Lo abbiamo atteso con trepidazione per mesi, e alla fine è uscito. Il DESI 2021 (Figura 1), il primo che tira le somme dopo la pandemia, ci restituisce la fotografia digitale dell’annus horribilis 2020: Italia al 20esimo posto nel ranking complessivo dei 27 Paesi UE (guidato dalla Danimarca), di nuovo penultima tra Paesi più popolosi (davanti solo alla Polonia), di nuovo con rilevanti lacune – come da attese – sugli indicatori legati alle competenze digitali (25esimi su 27).
Desi 2021, perché c’è poco da rallegrarsi
Figura 1. Indice di digitalizzazione dell’economia e della società (DESI), Ranking 2021. Fonte: Commissione Europea
A poche ore dalla pubblicazione dell’indice si sono già moltiplicati i tradizionali commenti sconsolati (“l’Italia è ancora indietro…”), a cui però quest’anno fanno da contraltare le voci di riscossa: l’Italia ha guadagnato 5 posizioni dal 2020!
Ecco, è bene precisare da subito: non è così. O meglio: sì, l’Italia era al 25esimo posto su 27 Paesi nel DESI 2020; peccato che DESI 2020 e DESI 2021 non siano confrontabili.
Il DESI 2020 raccoglieva 37 indicatori su 5 dimensioni: connettività, capitale umano, uso di internet, integrazione delle tecnologie digitali (ovvero la digitalizzazione delle imprese), servizi pubblici digitali. Il DESI 2021 conta solo 33 indicatori su 4 dimensioni: l’area Uso di internet – che era in buona parte un “doppione” dell’area Capitale umano[1] – è stata eliminata, e sono stati sostituiti o aggiunti alcuni indicatori relativi alle altre dimensioni. Approfondiremo tutti i dettagli metodologici del nuovo indice DESI nel Convegno dell’Osservatorio Agenda Digitale del prossimo 1° febbraio 2022, che sarà anticipato da un report ad hoc in uscita a dicembre 2021.[2]
E quindi? Quindi non è dato sapere, ad oggi, che posizione avrebbe occupato l’Italia nel ranking se la metodologia fosse rimasta quella del 2020.
Uno studio del dicembre 2020 ipotizzava, a bocce ferme, un balzo in avanti del Bel Paese di diverse posizioni. Purtroppo, raramente il mondo (del digitale) rimane a guardare e quindi, oltre alla metodologia che è stata rivoluzionata, gli altri Paesi hanno continuato a muoversi – a quanto pare più velocemente di noi – e il risultato è presto detto: confrontando il ranking 2020 (con metodologia nuova; vedi Figura 2) con la classifica 2021, l’Italia non ha guadagnato niente, bensì ha perso una posizione. Da 19esimi (2020, su dati 2019) a 20esimi (2021, su dati 2020).
Desi 2021, punti forti e deboli dell’Italia
Cominciamo dalle cattive notizie. Il Desi certifica che nemmeno nel 2020 e nemmeno con la pandemia siamo riusciti a risolvere la nostra bestia nera: il capitale umano. Solo il 42% delle persone fra i 16 e i 74 ha competenze digitali almeno di base, solo il 3,6 per cento degli occupati è specializza tecnologico. Siamo 25esimi su capitale umano.
E inutile illudersi: anche il 2021 non porterà buone notizie. Gli interventi strutturali, necessari per sbloccare la situazione, richiedono lunghi tempi di maturazione. Se ne riparlerà con gli effetti del Pnrr, se tutto va bene.
Quanto a banda larga, andiamo bene finché non si arriva alla vetta tecnologica attuale, il gigabit: la copertura à del 34% sulla popolazione, contro il 54% della media UE. Davvero dobbiamo sperare molto nell’execution dei bandi che da gennaio porteranno gigabit di Stato a tutti entro il 2026, anche se da molte parti si grida al rischio ritardi; perché le norme ancora non prevedono vere semplificazioni agli operatori (nemmeno nel decreto Concorrenza) e perché ci manca il capitale umano – di nuovo – per cablare in fretta. L’allarma viene dagli operatori e da una mozione parlamentare bipartisan alla Camera, nei giorni scorsi. Andiamo bene in integrazione tecnologica, grazie soprattutto alla fatturazione elettronica, che ancora si presenta – come cinque anni fa – punta di diamanete della nostra digitalizzazione dettata dal sistema pubblico.
In ritardo le imprese nell’uso di big data, AI, mentre fanno meglio con una vecchia tecnologia, quella del cloud. Come per la banda larga, sembra che ci sia un ritardo “cronologico” o generazionale nell’uso che facciamo del digitale.
Fa eccezione l’e-commerce ed è una eccezione negativa: vecchio servizio, vecchi soliti ritardi delle pmi italiane rispetto all’Europa.
Cresce l’uso dei servizi della PA digitale, ora al 36% contro il 30% dell’anno prima, ma è quasi la metà della media europea. Il Desi serba fiducia nei confronti del piano Competenze Digitali – arrivato dopo anni e in sordina. Per risolvere il cuore delle nostre lacune, di cittadini e imprese.
