La critica

Decreto fare, il Gattopardo dell’Agenda Digitale

Ecco che spunta “Mr. Agenda Digitale”. Personaggio di indubbia levatura, certo. E poi uno che di fallimenti – con il suo passato in Lehman Brothers – se ne intende. Chi meglio di lui per prendersi cura della fallimentare Agenda Digitale italiana? Francesco Caio è così bravo che gli basterà un part-time…

Pubblicato il 24 Giu 2013

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In questi giorni c’è chi mi chiede come mai ancora non abbia scritto nulla sulla nomina di Francesco Caio e sulle recenti “evoluzioni” dell’Agenda Digitale Italiana. Domanda legittima, certo, ma mi si consenta un’altrettanto legittima risposta: non c’è nulla da dire.

Si è perso ormai il conto degli anni nei quali siamo tutti qui a interrogarci sullo “start-up” dell’Agenda Digitale italiana, in attesa – come per molte altre cose della politica e dell’economia nel nostro Paese – che il termine passi di moda e si possa ricominciare il giro di giostra dei commenti e delle considerazioni su un altro tema. O sullo stesso al quale nel frattempo sarà stato dato un nome nuovo. Considerazioni d’altro canto inutili nel merito e nel metodo delle cose perché tanto – considerazioni (appunto) a parte – non è successo e non succede nulla.

Con Caio non fa che aggiungersi un altro inutile capitolo all’inutile querelle che – nelle conversazioni da bar di un gruppo sempre più ristretto di italiani (che gli altri, buon per loro, se ne vanno al mare) sono e rimangono convinti del fatto sacrosanto che questo sia un tema centrale per la ripresa del nostro Paese. Ma si sa, la politica vive ormai di effetti annuncio, e quindi non serve effettivamente “fare”. Basta annunciare che si farà. Poco importa che poi qualcosa si faccia davvero, che tanto risultati e responsabilità li dovrà gestire il prossimo Governo. Ed al prossimo Governo basterà imputare le responsabilità a quello precedente.

Quindi non serve “fare”: per sistemare la pratica basta chiamarci un decreto, “del fare”. Così, in un Governo in cui gli stessi Ministri hanno poca possibilità di incidere sui processi (e nel quale d’altra parte quando si parla di processi non si pensa a quelli della Pubblica Amministrazione che sono da ridisegnare, ma a quelli dell’ex Presidente del Consiglio che sarebbero da superare) Enrico Letta dopo aver pensato che non servisse nemmeno un sottosegretario per gestire un tema così articolato e complesso, ci ripensa e spera di cavarsela con un Commissario.

E quindi, dopo Mr. Pinguino e Mr. Bean, ecco che spunta pure “Mr. Agenda Digitale”. Personaggio di indubbia levatura, certo. E poi uno che di fallimenti – con il suo passato in Lehman Brothers – se ne intende. Chi meglio di lui per prendersi cura della fallimentare Agenda Digitale italiana? Francesco Caio è così bravo che gli basterà un part-time: questo è il tempo che dedicherà al problema nella migliore delle ipotesi, visto che rimane Amministratore Delegato di Avio. Ma d’altro canto non poteva essere diversamente, visto che l’incarico è senza compenso. In conclusione: per l’Agenda Digitale italiana, quella che si classifica quasi ultima in Europa (siamo insieme a Romania, Bulgaria e Grecia), basta un part-time gratuito. Come verrà speso questo tempo? Non è chiaro: Francesco Caio ha dichiarato che comunicherà le “sue” priorità (quelle del Governo non importano). D’altro canto, è probabile che il tempo passi nell’improduttiva opera di sbrogliamento di una matassa amministrativa che vede Caio rispondere alla Presidenza del Consiglio dei Ministri interfacciandosi con la Cabina di Regia dell’ADI che si riferisce ad un (nuovo!) tavolo tecnico tra imprese ed università che afferisce all’Agenzia per l’Italia Digitale diretta da Agostino Ragosa…che acquisisce le indicazioni dal Comitato di Indirizzo. In sostanza: il famoso nodo gordiano sembra un fiocchetto.

In tutto questo, dopo anni in cui tavoli tecnici si susseguono a tavoli tecnici, tutti incapaci di definire una strategia per il Paese, non esiste un piano di investimenti per il digitale, non esiste una stratta tracciata, non esiste una rotta. E l’Agenda Digitale non fa altro che riempirsi di nomi vecchi e nuovi che al variare dei profili coinvolti mantengo costante l’incapacità di incidere realmente sui processi.

Insomma: il gattopardo in fondo era un ottimista. in Italia non è vero che cambia tutto per non cambiare nulla. In Italia non cambia nulla punto e basta. Non vale più nemmeno la pena di far finta che qualcosa cambi.

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