Finalmente è uscito il DESI 2018, l’indicatore della Commissione Europea che misura il livello di attuazione dell’Agenda Digitale di tutti gli Stati membri. Solitamente l’indicatore esce a Febbraio. Quest’anno, complice un cambio ai vertici della commissione sui temi del digitale, è uscito con alcuni mesi di ritardo (vedi i nostri articoli sul Desi).
La fotografia che viene restituita sembra tuttavia quella dello scorso anno: una Europa ricca di differenze e complessivamente in difficoltà a crescere sui temi del digitale in un’ottica realmente sistemica. Significativo quanto affermato da Andrus Ansip, Vicepresidente responsabile per il Mercato Unico Digitale: “Nel complesso l’UE sta facendo progressi, ma non in misura sufficiente: altri Paesi e altre regioni al mondo avanzano in maniera più spedita”. Insomma, gli effetti delle politiche avviate dalla Commissione per un unico grande mercato digitale stentano a vedersi. C’è forse da interrogarsi se, invece che aggiornare e potenziare le iniziative in corso, non servano cambiamenti più strutturali e coraggiosi.
In questo quadro sostanzialmente immobile l’Italia rimane indietro, ferma al suo 25° posto su 28 Paesi. Pochi i progressi fatti (il maggiore sul fronte degli Open Data) e diversi passi indietro rispetto agli altri Stati. Complessivamente arretriamo nelle aree della Connettività (da 25esimi dello scorso anno a 26esimi), del Capitale Umano (da 24esimi a 25esimi) e dell’Integrazione delle tecnologie digitali (da 19esimi a 20esimi). Conserviamo il penultimo posto nell’area dell’Uso di Internet e il 19esimo in quella dei Servizi pubblici digitali. Insomma: sempre fanalino di coda in Europa su quasi tutti i temi del digitale.
A guardare il bicchiere mezzo pieno sono segnalate iniziative importanti su diversi fronti (come la diffusione della copertura in NGA) oltre che buone intenzioni e una strategia finalmente concreta per la PA. Il bicchiere mezzo vuoto ha il solito retrogusto amaro ben puntualizzato nel rapporto sull’Italia: “come negli anni precedenti, la sfida principale è rappresentata dalla carenza di competenze digitali. Benché il governo italiano abbia adottato alcuni provvedimenti al riguardo, si tratta di misure che appaiono ancora insufficienti. Le conseguenze risultano penalizzanti per la performance degli indicatori DESI sotto tutti e cinque gli aspetti considerati”. Insomma, una politica monca sulle competenze digitali non può produrre impatti efficaci.
Il DESI 2018 e la situazione europea
Quest’anno il DESI si è arricchito di alcuni indicatori (es. sull’e-Health, sui servizi digitali pubblici alle imprese), avvicinandosi a una maggiore rappresentatività delle aree di valutazione, anche se continua a basarsi su alcuni valori non allineati al 2017 (es. la presenza di specialisti ICT, rilevata al 2015). Sarà certamente interessante il prossimo benchmark con i Paesi extraeuropei.
Dal punto di vista generale, il punteggio più alto nel DESI 2018 è stato ottenuto da Danimarca, Svezia, Finlandia e Paesi Bassi, che sono tra i leader mondiali nell’area del digitale (con valori simili a quelli della Corea del Sud), seguiti da Lussemburgo, Irlanda, Regno Unito, Belgio ed Estonia. Irlanda, Cipro e Spagna hanno registrato il maggior progresso (oltre 15 punti) negli ultimi quattro anni. La divaricazione tra Paesi con le migliori prestazioni e Paesi con punteggi inferiori alla media sta aumentando, segno evidente di una politica europea che fatica ad essere organica.
