Come ogni anno dal 2014 anche la nuova edizione del Digital Economy and Society Index (DESI) smentisce sistematicamente qualsiasi tipo di previsione positiva di origine governativa, facendo emergere scenari poco incoraggianti sulle concrete prospettive di trasformazione digitale del nostro Paese. Stavolta anzi più del solito l’indice Ue sembra incatenare l’Italia in una condizione perenne di “medioevo digitale” destinata ad incrementare in modo inesorabile il gap tecnologico con gli Stati all’avanguardia.
La fotografia del Desi 2020 prova che nel 2019 non abbiamo fatto abbastanza per colmare le nostre lacune. Soprattutto quelle storiche di competenze digitali della popolazione.
In particolare, secondo il DESI 2020 l’Italia occupa il terzultimo posto fra i 28 Stati membri dell’UE, con un punteggio pari a 43,6 (rispetto al dato UE del 52,6), ritornando quindi al 25esimo posto. Tra i fanalini di coda, nella stessa posizione di bassa classifica formalizzata nel DESI 2018 (punteggio di 36,2 a fronte del dato europeo del 46,5), dopo il lieve aumento, come breve parentesi del DESI 2019, che aveva consentito al nostro Paese di raggiungere il 23º posto (punteggio del 41,6 a fronte del dato UE del 49,4).
Il problema “capitale umano”
Nonostante il dichiarato intento di migliorare lo stato di digitalizzazione della Pubblica amministrazione e dell’economia, come impegno prioritario dell’agenda politico-istituzionale enunciato nella Strategia “Italia 2025” a cura del Ministero per l’Innovazione tecnologica e la Digitalizzazione (MID), che oggi opera come struttura di coordinamento unitario in virtù della delega di funzioni disposta con Dpcm 26 settembre 2019 nell’ambito di una cabina di regia preposta alla definizione degli indirizzi strategici del Governo nel settore dell’innovazione digitale, in realtà – a parte i dati relativamente buoni sulla “Connettività” – continua a preoccupare il grave ritardo cognitivo descritto dall’indicatore “Capitale umano”, secondo cui, rispetto alla media UE, in Italia i livelli di competenze digitali di base e avanzate “molto bassi”, risultano ulteriormente aggravati da un numero pressoché esiguo di specialisti e laureati nel settore ICT “molto al di sotto della media UE”, con ripercussioni negative sull’uso effettivo delle tecnologie, nonostante l’incremento quantitativo di servizi e-Gov, che sembrano relegati a formali strumenti di mero adeguamento digitale privi di concreta utilità pratica a causa della mancata fruibilità generalizzata da parte della collettività.
Dal punto di vista della “Connettività”, l’Italia ottiene il punteggio di 50,0 (vicino al dato europeo del 50,1), occupando il 17º posto, comunque in calo rispetto al risultato del DESI 2019 (12º posto, punteggio del 48 a fronte del dato europeo del 44,7), ma in netto miglioramento rispetto al DESI 2018 (25º posto, punteggio del 35,1 a fronte del dato europeo del 39,9).
La diffusione della banda larga fissa ad almeno 100 Mbps passa dal 9% nel 2018 al 13% nel 2019, con performance però ancora troppi distanti dalla media UE.
Mentre la copertura delle reti NGA ha raggiunto l’89% superando la media UE pari all’86%, per quanto riguarda la banda ultra-larga VHCN, l’Italia resta ancora troppo indietro (con solo il 30%) rispetto alla media UE del 44%, in attesa del completamento operativo degli interventi, ancora in corso di svolgimento, previsti nell’ambito di recenti misure di semplificazione e piani di investimento elaborati per lo sviluppo delle infrastrutture di rete esistenti.
Preoccupa, invece, ancor più dei precedenti anni, il risultato sull’indicatore “Capitale umano”: nel 2019, infatti, l’Italia – perdendo due posizioni (DESI 2019: 26º posto, punteggio 32,0 a fronte del dato europeo del 47,9) – si colloca all’ultimo posto della classifica (punteggio 32,5 a fronte del dato europeo del 49,3), con performance peggiori, quindi, rispetto al risultato ottenuto in sede di DESI 2018 (27º posto, punteggio del 31,6 a fronte del dato europeo del 47,6).
Solo il 42% delle persone di età compresa tra i 16 e i 74 anni possiede almeno competenze digitali di base (rispetto al 58% nell’UE) e solo il 22% dispone di competenze digitali superiori a quelle di base (a fronte del 33% nell’UE).
La percentuale di specialisti ICT in Italia è ancora al di sotto della media UE (3,9%) e solo l’1% dei giovani italiani è in possesso di una laurea in discipline ICT (il dato più basso nell’UE), mentre gli specialisti ICT di sesso femminile rappresentano l’1% del numero totale di lavoratrici (a fronte della media UE dell’1,4%).
Digital divide e servizi pubblici digitali
Il diffuso divario digitale cognitivo frena l’uso pervasivo dei servizi Internet: addirittura il 17% degli italiani non ha mai utilizzato Internet (quasi il doppio della media UE), delineandosi, in generale, in relazione a tale indicatore percentuali stabili ben al di sotto delle performance riscontrate negli altri Paesi europei (DESI 2020: 26º posto, punteggio del 44,5 a fronte del dato europeo del 58,0; DESI 2019: 26º posto, punteggio del 41,7 a fronte del dato europeo del 55,0; DESI 2018: 26º posto, punteggio del 37,4 a fronte del dato europeo del 51,8).
