Il dottor Annthok Mabiis ha annullato tutte, o quasi, le memorie connesse della galassia per mezzo del Grande Ictus Mnemonico. “Per salvare uomini e umanidi dalla noia totale, dalla Sindrome della Noia Assoluta”, perché le memorie connesse fanno conoscere, fin dalla nascita, la vita futura di ciascuno, in ogni particolare. La Memory Squad 11, protagonista di questa serie, con la base di copertura su un ricostruito antico bus rosso a due piani, è incaricata di rintracciare le pochissime memorie connesse che riescono ancora a funzionare. Non è ancora chiaro se poi devono distruggerle o, al contrario, utilizzarle per ricostruire tutte quelle che sono state annientate, se devono cioè completare il lavoro del dottor Mabiis o, al contrario, riportare la galassia a “come era prima”.
“Sono ventisei ore e quarantatre minuti che stanno discutendo! Devono avere addosso memorie connesse funzionanti… non resisterebbero così a lungo…” calcolava Akila Khaspros, comandante della Memory Squad 11. La stanchezza le rassegnava i pensieri. “Pensare è l’inizio del morire” inghiottiva. Il bus rosso a due piani sornioava nel livello sotto-città del palazzo.
“C’è dentro tutto.”
“Facile dire così.”
“C’è dentro tutto… la paura per prima… “
“D’esistere.” Si avvicinava alla vetrata.
“Dell’estraneo…”
“Da cui sei attratto.”
“Vecchia favola questa…” Si schienava al pino nano.
“Ti attrae come preda.”
“Il diverso è sempre una preda.”
“Era il banale diverso colore della pelle…”
“Lo è ancora in alcune piccole zone… Anche se ormai siamo tutti meticci globali.”
“Ma almeno ora sappiamo ogni radice di ciascuno… chi arriva dal nero, dal giallo, dal bianco…”
“Già i distintivi delle origini!”
“Millenni di massacri… bastava pensarci!”
“Illusioni! Rimane il desiderio di annullare l’altro…”
“È onnipotenza.”
“È volere tutto.” Guardava la città. Striavano le ombre.
“È adrenalina.”
“È ribellarsi.”
“È pigrizia.”
“È evitare il confronto.”
“È invidia.”
“È vuoto.” Le strade drenavano. I respiri.
“È ignoranza.”
“È scorciatoia.”
“È difesa. Legittima!” Il fiato tondo sulla vetrata.
“È tutto una terribile scusa…”
La fermata fasulla. I passeggeri comparse. La sede di copertura. “Sono in un giardino al 443esimo piano … per ora non ci muoviamo! Stiamo qui sotto. Aspettiamo un loro momento di silenzio… basta meno di un minuto… sarà il momento migliore per sottrarre le loro memorie connesse…” la comandante perfezionava.
“Possiamo raggiungere il piano in circa quindici secondi. Ci presenteremo come addetti alla loro sicurezza… per assorbire le memorie connesse operiamo secondo la procedura standard…” pianificava Xina Shaiira, analista del terreno e dell’ambiente della squadra. Sbatteva le palpebre. Per sentirne il rumore.
“È emulazione.” Planava ad ali distese. Fino alle piccole onde. Bianche.
“È sacrificio.”
“È autodistruzione.”
“È servilismo.”
“È convenienza.” Il tramonto largheggiava.
“È purezza.” L’aria si vaporava. Nuvole basse. Scosse di rosa.
“È stupidità.”
“È rivalsa.”
“È vendetta.”
“È odio.”
“È furia.”
“È un percorso infinito… Da caino ed abele, da sempre… ogni luogo ha avuto il suo massacro… ogni città del mondo…”
“Un mio avo viaggiava molto… si trovava in quattro città, un certo anno, non ricordo con esattezza quale… tre secoli fa… ha lasciato scritti i nomi… pagine e pagine del perché accadeva. Ho cercato di capire… scriveva una storia di cambiamenti globali… di paure totali… la storia ufficiale è diversa. Come al solito.”
Le luci esplodevano. Per la gioia della notte.
“Ho trovato le ricostruzioni immersive di quelle città, ci sono entrato… ho coperto i cadaveri a Dacca, a Bagdad… Dallas, Nizza…”
(128 – continua la serie. Episodio “chiuso”)
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