Dal diritto di accesso a internet al diritto a una internet neutrale. Il piano delle norme sta seguendo questa evoluzione e la proposta di legge di Stefano Quintarelli, sulla neutralità della rete, che in settimana passa alla Camera, si iscrive in questo contesto.
Vediamolo, per comprendere i passaggi in corso.
Il diritto di accesso ad Internet può essere considerato una nuova situazione giuridica volta a garantire la possibilità di avere un accesso effettivo ad Internet. Ciò sul presupposto che questo sia ben più di un mezzo di comunicazione bensì un luogo, una dimensione in cui esercitare diritti, adempiere doveri ed usufruire di infiniti servizi.
In quest’ottica, il diritto di accesso ad Internet si pone come porta d’ingresso al nuovo mondo del cyberspazio, presupposto per l’esercizio di qualunque diritto e attività nella nuova società digitale. Vista la tendenza verso un utilizzo sempre più pervasivo di tecnologie digitali, l’accesso ad Internet viene infine considerato come il diritto di partecipare alla vita della società.
Semplificando un’elaborazione giuridica complessa, l’importanza di tale diritto è connaturata all’uso sempre più intenso che facciamo di Internet. Su Internet esercitiamo tutti i diritti (dalla libertà di espressione e il diritto di informazione, all’istruzione e iniziativa economica; tutto questo rientra nel concetto di cittadinanza digitale). Su Internet ci informiamo, studiamo, lavoriamo, giochiamo, ci curiamo, acquistiamo beni, paghiamo bollette, entriamo in contatto con la PA, ci difendiamo in giudizio, svolgiamo attività d’impresa. In una parola, viviamo anche su Internet.
L’importanza di Internet è tanto più evidente se la si pensa al negativo: non essere connessi vuol dire essere tagliati fuori dal mondo.
L’impossibilità di connettersi ad Internet si risolve in una grave discriminazione sociale. Non potere accedere alla Rete vuol dire esercitare i propri diritti in maniera limitata, degradata rispetto alle attuali possibilità. Si consideri che Internet soddisfa esigenze importanti anche per categorie in difficoltà, per esempio i migranti per i quali la connessione è il primo e a volte unico canale di comunicazione con familiari o conoscenti.
L’impoverimento di un ordinamento come il nostro deriva anche dal ritardo digitale, ripartito tra digital divide strutturale, ossia il discrimine tra chi vive in zone raggiunte dalla banda larga e chi no, e il digital divide (o anche analfabetismo) culturale, ossia il discrimine tra chi ha le competenze e conoscenze necessarie per usare adeguatamente tali tecnologie e chi no.
Ecco perché Internet, o la conoscenza disponibile in Internet, è stato definito un bene comune fondamentale come l’acqua, uno strumento di democrazia.
Il riconoscimento giuridico dell’accesso ad Internet, avvenuto in diverse parti del mondo con modalità diverse, tanto in via legislativa che giudiziaria, deriva dalla necessità di porre regole a tutela di tutti affinché né lo Stato (si pensi a regimi autoritari che censurano la Rete) né soggetti privati economicamente più potenti possano impedire, limitare, alterare l’accesso a un bene comune tanto importante.
Anche l’Italia ha le sue esperienze a riguato. Dall’art. 21-bis di Rodotà all’attuale proposta Costituzionale sull’accesso ad Internet come diritto sociale, l’art. 34-bis. Ancora, la Dichiarazione dei diritti in Internet elaborata dalla commissione disposta dalla Presidente della Camera dei Deputati Boldrini e presieduta da Rodotà.
Di rilevanza strategica è poi l’attività dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni volta a fare della banda larga un servizio universale.
Si segnala infine, la proposta di inserimento di accesso ad Internet nello statuto Siciliano, l’art. 33-bis.
Queste proposte non solo garantiscono il diritto di accedere alla Rete ma lo fanno in base al principio riconosciuto dal Regolamento 2015/2120: la neutralità della Rete.
