Mentre si aspetta l’esito delle trattative per la cessione della rete fissa di TIM e prosegue il processo di societarizzazione delle diverse attività operative, torna di attualità il dibattito sullo switch-off della rete in rame.
A prescindere dall’assetto finale della rete di accesso, in uno scenario di rete unica o meno, l’evoluzione in atto in tutti i principali Paesi europei dimostra come sia necessario pianificare un processo di migrazione verso le reti più avanzate e di progressivo spegnimento delle reti in rame.
Da un lato lo impone l’efficienza economica nella gestione delle reti e, dall’altro, lo switch-off è condizione necessaria per il pieno dispiegamento del potenziale dei servizi digitali.
Strategia per l’innovazione 2025, serve lo switch-off o sarà solo un “ritorno al passato”
L’avanzamento della copertura e del take-up dei servizi FTTH
Negli ultimi anni, la dinamica competitiva tra Open Fiber e TIM ha fatto sì che l’Italia sia stato uno dei Paesi europei a presentare uno degli incrementi più rapidi nella copertura dei servizi in fibra fino a casa degli utenti finali (Fiber To The Home, FTTH). Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’AGCom nell’ambito delle analisi del DESI (Digital Economy and Society Index), la copertura dei servizi FTTH in grado di abilitare servizi a 1 Gbit/s era nel 2021 del 44%, contro la media dell’Unione Europea del 70%. Come dimostrano però i dati dell’FTTH Council, il take-up dei servizi FTTH rimane tra i più bassi in Europa. Di fatto, a fine 2022 sono solo circa 3,5 milioni gli accessi FTTH sul totale degli accessi di rete fissa in Italia (20 milioni).
Le cause di questo divario sono molteplici e non sempre riportate correttamente nei confronti internazionali. La prima motivazione è meramente “strutturale” e legata alla disaffezione verso le linee fisse che contraddistingue l’Italia, con una quota di famiglie “mobile only” tra le più alte in Europa e che non stanno cambiando idea in merito alla modalità di accesso a Internet, anche per effetto dell’evoluzione delle velocità consentite dalle reti mobili. Un altro aspetto rilevante è legato alla disponibilità di servizi FTTC (Fiber to The Cabinet) che offrono livelli prestazionali anche superiori ai 100 Mbit/s, grazie all’upgrade della rete in rame e alla lunghezza della rete secondaria che consente performance mediamente superiori a quanto riscontrabili in altri Paesi. Le politiche commerciali dei diversi operatori svolgono anch’esse un ruolo importante. Anche se il differenziale di prezzo è stato sostanzialmente azzerato rispetto alle soluzioni meno performanti, le strategie commerciali rispecchiano le condizioni di accesso ai servizi all’ingrosso e i rapporti con i due grandi fornitori (TIM e Open Fiber).
Infine, al di là del tradizionale richiamo al “divario culturale” sul digitale, non si può trascurare la naturale rigidità al cambiamento. Tale diffidenza può essere più o meno razionale ed è spesso legata ad un livello di soddisfazione relativamente elevato per i servizi attuali e alla paura di costi impliciti/espliciti al cambiamento (come, ad esempio, quelli legati agli interventi all’interno degli edifici e/o delle abitazioni).
L’insegnamento dell’esperienza francese
Al di là della specificità dell’Italia, i principali Paesi europei hanno avviato un percorso verso lo switch-off delle reti in rame (Francia, Regno unito, Spagna, Norvegia, Svezia, etc…), che coinvolge inevitabilmente anche le Istituzioni pubbliche, sia per motivi regolamentari che per effetto dell’esistenza di molteplici applicazioni legacy per servizi di pubblica utilità che utilizzano ancora soluzioni obsolete base sulle reti in rame.
Uno dei casi più interessanti e utili per disegnare una via italiana allo switch-off è sicuramente quello della Francia, che ha avviato molti anni fa un dibattito per definire le modalità di spegnimento delle reti tradizionali e di migrazione verso quelle di nuova generazione. Sulla base di un piano presentato e approvato nell’ultimo biennio, il percorso di spegnimento della rete in rame inizierà di fatto nel 2026 e dovrà completarsi entro il 2030, data obiettivo del Digital Compass europeo per la Gigabit Society.
La situazione attuale è sicuramente favorevole, con una copertura FTTH delle unità immobiliari che a giugno 2021 era pari a circa il 60% delle unità immobiliari francesi, con un take-up attorno al 50%. A fine 2022 gli accessi FTTH erano saliti a oltre 18 milioni.
Il quadro regolamentare definito dall’Autorità di settore prevede uno spegnimento in due fasi, come accade di norma per la migrazione dei servizi di telecomunicazioni: la prima consiste nella chiusura commerciale, sia sul mercato all’ingrosso che al dettaglio; la seconda prevede la chiusura tecnica, che corrisponde alla definitiva interruzione dei servizi in rame. Il preavviso minimo è di 36 mesi, con almeno 12 mesi tra le due fasi e una tempistica che potrà comunque essere accorciata dall’Autorità dopo l’analisi dei piani di dettaglio. Le condizioni di chiusura commerciale di un’area richiedono da un lato la copertura complessiva con la nuova rete e, dall’altro, l’accesso a condizioni tecniche ed economiche confrontabili a quelle di cui beneficiavano gli operatori al dettaglio sulla vecchia rete, con almeno un’offerta FTTH effettivamente disponibile su tutta la zona.
Infine, il feedback che proviene dalle prime sperimentazioni evidenzia una complessità intrinseca e molti punti di attenzione per l’attuazione di un processo industriale su larga scala, tra i quali: la definizione di una progressione delle chiusure coerente con la capacità produttiva; l’aggregazione territoriale omogenea delle aree di intervento; l’identificazione dei diversi possibili use case, in funzione della tipologia di clientela, di applicazione, complessità dei siti; gli incentivi, pubblici e privati, per agevolare il processo di migrazione.
La via italiana allo switch-off
In definitiva, per cogliere rapidamente e pienamente le opportunità legate alla trasformazione digitale è necessario pianificare sin da ora un percorso verso lo switch-off della rete in rame, anche in considerazione delle rigidità del contesto nazionale sopra richiamate. L’interesse dei diversi stakeholder potrebbe e dovrebbe convergere. Anche se l’operatore storico può in linea teorica tendere a massimizzare la rendita di “monopolio” delle infrastrutture in rame, le dinamiche competitive e l’impulso dei piani governativi rende sempre meno efficiente dover gestire due reti diverse (nella componente di rete secondaria).
Vale anche la pena di ricordare come lo Stato sia proprietario di una rete FTTH (e in parte FWA) nelle aree più remote del Paese (oltre il 25% della popolazione), in corso di completamento da parte del concessionario Open Fiber, con un finanziamento pubblico di oltre 1,5 miliardi di euro, ma livelli di take-up ancora bassissimi.
In realtà, TIM ha già presentato dei progetti decommissioning (a partire dal 2017) approvati dall’AGCom, che prevedono la progressiva chiusura di centrali (circa 6.000 su un totale di oltre 10.000) e la migrazione verso i servizi NGAN (Next Generation Access Network) offerti sulla rete in fibra ottica di tipo misto (fibra-rame fibra-wireless), ma non la migrazione definitiva verso l’FTTH. Tale processo è comunque compatibile con una successiva fase di dismissione complessiva del rame.
In conclusione, le motivazioni economiche, tecniche e anche ambientali (legate all’efficienza energetica) concorrono a convergere per incentivare l’accelerazione del processo verso lo switch-off. I tempi sono maturi, il tempo a disposizione non è infinito se si vuole rimanere al passo con gli altri Paesi europei.