Il Desi 2022 porta alcune buone notizie, in particolare per infrastrutture e integrazione delle tecnologie digitali nelle aziende. Due punti dove finalmente superiamo la media europea in questa classifica stilata, come ogni anno, dalla Commissione ue.
In generale si segna così per la prima volta il miglioramento del posizionamento dell’Italia, che sale al diciottesimo posto sui ventisette Paesi dell’Unione Europea. Nelle prime edizioni la tabella dei risultati era anche stata battezzata la “tabella della vergogna” e l’Italia navigava saldamente nelle posizioni di coda e ancora nel 2017 era in venticinquesima posizione davanti a Grecia, Bulgaria e Romania, una situazione critica per la terza economia dell’Unione Europea, con un impatto negativo sugli indicatori UE complessivi.
Desi 2022: un primo vero salto avanti dell’Italia, ma fragile
La rincorsa nell’integrazione delle tecnologie digitali e nell’infrastrutturazione
Rispetto al 2017 quando l’Italia era in ritardo rispetto alla media UE in tutte le componenti dell’Indice DESI, oggi sono due le componenti per le quali superiamo la media.
Integrazione tecnologie in azienda
Nell’integrazione delle tecnologie digitali, le imprese italiane hanno saputo avviare un processo di innovazione che le vede all’ottavo posto della classifica, nettamente davanti a Spagna (11°), Germania (16°) e Francia (20°). Ai primi tre posti si posizionano comunque Finlandia, Danimarca e Svezia. Il posizionamento è migliore in particolare per l’utilizzo dei servizi cloud, dove precediamo i grandi Paesi europei, mentre la situazione è più eterogenea per l’utilizzo dei Big Data, dell’Intelligenza Artificiale, ma anche del commercio elettronico.
Questa situazione andrebbe comunque confrontata con il livello di digitalizzazione delle micro e piccole imprese, che continuano a svolgere un ruolo fondamentale nel nostro tessuto produttivo. Sfortunatamente le basi informative sono sostanzialmente assenti, ma il comportamento di queste aziende sconta sicuramente un livello di alfabetizzazione digitale che è quello della popolazione media italiana e tuttora largamente deficitario.
Banda ultra larga
Allo stesso tempo, anche per quanto riguarda il processo di infrastrutturazione l’Italia ha risalito la classifica fino alla settima posizione. In questo caso, però, gli altri Paesi principali non sono rimasti fermi e la Spagna è al terzo posto, seguita da Germania e Francia. Il primato è della Danimarca, seguita dall’Olanda, Paesi che beneficiano chiaramente di una complessità in intervento largamente inferiore. Colpisce il livello di copertura del 5G (al 99,7%) in Italia, ma il dato è, per tutti i Paesi, distorto dal fatto che viene considerato anche il 5G Non Stand Alone.
La copertura Fast Broadband (almeno 30 Mbit/s in download, di fatto da noi sono connessioni Fttc perlopiù con velocità medie intorno ai 100 megabit) è al 97% in Italia, mentre la copertura VHCN (Very High Capacity Network, in sostanza fibra in casa nel caso dell’Italia) è cresciuta di 10 punti percentuali fino al 44%, ma siamo ancora nelle ultime posizioni.
Il piano gigabit 2026 del Governo ha le carte in regola per colmare questo ritardo nei prossimi anni. Se non al 2026 non troppo più tardi.
Italia Gigabit, sarà l’anno della svolta? Roadmap, obiettivi e sfide
Si tenga conto che il peso dell’intervento pubblico è variabile nelle coperture, ma in realtà il posizionamento dei Paesi è principalmente effetto degli investimenti privati e delle dinamiche concorrenziali. L’Italia ne è la riprova e l’effetto indiretto delle misure pubbliche (di stimolo concorrenziale e all’infrastrutturazione privata) supera quello diretto (infrastrutture pubbliche).
I piani pubblici 1 Giga e 5G seguiranno il modello di intervento indiretto e offrono effettivamente un’occasione unica per arrivare in vetta alla classifica nel 2026.
Un indice composto per misurare i progressi verso la Gigabit Society
Il DESI è oggi lo strumento per misurare i progressi rispetto agli obiettivi strategici del Digital Compass per il 2030. Le componenti oggetto di monitoraggio sono passate da cinque a quattro (eliminando l’indicatore dell’utilizzo dei servizi online), coerentemente con i quattro assi cardinali sella strategia.