Tale principio, quasi un’applicazione del principio di uguaglianza al Cyberspazio, stabilisce che il traffico dati on line sia trattato in modo uguale. Si vieta ai fornitori di servizi di accesso ad Internet di discriminare, in qualità o velocità, contenuti, applicazioni o servizi offerti. Di non rallentare per finalità di lucro la circolazione dei dati in Rete, ossia di ogni nostra informazione e servizio di cui facciamo uso: la nostra vita digitale.
Si vuole evitare così l’eccessiva concentrazione di potere in capo a pochi soggetti privati, come i fornitori di servizio di accesso ad Internet. Questi, perseguendo un loro legittimo profitto, in assenza di alcuna regolamentazione potrebbero favorire, e quindi velocizzare, i servizi di un certo fornitore di contenuti. Di contro, gli altri verrebbero rallentati. Ciò provoca un’alterazione del naturale funzionamento della Rete a discapito dei soggetti deboli: dai cittadini e utenti finali a nuovi imprenditori che vorrebbero entrare sul mercato, a fornitori di servizi concorrenti. Il tutto comporterebbe la violazione non solo di diritti come l’informazione o la libera scelta dei servizi, ma anche l’attività di impresa, falsandone la concorrenza.
Collegare il diritto di accesso ad Internet al principio di neutralità della Rete garantisce condizioni di effettiva uguaglianza anche online.
È questo l’intento del regolamento UE da poco in vigore. L’art. 3 afferma che gli utenti finali abbiano il diritto di accedere a informazioni e contenuti tramite il servizio di accesso a Internet.
Dando quindi come presupposto l’accesso ad Internet, si passa ad alcune norme di principio sulla Net Neutrality. Tra queste lo Zero rating, che non è proibito sic et simpliciter ma nella misura in cui non garantisca la libertà di scelta dell’utente.
Per la specificazione di tali principi però, si demanda al BEREC, con la collaborazione delle autorità nazionali, di stabilire gli orientamenti e le linee guida necessarie.
Sebbene sia una normativa che ha suscitato forti dibattiti, soprattutto in relazione a quella americana dalla Federal Communications Commission, è comunque un’importante passo avanti. Tanto più perché è direttamente applicabile nei vari stati membri, compresa l’Italia.
Italia che proprio oggi voterà la sua normativa in materia di Net Neutrality, quella della proposta di legge n. 2520/2014 di Stefano Quintarelli. Tale proposta, oggetto di analisi della Commissione IX (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera dei Deputati, grazie anche all’audizione dei vari stakeholder, compresi i cosiddetti Over the Top, introduce disposizioni in materia di fornitura dei servizi della rete Internet col fine diretto di tutelare valori importanti per la dimensione digitale quali la concorrenza ma soprattutto la libertà di accesso.
Nel fare ciò la normativa si concentra in particolare proprio sul principio di neutralità della rete, inteso come quell’aspetto di Internet che ne ha determinato il successo, ossia “la possibilità per i nuovi fornitori di servizi di mettersi in concorrenza con i più grandi operatori con un investimento anche relativamente modesto e di incentivare, così, un’innovazione competitiva fortissima e produttrice di enormi benefìci per gli utenti”.
Dunque, in estrema sintesi la presente normativa, vieta ai fornitori di accesso di offrire pacchetti per accedere solo a una parte di internet, stabilisce i limiti della gestione del traffico praticabile dagli operatori nel rispetto del principio del «normale» accesso a internet (cosiddetto «best effort») e della libera scelta dell’utente, e stabilisce il diritto degli utenti di reperire liberamente contenuti, servizi e applicazioni legali, su qualunque piattaforma, senza alcun condizionamento da parte del gestore della piattaforma stessa.
Ecco quindi che l’Italia non è indietro in queste tematiche. Dà anche lei il suo contributo in materie sempre più di rilevanza strategica per lo sviluppo del Paese, anche se, questi temi, non sono purtroppo ancora avvertiti come prioritari.
Tale discussione sulla normativa in materia di neutralità della Rete sembra ancora lontana dall’essere considerata prioritaria per il Paese.