Riassumendo la situazione europea rispetto ai punti chiave del DESI 2018:
Connettività. La banda ultra-larga a 100 Mbps è disponibile al 58% delle famiglie (22% nel caso dell’Italia, penultima) ma solo il 15% di queste ha sottoscritto abbonamenti a 100 Mbps (in Italia solo il 5% delle famiglie lo fa). Il dato è raddoppiato negli ultimi due anni ma l’obiettivo di raggiungere un utilizzo da parte del 50% delle famiglie entro il 2020 sembra molto lontano. Per la banda ad almeno 30 Mbps la copertura è dell’80% delle famiglie europee (lo scorso anno era del 76%), con una diffusione del 33% (l’Italia è al 12%); anche in questo caso siamo molto lontani dall’obiettivo europeo del 100% entro il 2020. Il numero di abbonamenti alle reti mobili è aumentato del 57% rispetto al 2013, e adesso il 91% della popolazione dell’Unione Europea è servito da reti mobili 4G (86% in caso dell’Italia), con un trend positivo (l’84% l’anno scorso).
Uso di Internet. È lieve l’aumento nell’uso dei servizi Internet, associato in particolare alle videochiamate (46% degli utenti di Internet in Europa, in trend positivo) e ai servizi di shopping, home banking e news.
Digitale nelle imprese. Rimane la sostanziale divaricazione tra grandi imprese e PMI. Sul primo fronte sono registrati progressi costanti anche se lievi, in particolare sul fronte della fatturazione elettronica (diffusa nel 18% delle imprese, contro il 10% del 2013) e dell’utilizzo dei social media per dialogare con i clienti e i partner (21% delle imprese, contro il 15% del 2013). Sul secondo fronte, invece, i numeri sono ancora sconfortanti: solo il 17% delle PMI europee vende online; il numero si è sostanzialmente fermato negli ultimi anni ed è ben lontano dal 33% fissato come obiettivo da raggiungere entro il 2015.
Servizi pubblici digitali. Anche in quest’area si registrano aumenti non significativi. Il 58% degli utenti Internet che hanno trasmesso moduli alla PA ha utilizzato i canali online (era il 52% nel 2013, l’Italia è al 30%), mentre la nuova rilevazione sull’eHealth denota una percentuale ancora bassa (18%) di cittadini europei che utilizza servizi sanitari online. L’Italia in questo caso ha una delle sue migliori performance, con il 24% dei cittadini che usa servizi sanitari online.
Capitale Umano. In questo caso la situazione è stazionaria, sia rispetto al livello di competenze digitali (solo il 57% degli europei possiede quelle di base), sia rispetto alla presenza di specialisti ICT (3,7%) e laureati STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), con il 19% della popolazione. Tutti i dati sono migliorati di pochissimo rispetto allo scorso anno.
La Commissione Europea evidenzia nei rapporti di valutazione le diverse iniziative avviate per dare un impulso al commercio elettronico e aumentare la fiducia dei cittadini nella rete, così come per le competenze digitali. Ma i risultati in questi ambiti sono troppo modesti per non pensare che sia da correggere strutturalmente l’approccio di base e il meccanismo di governance finora adottato.
La situazione italiana
Le prestazioni dell’Italia sul DESI 2018 si collocano all’interno del gruppo di Paesi dai risultati inferiori alla media (Romania, Grecia, Bulgaria, Italia, Polonia, Ungheria, Croazia, Cipro e Slovacchia). Siamo migliorati su alcuni fronti e peggiorati su altri. Complessivamente rimaniamo quart’ultimi in Europa per attuazione dell’Agenda Digitale. Di seguito sono proposti i dettagli più significativi per ognuna delle aree del DESI:
Connettività. L’Italia si piazza al 26° posto fra gli Stati membri, retrocedendo di un posto rispetto al 2017. Abbiamo visto un significativo incremento della copertura in rete NGA, passata dal 72% all’87% delle famiglie, superando dunque la media europea (80%). Sulla banda a oltre 100 Mbps l’Italia appare ancora in ritardo (disponibilità per il 22% delle famiglie contro una media europea del 58%). Per quanto riguarda le percentuali di utilizzo, con 86 abbonamenti ogni 100 persone la banda larga mobile si piazza leggermente al di sotto della media europea (90%), mentre la banda larga fissa ha registrato un lieve incremento incapace di colmare i gap già presenti negli scorsi anni.
Uso di internet. L’Italia non è riuscita a fare progressi, confermandosi al penultimo posto in classifica. Sono stati registrati lievi aumenti nello shopping online (dal 41% degli utilizzatori di internet al 44%, contro una media europea del 68%), nell’utilizzo di eBanking (dal 42% al 43%, contro una media europea del 61%) e social network (dal 60% al 61%, contro una media europea del 65%). L’utilizzo di videochiamate ha subito un incremento (dal 34% al 39%), sia pure a un ritmo ridotto rispetto alla media europea (46%).
