trasformazione digitale

DESI e rapporto Colao, Mochi (Fpa): “Così possiamo scrivere il futuro dell’Italia”

La digitalizzazione è forse il fattore più importante per lo sviluppo economico di un Paese. La fotografia scattata dal rapporto DESI è impietosa ed è anche una pesante ipoteca sul nostro futuro sviluppo, quello che il rapporto Colao si propone di promuovere. Da un confronto dei due, ecco gli spunti per risalire la china

Pubblicato il 17 Giu 2020

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Quasi in contemporanea sono stati divulgati in questi giorni due documenti apparentemente del tutto indipendenti: il Rapporto della Commissione Colao “Iniziative per il rilancio – Italia 2020-2022” e il Digital Economy and Society Index (DESI) 2020, che è l’indice composito, elaborato dalla Commissione europea ogni anno, che sintetizza gli indicatori delle performance digitali dell’Europa e di ogni Stato membro dell’Ue.

Il rapporto Colao parte dallo stato attuale del Paese, dopo l’impatto catastrofico sulla sua economia della pandemia da covid-19, e propone un vasto elenco di iniziative con l’obiettivo di accelerare lo sviluppo del Paese e di migliorare la sua sostenibilità economica, sociale ed ambientale, in linea con l’Agenda 2030 e con gli obiettivi strategici definiti dall’Ue.

Il DESI è invece una fotografia della digitalizzazione dell’economia e della società europea a fine 2019, ossia ad un periodo che precede l’impatto del covid-19. Anche quest’anno la classifica è per noi impietosa: torniamo al 25° posto sui 28 Paesi dell’Ue dopo il piccolo avanzamento dell’anno scorso quando eravamo al 23°. Dietro a noi solo Bulgaria, Romania e Grecia, davanti tutti gli altri.

Che la digitalizzazione di un Paese sia attualmente un fattore chiave, probabilmente il più importante perché più pervasivo, per il suo sviluppo economico è cosa talmente nota da rendere inutile ripeterlo. Il risultato del DESI va quindi preso come un fallimento dell’oggi, ma anche come una pesante ipoteca sul futuro sviluppo, su quello sviluppo che il rapporto Colao si propone di promuovere.

Non sarà quindi inutile mettere i due documenti a confronto ed è quello che mi propongo di fare con questo articolo. Esaminerò quindi tre dimensioni del DESI, con particolare attenzione a quelle più importanti (come la connettività) e a quelle che ci vedono drammaticamente indietro rispetto al resto d’Europa (come capitale umano e uso di internet) e le metterò in confronto con le iniziative che, nel rapporto Colao, si rivolgono alla digitalizzazione dell’economia e alla società.

Obiettivo del confronto sarà di mettere in evidenza le proposte che possono essere più utilmente accolte per risalire una china che ci vede precipitare sempre più agli ultimi posti in una classifica che, seppure imperfetta, rispecchia la prontezza di un Paese nel cogliere i benefici delle tecnologie per incrementare produttività, benessere e lavoro.

La connettività nel DESI e nel Rapporto Colao

  • Partiamo dalla prima dimensione del DESI: la connettività, che è quella in cui siamo messi meno peggio. Sulla connettività infatti, con un punteggio complessivo pari a 57,6, l’Italia si piazza al 19mo posto fra gli Stati membri dell’Ue, risalendo di ben sette posizioni rispetto alla classifica DESI dell’anno scorso, pur rimanendo ben al di sotto della media europea. La copertura delle reti fisse a banda larga è leggermente aumentata fino a superare il 99,5 %. L’Italia ha visto un ulteriore significativo incremento della copertura della banda larga veloce (Nga), raggiungendo il 90% delle famiglie e superando dunque la media Ue (83%). Per quanto riguarda invece la banda larga ultraveloce (100 Mbps e oltre) l’Italia appare ancora in ritardo (con una percentuale pari ad appena il 24% in confronto a una media Ue del 60%) e si piazza in prossimità del fondo classifica (27mo posto), pur se con un lieve tasso di crescita. Sia la copertura che la diffusione della banda larga ultraveloce risultano ben al di sotto della media Ue. Sul 5G la Relazione nazionale evidenzia le sperimentazioni pre-commerciali in corso. Il 94% dello spettro armonizzato a livello UE per la banda larga mobile è stato assegnato.
  • Nel Rapporto Colao una grande attenzione viene data all’innovazione in generale ed in particolare alla trasformazione digitale che è indicata come uno tre grandi driver di sviluppo sostenibile ed equo insieme alla rivoluzione verde e all’inclusione basata sulla riduzione delle disuguaglianze.