Per capire la classifica, le prospettive per l’Italia e le possibili leve da utilizzare è però necessario riassumere i contenuti dello strumento. Si tratta di un indice composto che si articola in quattro componenti fondamentali (ognuno con lo stesso peso del 25%) e una trentina di sotto-indici: Capitale umano ( competenze digitali di base e avanzate, specialisti ICT); Connettività (banda larga fissa, banda larga mobile, velocità e prezzi della banda larga); Integrazione delle tecnologie digitali (digitalizzazione delle imprese, cloud e commercio elettronico); Servizi pubblici digitali (servizi online e utilizzo dei servizi di e-government).
Il primo aspetto rispecchia in particolare la struttura demografica e il modello formativo, mentre il secondo è di tipo infrastrutturale ed è legato anche alle caratteristiche del mercato. L’utilizzo dei servizi digitali da parte delle imprese è riferito di fatto solo alle imprese con 10 e più addetti e non all’insieme del tessuto produttivo e, infine, l’indicatore sui servizi pubblici digitali riguarda sostanzialmente i servizi pubblici di base.
Un’ultima precisazione riguarda il calcolo degli indicatori. Visto che sono, di norma, valori obiettivo, una volta raggiunto il valore massimo, l’indice non varia più.
Gli ultimi saranno i primi
Ritornando alla buona notizia, il dato più interessante proviene indubbiamente dall’analisi della serie storica degli ultimi cinque anni.
Da questo punto di vista, il primato della crescita è di Italia, Polonia e Grecia, con l’Italia che presenta l’incremento in assoluto maggiore. L’entusiasmo va attenuato dalla situazione largamente deficitaria di partenza, ma l’accelerazione della ricorsa rimane un fatto indubbiamente positivo. Non a caso i primi della classe, i soliti Paesi nordici, crescono ormai poco…
Ma siamo deboli con le grandi economie
Il vero confronto competitivo tra sistemi-Paese va però fatto con le grandi economie europee (il confronto meriterebbe anche di essere mantenuto con il Regno Unito), vale a dire Germania, Francia e Spagna. Da questo punto di vista, la Spagna è al settimo posto, davanti alla Francia (12°) e Germania (13°), che sono poco sopra la media UE. Ai primi tre posti, Finlandia, Danimarca e Olanda.
Desi, punti di debolezza
Passando invece alle note dolenti, l’aspetto che rimane più critico è quello del capitale umano, che richiede tempi lunghi per invertire la situazione. L’Italia rimane nelle posizioni di retroguardia al venticinquesimo posto, davanti solamente a Bulgaria e Romania. Non può certo consolare il posizionamento di Spagna (10°), Francia (12°) e Germania (16°). La situazione è di fatto critica per tutte le variabili esaminate, con l’ultima posizione nelle competenze avanzate (27°) e anche per le competenze digitali di base, se è vero che ancora solo il 54% dei cittadini europei possiede solo competenze di base, tale valore scende al 46% per l’Italia. Difficile immaginare un reale salto di qualità nei processi di trasformazione digitale senza gli skills adeguati.
Da notare che il capitale umano – meno della metà degli italiani ha competenze digitali di base – può incidere anche sull’indice di adozione dei servizi banda ultra larga, creando potenzialmente un grande gap tra copertura e take up. Già ora siamo quart’ultimi in Europa per adozione banda larga (percentuale delle famiglie con un abbonamento).
Per quanto riguarda i servizi pubblici digitali, il posizionamento è leggermente migliore e l’Italia compare al diciannovesimo posto, ma dietro Spagna (5°), Francia (15°) e Germania (18°). L’aspetto più deficitario è l’utilizzo da parte dei cittadini (25°), che dipende naturalmente dalla qualità dei servizi offerti, mentre riguardo alla disponibilità di Open Data l’Italia sale al settimo posto. In realtà, per molte delle variabili esaminate, la dimensione del Paese incide in modo significativo sul raggiungimento di elevati livelli di digitalizzazione. Almeno però siamo saliti di 10 punti (sebbene solo al 40%) per adozione dei servizi pubblici pa in un anno e la Commissione loda i progressi di App IO, Pago Pa, Anpr.
Luci e ombre per le prospettive future
Guardando al futuro, la speranza è che le ingenti risorse previste dal PNRR (l’Italia è il Paese europeo che ha destinato al digitale la cifra più elevata) possano effettivamente garantire un definitivo salto di qualità.
I presupposti ci sono sicuramente sul tema della connettività e dei servizi pubblici digitali, mentre non è chiaro come si possa sbloccare la situazione delle competenze digitali senza un intervento più incisivo e aspettare il ricambio generazionale.
Per quanto riguarda infine l’integrazione delle tecnologie digitali, la vera sfida riguarda il coinvolgimento delle micro e piccole imprese, che non sono ancora oggetto di misure specifiche.