Vedremo nel 2022 se andrà meglio, ma meglio non tenere il fiato sospeso: le nostre lacune, quelle più gravi, non sono di quel tipo che si risolve con una colata di fibra dall’alto.
Alessandro Longo
Figura 2. Indice di digitalizzazione dell’economia e della società (DESI), Ranking 2020. Fonte: Commissione Europea
La buona notizia
Fatte le dovute precisazioni sulla performance complessiva dell’Italia, in attesa degli approfondimenti contenuti nel report, la domanda è quindi: ci sono solo cattive notizie?
No, certamente no. Come precisa la stessa Commissione Europea, infatti, per tutti i Paesi si osservano significativi miglioramenti sugli indicatori di digitalizzazione, in termini assoluti, rispetto allo scorso anno. Basti pensare all’esponenziale aumento della penetrazione del Cloud nelle imprese italiane.
A ben vedere, però, il DESI 2021 fa un passo avanti e diversi passi indietro (o mancati passi avanti).
Il passo avanti è significativo: coerentemente con la nuova strategia europea 2030, che fissa i suoi obiettivi nella “bussola digitale”, le 4 dimensioni restituiscono un’immagine più fedele e meno ridondante di quella delle versioni precedenti. È lo stesso approccio seguito anche dai Digital Maturity Indexes elaborati dall’Osservatorio, che raggruppano gli indicatori tra Infrastrutture (connettività), Cittadini (capitale umano), Imprese (integrazione delle tecnologie digitali), e PA (servizi pubblici digitali).
Le lacune del Desi
Rimangono però aspetti certamente migliorabili:
- Il nuovo DESI continua a non distinguere tra fattori che abilitano la digitalizzazione della società (ad es. la disponibilità di banda larga) e risultati effettivi in termini di digitalizzazione (ad es. gli abbonamenti alla banda larga delle famiglie), rendendo non sempre chiaro ai policymaker su quali aree d’intervento intervenire per migliorare;
- Per la seconda edizione consecutiva, la dimensione dei servizi pubblici digitali non contiene indicatori verticali su aree rilevanti dei servizi pubblici, come la sanità digitale[3] o l’istruzione – che sono tuttavia presenti nell’eGovernment Benchmark, il cruscotto di indicatori che alimenta il DESI. La pandemia ha mostrato l’importanza di questi settori per la società e l’economia, si sperava che venisse data loro maggiore rilevanza;
- Il DESI non è un indice facilmente scalabile, è pressoché immobile. Basti pensare che, con la nuova metodologia, l’Italia ha occupato la 21esima posizione dal 2016 al 2018, la 19esima nel 2019 e nel 2020, ora la 20esima. Lo stesso vale per gli altri Paesi. In buona parte perché alcuni indicatori (ad es., la quota di laureati in ambito ICT su tutta la popolazione) letteralmente non possono variare da un anno all’altro. Il DESI non è quindi in grado di cogliere adeguatamente gli sforzi compiuti sul digitale dai Paesi nel breve periodo;
- Un indice che cambia ricetta ogni anno rischia di essere poco utilizzabile e funzionale, dà segnali difficili da interpretare in serie storica, non immediati. Basta confrontare i titoli giornalistici che hanno commentato in modo antitetico l’uscita del DESI lo scorso anno (“Italia 25esima su 28 Paesi! Siamo quasi maglia nera!”) e quest’anno (“l’Italia guadagna 5 posizioni! Inizia la rimonta!”), quando invece molto poco è cambiato.
Sono considerazioni importanti anche per l’Italia: il DESI non è tutto, malgrado i risultati continuino ad essere deludenti. Non abbiamo da gioire, perché non guadagniamo alcuna posizione neanche quest’anno. Ma non c’è da disperare, e non solo perché il DESI è più che perfettibile.
La speranza per l’Italia
La speranza viene dal fatto che la macchina della trasformazione digitale del Paese è in moto, come dimostrano le iniziative a regime e la crescente consapevolezza, a partire proprio dal tema delle competenze digitali (vedi Repubblica Digitale). Tuttavia, essere in moto, e perfino accelerare, non basta più. Bisogna accelerare più dei nostri pari, più dei nostri competitor. Affinché il 2022 sia l’anno dei primi frutti raccolti, e non solo della semina speranzosa.
- Gli indicatori sulle competenze digitali che calcola Eurostat non misurano effettivamente le competenze digitali; sono una proxy del livello di competenza digitale costruita proprio a partire da quanto i cittadini dichiarano di utilizzare internet. ↑
- Il report approfondirà anche i Digital Maturity Indexes, il framework di indicatori internazionali complementare al DESI che l’Osservatorio elabora già dal 2014. ↑
- L’indicatore 4a3 Servizi pubblici per i cittadini considera anche alcuni servizi legati alla sanità, come “ottenere la tessera sanitaria.” ↑