Sulla connettività c’è un’azione specifica, la 25, che propone un grande “Piano Fibra Nazionale” da sviluppare con azioni sinergiche: massimizzazione degli accessi in fibra direttamente nelle case (FTTH); ampliare le aree di intervento; lanciare gare per la realizzazione della copertura FTTH nelle aree c.d.«BGrigie», per le quali:(i)selezionare un fornitore unico impegnato a offrire accesso non-discriminatorio a uguali condizioni tecnico-operative per tutti gli operatori interessati; (ii)prevedere interventi per offrire un contributo parziale ai costi di realizzazione che il fornitore unico neutrale dovrà sostenere; (iii)sanzionare in caso di mancata realizzazione dei piani. La successiva scheda 28 propine un sussidio per superare il “digital divide” attraverso l’erogazione di voucher per l’attivazione di utenze di connettività FTTH e FTTC.

Il rapporto si occupa poi del cablaggio di tutti gli edifici della PA, con particolare attenzione alle scuole e alle strutture sanitarie, e dello sviluppo delle reti 5G con una proposta di riportare i limiti massimi di emissione elettromagnetica in Italia alle linee guida europee, in linea con i livelli richiesti dagli altri stati membri UE, che sono da due a tre volte più alti.

  • In conclusione, il rapporto Colao sembra dare una grande e giusta importanza alla connettività e propone interventi strutturali, incisivi e in grado, se attuati di fare uscire da guado la politica per la banda ultralarga, impantanata da timidezze e non decisioni, e migliorare radicalmente la nostra posizione nel ranking.

Capitale umano e competenze nel DESI e nel Rapporto Colao

  • Il capitolo del DESI sul capitale umano e le competenze è il più doloroso per l’Italia. L’indice prende in considerazione sia i possessori di competenze digitali di base che sono in Italia il 42% della popolazione contro una media europea del 58%, sia chi possiede competenze più avanzate che sono il 33% della popolazione europea mentre in Italia tale percentuale scende al 22%. Anche il gap per gli specialisti in ICT è pesante: sono il 3,9% della popolazione nella media europea e solo il 2,8% in Italia. Con questi risultati nel 2019 l’Italia ha perso due posizioni e si colloca quindi ora all’ultimo posto nell’UE per quanto riguarda la dimensione del capitale umano. Il DESI dà atto all’Italia dia aver intrapreso il Piano Nazionale Scuola Digitale, ma constata anche che non tutte le scuole hanno aderito e che evidentemente non è bastato.
  • L’area Istruzione Competenze e Ricerca è uno dei sei pilastri del Rapporto Colao, che però dichiara esplicitamente di non occuparsi della scuola perché di competenza di un’altra commissione. Il tema è trattato quindi soprattutto dal punto di vista dell’educazione terziaria, della modernizzazione del settore della ricerca, delle azioni per garantire il diritto allo studio e la sinergia tra istituzioni scolastiche e universitarie e mondo delle imprese.

