale e poi nazionale.
Questa situazione determina anche che le applicazioni (analisi, algoritmi, AI, etc.) realizzate localmente non sono direttamente riusabili in altri contesti, con conseguenti limitazioni dal punto di vista delle possibilità prevenzione e monitoraggio a livello regionale e nazionale (oltre alla frammentazione e non capitalizzazione degli investimenti effettuati).
Per ovviare a questi problemi è necessario adottare un modello di riferimento comune (un Clinical Data Repository, come in figura 2), che sia utilizzabile all’interno delle singole aziende per far confluire e normalizzare – come nel datawarehouse amministrativo – i dati dettagliati dei vari sistemi, in modo sia da renderli disponibili a tutte le applicazioni che ne abbiano necessità per la cura del paziente e sia per eseguire le analisi statistiche ed epidemiologiche.
Figura 2 – Il Clinical Data Repository secondo un modello comune per integrare i dati e renderli usabili sia per la cura del paziente che per le analisi aggregate
Purtroppo, né a livello regionale né a livello nazionale, è formalizzato tale modello di riferimento che permetta ad ogni azienda di operare in autonomia dal punto di vista applicativo e tecnologico, ma assicuri nel contempo la compatibilità e l’ integrabilità dei dati su scala maggiore e permetta anche di trasferire ed applicare immediatamente in diversi contesti applicazioni, algoritmi e servizi realizzati localmente, senza richiedere i tempi, i costi e le incertezze derivanti dall’operare su dati organizzati in modo differente.
Vale infatti evidenziare che, ai fini delle analisi richieste per contrastare il contagio, della prevenzione e del monitoraggio del paziente, sono necessari i dati elementari disaggregati e non possono quindi essere sufficienti quelli contenuti
- né nei flussi informativi standard (ricoveri, specialistica ambulatoriale, farmaci, etc.), che contengono solo dati di sintesi sui vari episodi;
- né nel fascicolo sanitario elettronico, essenzialmente basato su documenti (PDF non elaborabili da strumenti automatici) e non su dati elementari, per di più implementato in modo non omogeneo dalle varie regioni ed alimentato in modo parziale nei diversi contesti.
Il Clinical Data Repository secondo lo standard ISO
Già prima della emergenza Covid-19, all’inizio del 2019, è stata avviata l’iniziativa “Community per il governo dei dati” , promossa da
- la Fondazione Sicurezza in Sanità;
- la Direzione Generale per la Vigilanza e la Sicurezza delle Cure del Ministero della Salute;
- l’ALTEMS, Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica del Sacro Cuore;
- il Dipartimento di Ingegneria Informatica, Automatica e Gestionale “A. Ruberti” dell’Università Sapienza;
- l’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico Milano;
- l’Italian Community di HIMSS.
con l’obiettivo di facilitare la collaborazione fra aziende sanitarie, istituzioni ed enti di ricerca nella condivisione di metodologie, esperienze e strumenti software non proprietari per l’integrazione, la protezione, la sicurezza e l’utilizzo dei dati, sia all’interno delle singole aziende sanitarie che nei contesti di collaborazione per la continuità di cura sul territorio.
Nel contesto di questa collaborazione, è stato valutato che un modello dati che consenta l’integrazione di tutte le informazioni cliniche ed organizzative è stato definito già dagli anni ’90 in diverse iniziativa di standardizzazione italiane ed europee per essere poi formalizzato nella Parte 2 dello standard internazionale UNI-CEN-ISO 12967:2009 “Health Informatics – Service architecture”
Sulla base di questo modello standard è stata progettata e realizzata -in una logica open-source- la struttura di una base dati (“Clinical Data Repository”) in grado di normalizzare ed integrare tutti i dati. La documentazione dettagliata e gli strumenti software per la implementazione di tale base dati, nell’ambiente tecnologico dei principali DBMS in commercio, sono quindi disponibili gratuitamente ad aziende sanitarie, istituzioni e strutture industriali.
- https://ec.europa.eu/isa2/eif_en ↑
- delibera numero 950 del 13 settembre 2017 ↑