Reti e servizi

Digitale, il 2020 anno cruciale: le sfide dell’Italia e le priorità dell’Europa

La Ue ha individuato nel digitale uno degli assi portanti per la ripresa e la resilienza nel post emergenza sanitaria. L’arsenale economico messo in campo è importante, così come straordinaria e irripetibile è l’opportunità per il nostro Paese di colmare finalmente il digital divide. Ecco i passi essenziali

Pubblicato il 29 Set 2020

Silvia Compagnucci

vicepresidente di I-Com

europe-cybersecurity

Il 2020 è un anno cruciale per le sorti del digitale in Italia e per l’Europa. In risposta al danno economico scaturito a seguito della pandemia, abbiamo individuato nel digitale uno dei cavalli più promettenti su cui puntare.

Digitale: l’arsenale dell’Europa

E infatti, accanto ad un quadro finanziario pluriennale (QFP) rafforzato, è stato messo in campo uno strumento poderoso, il Next Generation EU, grazie al quale alla Commissione è conferito il potere di contrarre, per conto dell’Unione, prestiti sui mercati dei capitali fino a 750 miliardi di euro a prezzi 2018 con l’impegno dell’Unione a utilizzare i prestiti contratti sui mercati dei capitali al solo scopo di far fronte alle conseguenze della crisi Covid-19. Gli importi così reperiti possono essere usati per erogare prestiti, fino a concorrenza di 360 miliardi di euro a prezzi 2018, e sovvenzioni, fino a concorrenza di 390 miliardi. Le sovvenzioni dovranno essere impegnate per il 70% entro il 2022 e per il restante 30% entro la fine del 2023 mentre il volume massimo di prestiti per ciascuno Stato membro non potrà superare il 6,8 % del suo reddito nazionale lordo. Per accedere a tali risorse, ciascuno Stato membro dovrà definire – entro il 30 aprile 2021 – il proprio piano nazionale per la ripresa e la resilienza in cui è definito il programma di riforme e investimenti dello Stato membro interessato per il periodo 2021-2026 che costituirà oggetto di vaglio da parte della stessa Commissione e del Consiglio.

Reti e servizi a banda larga: le priorità Ue

Quanto ai criteri da seguire nella predisposizione dei piani nazionali, il 17 settembre scorso la Commissione ha pubblicato le linee guida per la predisposizione dei piani e il conseguente accesso al Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza (RRF), nelle quali ha indicato, tra le varie priorità da seguire, quella di accelerare lo sviluppo di reti e servizi a banda larga.

Sempre nella logica di favorire lo sviluppo delle reti è attesa, secondo quanto riportato dalla stampa, la pubblicazione di una Toolbox europea per la riduzione dei costi di realizzazione delle reti (in fibra e 5G) che punterà su procedure elettroniche e sul cosiddetto Punto di informazione unico per verificare la disponibilità di infrastrutture esistenti prescrivendo agli Stati membri di presentare entro aprile 2021, il proprio piano di adozione e recepimento ed entro aprile del 2022 l’invio di un resoconto sulle attività effettuate e lo stato di avanzamento dei progetti. Ebbene, se questo è il contesto generale non può sfuggire quanto sia straordinaria e irripetibile l’opportunità per il nostro Paese di colmare finalmente il digital divide e sanare il ritardo che ancora ci vede lontani dai paesi europei digitalmente più avanzati.

Banda ultralarga: lo stato dell’arte in Italia

A livello di procedure, l’Italia, attraverso il Decreto Semplificazioni, che all’articolo 38 ha fissato la modalità del silenzio-assenso per evitare lungaggini autorizzative e semplificare il roll out delle reti 5G, ha mostrato di intraprendere la giusta strada. È in progress, invece, l’attività di monitoraggio del Piano banda ultralarga varato nel 2015. E infatti, in questo contesto in cui da una grande tragedia – la pandemia – nasce una straordinaria opportunità per la modernizzazione e lo sviluppo del nostro Paese e dell’Unione europea intera, si inquadra l’attività di aggiornamento della mappatura della copertura del territorio nazionale con reti a banda ultra-larga condotta da Infratel su mandato del MISE.

Il 9 settembre scorso, in particolare, Infratel ha reso noti i risultati della consultazione pubblica dalla stessa bandita il 24 giugno alla quale hanno risposto 44 operatori (16 in più rispetto alla mappatura effettuata nel 2019). Dal punto di vista metodologico, la mappatura, relativa alle coperture consuntivate al 3 dicembre 2019 e quelle pianificate nel triennio 2020-2022, è stata realizzata chiedendo agli operatori di fornire, per ogni numero civico identificato con un codice univoco, informazioni circa le infrastrutture a banda ultra-larga esistenti o pianificate.

Quanto ai risultati, il quadro che emerge al 2022 è il seguente:

  • il numero totale dei civici oggetto della mappatura si attesta in 20.766.506 di cui l’85,97% neri, il 13,65% grigi e lo 0,38% bianchi;
  • la percentuale di civici serviti con reti VHCN (FO e FWA) ammonterà al 77,2% del totale dei civici neri e grigi;
  • crescerà l’impiego della tecnologia FWA che connetterà il 28,01% del totale dei civici VHCN mentre l’FTTH peserà per il 49,24%;
  • riguardo alla ripartizione regionale Umbria, Friuli Venezia Giulia, Marche e Veneto saranno le regioni con il più elevato tasso di copertura ultra-broadband, in fibra o FWA con tassi oltre il 95% mentre il rame continuerà a primeggiare in Basilicata, Calabria, Molise e Sardegna;
  • circa 80.000 civici risulteranno bianchi, richiedendo un intervento pubblico.

L’analisi dei risultati della consultazione mostra, con riguardo alle coperture VHCN, un dato di copertura effettiva preoccupante e un dato prospettico al di sopra delle più rosee aspettative di partenza, quasi eclatante: infatti, la percentuale di coperture VHCN che a fine 2019 si è attestata, con grave ritardo soprattutto considerando che le aree grigie ospitano molti distretti industriali, al 23,1%, nel 2022 dovrebbe ammontare, secondo quanto dichiarato dagli operatori, al 77,2%.

Conclusioni

Qualora le previsioni dovessero avverarsi, il dato darebbe conto di uno straordinario sforzo del Paese, che siamo i primi ad augurarci. Tuttavia, complice anche la carenza o l’insufficienza di una chiara visione di politica industriale, la sussistenza di equilibri politici instabili e l’atavica immaturità della domanda, fin qui si è sempre assistito a una divergenza – più meno ampia – tra quanto dichiarato e quanto poi effettivamente realizzato dagli operatori. È chiaro che l’iniziativa economica è e deve essere libera e che la sopravvenienza di situazioni nuove impatti inevitabilmente sui piani di investimento degli operatori, ma specie in questa occasione, che richiede l’enunciazione e la successiva realizzazione di indicatori ben precisi per poter accedere ai fondi del Next Generation EU, è fondamentale che le istituzioni incaricate di individuare i bisogni e pianificare gli interventi pubblici trovino nel privato la necessaria collaborazione, remando tutti insieme verso la stessa direzione: il completamento del processo di sviluppo infrastrutturale del nostro paese.

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