Tra i punti di maggiore interesse l’enfasi sulla formazione degli insegnanti e, anche più interessante, l’invito a creare un canale di istruzione terziaria professionalizzante di dimensioni consistenti, incentivando “lauree professionalizzanti” e ITS. La scheda 78 del Rapporto lancia un programma didattico sperimentale per tutti gli istituti di scuola superiore, erogato attraverso una piattaforma digitale per colmare il gap di competenze e skill critiche (capacità digitali, STEM, problem-solving, finanziarie di base). Ma appunto si tratta di una sperimentazione che necessita di tempi lunghi, probabilmente troppo lunghi in confronto al grave ritardo accumulato. Un ultimo punto sulle competenze digitali è quello che tratta della riqualificazione dei disoccupati e dei lavoratori in Cassa Integrazione per cui si propone di strutturare programma di training volto all’acquisizione di competenze digitali durante la CIG.

  • In conclusione, seppure dichiarata in partenza, la scelta di non occuparsi della scuola in chiave di sviluppo del Paese, visto che in questa prospettiva non se n’è occupato neanche il Comitato di esperti del Ministero dell’Istruzione, appare assolutamente penalizzante per l’intero rapporto. Tale scelta fa sì che in effetti il rapporto non propone, a mio parere, iniziative sufficientemente incisive per colmare il gap che il DESI mette in evidenza.

Uso dei servizi di Internet nel DESI e nel Rapporto Colao

  • Il DESI evidenzia anche che, nel complesso, l’uso dei servizi Internet in Italia rimane ben al di sotto della media UE. La posizione in classifica del Paese è rimasta invariata rispetto alla relazione precedente (26º posto su 28 Stati membri). Lo scarso uso dei servizi Internet riflette il basso livello di competenze digitali. Il 17% delle persone che vivono in Italia non ha mai utilizzato Internet; tale cifra è pari a quasi il doppio della media UE e colloca il Paese al 23º posto nell’UE. Mentre nelle attività ludiche (giochi, musica, video) il gap è molto limitato perché interessano il 79% degli utenti Internet contro l’81% di media europea, per i servizi bancari (48% in Italia contro il 66% in Europa), gli acquisti online (49% contro 871%), e di vendita online (11% contro 23%) la distanza è enorme. Quel che è peggio è che Gli indicatori sono rimasti complessivamente stabili nell’ultimo anno. Nessuna delle attività online monitorate ha ottenuto un punteggio superiore alla media UE, ad eccezione delle videochiamate, utilizzate dal 65% degli utenti di Internet.
  • Su questo punto specifico molte sono le proposte del rapporto Colao, ma diffuse in tutto il lavoro perché evidentemente il tema è stato considerato trasversale a tutte le aree. Si parte con uno stimolo forte per l’estensione, ma nello stesso la regolazione dello smart working; un altro punto forte, sempre nell’area dedicata alle imprese e lavoro, è quello dedicato nella scheda 9 al passaggio a pagamenti elettronici e la disincentivazione dell’uso del contante. Una promozione dell’e-commerce è nella scheda 17 che si occupa di sostegno all’export e che propone di promuovere l’accesso delle PMI ai canali di e-commerce B2B e B2C, incentivando ulteriormente gli investimenti per lo sviluppo di progetti di digitalizzazione e piattaforme proprietarie di vendita diretta. Anche nella terza area del rapporto, dedicata al turismo e alla cultura, c’è uno stimolo all’uso di piattaforme digitali di promozione e acquisto di servizi digitali. Non parlo qui di tutto il capitolo che riguarda la digitalizzazione della PA perché sarà oggetto, assieme ad una trattazione più generale della riforma delle amministrazioni, di un successivo articolo.
  • In conclusione, molti punti del Rapporto possono essere utili per far crescere l’offerta di servizi digitali, molti meno si occupano però di quello che è, a mio parere il punto dolente, ossia la carenza di domanda che nasce dalla già ricordata carenza di competenze, ma anche da una poco coraggiosa politica di switch-off. Quando l’amministrazione ha avuto il coraggio di dire che esiste solo la via digitale, come ad esempio per l’iscrizione scolastica o il censimento, i cittadini hanno risposto e bene.