Il 22% delle imprese utilizza i social media (in conformità alla media UE del 25%), mentre si avvale di servizi cloud il 15% di esse (a fronte della media UE del 18%). Solo il 10% delle PMI italiane vende online (sotto della media UE del 18%).
Per quanto riguarda i servizi pubblici digitali, l’Italia occupa il 19º posto della classifica (con un punteggio del 67,5 a fronte del dato europeo del 72,0, mantenendo una posizione stabile rispetto al DESI 2019 19: punteggio del 61,9 a fronte del dato europeo del 67,0), sempre però al di sotto della media europea.
Tuttavia, nonostante le buone prestazioni raggiunte in materia di e-Gov e OpenData, soltanto il 32% degli utenti italiani online usufruisce concretamente dei servizi (rispetto alla media UE del 67%).
Il confronto (impietoso) con le prime della classe
Non è oggi possibile immaginare di stare al passo dei Paesi tecnologicamente avanzati, come, ad esempio, la Finlandia, leader digitale, ormai stabile al primo posto della classifica tra i 28 Stati membri dell’UE con un punteggio di 72,3 (confermando il trend del DESI 2019, sempre al 1º posto, punteggio del 68.1 a fronte del dato europeo del 49.4, in crescita rispetto al DESI 2018: 2º posto, punteggio del 62.8 a fronte del dato europeo del 46.5).
Il 76% della popolazione finlandese possiede competenze digitali di base o superiori, ben oltre la media dell’UE del 58%: in base al “Capitale umano”, il DESI 2020 colloca la Finlandia al 1º posto, con un punteggio del 78.4 a fronte del dato europeo del 49.3 (DESI 2019: 1º posto, punteggio del 77.5 a fronte del dato europeo del 47.9; DESI 2018: 1º posto, punteggio del 76.1 a fronte del dato europeo del 47.6).
Gli specialisti ICT rappresentano una percentuale maggiore della forza lavoro rispetto alla media dell’UE (7,2% a fronte del 3,9% in Europa), mentre i laureati ICT in Finlandia raggiungono il 6,3% del numero totale di laureati al di sopra della media UE (3,6%).
Significativo – e parimenti inavvicinabile per l’Italia – è il trend della Svezia, al secondo posto della classifica europea (DESI 2020: punteggio del 69.7; così come nel DESI 2019: punteggio del 67.5; dopo il primo posto nel DESI 2018: punteggio del 64.0).
Anche in Svezia è decisivo per la complessiva crescita digitale il fattore “Capitale umano”, che consente al 72% della popolazione di possedere almeno competenze digitali di base e al 46% di acquisire skills superiori alla cultura digitale basica (DESI 2020: 2º posto, punteggio del 71.7 49.3; DESI 2019: 2º punteggio del 71.6; DESI 2018: 2º posto: punteggio del 69.9).
La Svezia ha anche un numero elevato di specialisti ICT rispetto ad altri paesi dell’UE (pari al 6,8% dell’occupazione totale) e ciò nonostante, il 72% delle imprese svedesi evidenzia difficoltà nel colmare i posti vacanti legati alla ricerca di professionisti ICT.
Guardando al panorama europeo, non è un caso che i Paesi ai primi posti della classifica DESI, alla luce della stretta ed oggettiva correlazione che intercorre tra diffusione delle tecnologie digitali e raggiungimento di condizioni effettive di benessere generale, abbiano raggiunto elevati e stabili livelli di sviluppo socio-economico non riscontrabili nei Paesi in ritardo tecnologico che occupano le ultime posizioni, come l’Italia (che precede soltanto Romania, Grecia e Bulgaria), ove si assiste ad una desolante crisi del sistema sempre più endemica ed irreversibile.
Liuzzi (Mise): “Desi, avremo svolta grazie alle misure del governo”
Conclusioni
Di fronte alla centralità di Internet messa in evidenza dall’emergenza “Covid”, che ha imposto un processo accelerato di digitalizzazione dei servizi pubblici e delle attività economiche, la necessità di avviare concretamente un’effettiva svolta digitale rappresenta per l’Italia davvero l’ultima chiamata per realizzare un’efficace strategia generale di modernizzazione del Paese, elaborata in largo anticipo e coordinata negli anni in una prospettiva di lungo termine, superando il perenne stato di aspettative da cosiddetto “anno zero” con un deciso cambio di paradigma, grazie ad un rinnovato sistema di formazione e di selezione del “classe dirigente” del Paese, chiamata a costruire una nuova visione di futuro sostenibile in grado di stimolare la riqualificazione della forza lavoro, dotata di competenze specialistiche ICT, in linea con quanto descritto dal Report “The Future of Jobs 2018” pubblicato dal World Economic Forum per sfruttare le nuove opportunità collegate al settore digitale.
Non è più il momento di perdere tempo in posizioni di inerzia e resistenza che, in assenza di una programmazione lungimirante fondata sulla prioritaria rilevanza del digitale, possono determinare gravi conseguenze nell’immediato futuro per la collettività.