Agenda Digitale dimenticata dalla politica? Il “digitale” interessa o non interessa?
È chiaro che in questi giorni politicamente convulsi il digitale è passato in secondo piano.
A parer mio, una visione più digitale avrebbe consentito processi trasparenti e inclusivi anche a supporto di alcune scelte e decisioni importanti quale, ad esempio, la scelta dei candidati alla Presidenza della Repubblica. Forse sono ingenuo ad affermare ciò.
Il sondaggio sul portale del MoVimento 5 Stelle per definire il candidato M5S è stato criticato per mancanza di trasparenza (!) e poca rappresentatività. Circa la rappresentatività mi piace ricordare la regola (non regola) del 1 + 9 + 90 che disegna il comportamento sui media sociali: 1 pubblica una notizia (scrive un post), 9 la commentano o la condividono, 90 la leggono e basta. Questa regola sottolinea un approccio culturale ancora molto analogico. L’evoluzione al digitale è un processo sicuramente lungo e complesso e deve essere agevolato dalla politica che deve interpretare i driver e trasformarli in processi e organizzazione. Il M5S si sta muovendo in questa direzione utilizzando la rete per includere i cittadini in processi decisionali nel governo del territorio (Parma per esempio e il progetto Parlamento Elettronico in rool-out in queste settimane), accorciando la distanza tra cittadino (attivo) e politico (cittadino eletto).
La mia sensazione è che il Governo Letta non sia così proteso a sostenere questo cambiamento. Vedendo il “braccio di ferro” tra PD e PDL per l’assegnazione di poltrone e responsabilità, mi viene da pensare che il focus sia ancora sulla detenzione dei luoghi di potere e non su come agevolare il processo di concretizzazione dell’Agenda Digitale.
Nelle aziende l’ICT decide le politiche digitali aziendali di concerto con il management.
Così nel Governo si dovrebbe individuare una figura (anche un “visionario”), alle dirette dipendenze del Presidente del Consiglio, responsabile delle politiche digitali e che abbia l’autorevolezza necessaria per coordinare anche i ministeri “pesanti”, come Mise e Miur, le strategie delle Regioni e degli enti locali.
L’Agenzia per l’Italia Digitale diventa il braccio operativo che concretizza le scelte governative.
La frammentazione tra Miur, Mise, Funzione pubblica, … sulle deleghe dell’Agenda Digitale fanno perdere efficacia all’azione del Governo, già viziata da un ritardo di 2 anni.
Ci sono peraltro alcuni temi assolutamente scottanti nell’area Comunicazioni.
La gestione delle frequenze, per esempio che non può essere di competenza di politici di “area Mediaset”. Occorre sistemare le questioni relative allo spettro delle frequenze e valorizzarle correttamente con un orizzonte superiore ai cinque anni, fornendo così più certezze agli operatori, e garantendo allo Stato maggiori entrate. Parallelamente intervenire sulla Rai, Azienda di Stato, impostando un piano industriale strategico, guardando a cosa sta succedendo nel mondo sul tema OTT TV, per esempio. Allora perché non dividere la Rai che raccoglie la pubblicità sul mercato e privatizzarla? E quindi perché non assegnare alla RAI “rimanente” un multiplex di servizio pubblico, con quattro-cinque canali dei quali, uno generalista e altri tematici e di info-tainment, tipo Rai Scuola o Rai Storia, tutti finanziati solo con il canone e senza pubblicità?
Temi forti, attuali e complessi che devono essere affrontati con un processo decisionale trasparente e inclusivo. Gli “addetti ai lavori” lo chiedono a gran voce e sono stanchi di questo traccheggiare tipico della vecchia politica. Chiediamo al nuovo Governo un gesto forte per accorciare la filiera, includere i cittadini, ridare credibilità.