Conclusioni

Più che per quello che c’è scritto nelle singole schede, che troppo spesso sono state lette e commentate come fossero esse stesse “il rapporto”, mentre dovevano costituirne solo un’appendice tecnica ad uso delle strutture operative delle amministrazioni, è il testo e l’impostazione delle 45 pagine del Rapporto che mette in evidenza il ruolo che questo può avere per colmare il gap crescente tra l’Italia e il resto dei paesi europei in termini di economia digitale.

Vale la pena di leggere in questo senso già il primo dei tre obiettivi indicati in premessa a pag.5 (i neretti sono miei)

L’Italia sarà più resiliente se saprà colmare il ritardo digitale, una necessità assoluta per il futuro del Paese, espandere le opportunità di accesso a nuove e più elevate competenze per tutti, e garantire uguaglianza di opportunità. In confronto ad altri paesi e alle esigenze del domani, l’Italia ha, mediamente, performance scolastiche mediocri, competenze tecnico-scientifiche insufficienti, pochi laureati e limitati investimenti in Ricerca e Sviluppo.

Le amministrazioni pubbliche e molte imprese non valorizzano abbastanza le competenze, offrendo salari di ingresso ridotti, progressioni lente e carriere per lo più basate sul criterio dell’anzianità. Per creare un Paese dinamico e resiliente, è indispensabile investire nel miglioramento e nel potenziamento di Scuola, Università, ricerca e formazione pubblica e privata, nonché varare un serio programma di formazione continua degli adulti, anche utilizzando al meglio le opportunità derivanti dalla digitalizzazione dei contenuti e delle modalità di insegnamento.

Quando poi a pag.6 si passa a indicare i “tre assi di rafforzamento” per la trasformazione del Paese, di nuovo forte’ l’enfasi sulla trasformazione digitale che costituisce il primo asse:

[il primo asse è]…digitalizzazione e innovazione di processi, prodotti e servizi, pubblici e privati, e di organizzazione della vita collettiva. Il Paese, intraprendendo un’azione di radicale digitalizzazione e innovazione, potrà effettuare un “salto in avanti” in termini di competitività del sistema economico, di qualità di lavoro e di vita delle persone, di minore impatto ambientale e di partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. La digitalizzazione è inoltre strumento di trasparenza, riduce gli spazi per l’economia sommersa e illegale e rende possibile uno sfruttamento efficace dei dati per migliorare la qualità di tutte le decisioni di policy e amministrative.

L’Italia soffre in quest’ambito di un significativo ritardo rispetto ad altri paesi e l’epidemia ne ha messo in evidenza le conseguenze penalizzanti.

Mai in un documento pubblico di programmazione avevo letto parole così nette e forti su questo tema. Il giudizio sull’impatto che questo rapporto può avere sulle politiche (policy) per lo sviluppo è quindi in generale positivo. Rimane certamente compito della politica (politics) con le sue contraddizioni, fragilità, ma anche grandi responsabilità, tradurre le indicazioni in provvedimenti concreti, garanti del nostro ordinamento democratico, equi e inclusivi. Ed è compito anche curarne con coerenza e tenacia l’attuazione, perché di provvedimenti inattuati abbiamo pieni i cassetti.

Non è retorica vuota dire che oggi stiamo scrivendo il futuro dei prossimi decenni. L’enorme quantità di risorse che l’attuale politica avrà a disposizione nei prossimi anni (si parla di circa 350 miliardi aggiuntivi, in buona parte come prestiti, seppure a tassi “politici”) sono un’eccezionale opportunità, ma anche una gigantesca responsabilità. Si tratta di un’occasione unica e irripetibile che non può essere sprecata, anche perché scarica sulle nuove generazioni un incremento eccezionale del debito, che si giustifica solo se servirà ad aumentare la produttività e uno sviluppo equo e sostenibile. Uno sviluppo che sarà equo e sostenibile solo se saprà utilizzare la trasformazione digitale come strumento di progresso economico, ma anche sociale e culturale.

Di questi temi parleremo a FORUM PA 2020

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