Integrazione delle tecnologie digitali. Pur avendo fatto qualche progresso in quest’area, l’Italia è comunque retrocessa dal 19° al 20° posto, in quanto altri paesi hanno registrato evoluzioni più rapide. Le imprese italiane si collocano al di sopra della media per quanto riguarda l’utilizzo di soluzioni per lo scambio di informazioni elettroniche (37% delle imprese italiane contro la media del 34% delle imprese) e l’uso di RFId (5,2% contro il 4,2%). Sul fronte dell’e-commerce delle PMI, tuttavia, il quadro si presenta critico: a un incremento della percentuale di PMI che si dedicano ad attività di vendita online (dal 7,4 al 7,9% delle PMI italiane, contro una media europea del 17,2%) fa infatti da contrappeso una flessione delle vendite elettroniche (dal 6,4% al 5,8% del fatturato, contro una media europea del 10,3%).
Servizi pubblici digitali. L’Italia sta procedendo lentamente e si conferma 19° in classifica. Sul fronte degli open data abbiamo migliorato la nostra posizione di 11 posti, superando così la media europea. La disponibilità di servizi di eGovernment è al di sopra della media, benché il livello di sviluppo dei servizi rivolti alle imprese si collochi leggermente al di sotto. La performance peggiore è relativa agli utenti eGovernment, che vede l’Italia ultima in Europa. Secondo la Commissione pesa in questo caso la pessima usabilità dei nostri servizi pubblici digitali. Per quanto riguarda l’utilizzo dei servizi di sanità digitale, l’Italia si posiziona bene, collocandosi all’8° posto fra gli Stati membri.
Capitale umano. Il rapporto sull’Italia è molto duro quando si esamina l’area delle competenze digitali. La valutazione in quest’area è la bocciatura (anche politica) per una strategia mai nata e per l’incapacità di comprendere la centralità del tema: “L’Italia manca ancora di una strategia globale dedicata alle competenze digitali, lacuna che penalizza quei settori della popolazione, come gli anziani e le persone inattive, che non vengono fatti oggetto di altre iniziative in materia”.
Peggioramento nelle competenze digitali
È altresì vero che il peggioramento dei risultati dell’Italia in tema di competenze digitali può essere in gran parte spiegato dal fatto che, su 4 indicatori misurati in quest’area:
uno (la % di individui in possesso di competenze digitali di base) non è disponibile per il nostro Paese nell’ultima versione del DESI, penalizzandoci nel calcolo complessivo;
uno (la % di individui specialisti in ICT) è stato calcolato in tutta Europa solo per l’anno 2016 perché non ci sono dati più recenti in tema;
uno (la % di laureati in materie STEM) è stato calcolato in tutta Europa solo per l’anno 2015 perché non ci sono dati più recenti in tema.
È tutta l’Europa a investire poco in competenze digitali se non abbiamo neanche indicatori aggiornati che ci consentano di misurare la loro diffusione nei vari Stati. In questo contesto deprimente l’Italia dimostra ancora meno sensibilità e più miopia dell’Europa, non investendo con decisione in un’area particolarmente critica e che ha effetti sulle altre aree del DESI. Il tema delle competenze ritorna infatti:
nella valutazione sull’utilizzo del digitale delle imprese, dove non ci sono progressi per le PMI, di fatto ai margini della crescita digitale e dove il rapporto della Commissione lascia una possibilità di ripresa legata all’istituzione dei centri di competenza previsti dal Piano Impresa 4.0;
nell’utilizzo dei servizi di eGovernment, dove l’Italia è ultima con il 30%;
nella diffusione degli accessi alla banda ultra-larga (con percentuali di poco superiori al 20% tra tasso di copertura e di abbonamenti).
La mancanza di progressi significativi è diffusa. L’Italia rimane pericolosamente indietro sul digitale. Solo una forte consapevolezza politica dell’importanza di un salto strategico potrà incidere in senso positivo.
L’auspicio è che il nuovo Governo si muova in questa direzione.