Nella Strategia 2025 presentata dal Ministro per l’Innovazione tecnologica e la digitalizzazione lo scorso dicembre, le parole “salute”, “sanità”, “crisi”, ed “emergenza” non appaiono mai.
È una mancanza che salta agli occhi oggi, in tempi di coronavirus “Italia zona protetta” e di #iorestoacasa, ma che è perfettamente comprensibile in un’ottica – quella di ieri – in cui il digitale è prima di tutto un motore per l’economia e la competitività. Anzi, da questo punto di vista il documento ha rappresentato un passo in avanti, ponendo un forte accento sulla sostenibilità sociale dell’innovazione tecnologica.
La crisi causata dalla pandemia del coronavirus sta però rendendo ancor più evidente quanto a molti già chiaro: il digitale può rendere una società più resiliente, non solo più competitiva ed efficiente. Un Paese resiliente, meno fragile, è capace di reagire di fronte ai traumi e alle difficoltà, di resistere agli urti senza frantumarsi, e di tornare il più velocemente possibile a uno stato di (relativo) equilibrio.
L’urto del COVID-19 sta arrivando potente, e solo con la ricerca di soluzioni concrete ed efficaci – certamente nel breve, ma anche nel medio e nel lungo periodo – l’Italia potrà acquisire resilienza rispetto alla crisi presente e a quelle future. È quello su cui ci interrogheremo assieme alle istituzioni già a partire dal prossimo 17 marzo, al kick-off – rigorosamente in streaming (qui il link per iscriversi) – dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano: su quali direttrici agire per abilitare questo processo?
Attuare l’Agenda digitale: infrastrutture, competenze, servizi pubblici
Non possiamo sapere se i Paesi europei che più hanno investito nelle infrastrutture digitali – pubbliche e private – che vantano cittadini e lavoratori più competenti nel digitale, e che hanno potenziato i servizi pubblici (sanitari in primis) grazie alla tecnologia saranno effettivamente quelli che usciranno meglio dalla crisi coronavirus. Il caso cinese, tuttavia, lascia supporre che molto dipende da questi tre fattori.
Come sottolineano diversi articoli pubblicati negli scorsi giorni (vedi: WEF, ITN, AXA, TMF), la prontezza della Cina su questi fronti è stata molto elevata:
- Settore pubblico e privato hanno cooperato efficacemente per potenziare in fretta non solo la rete ospedaliera, ma anche per aumentare le forniture energetiche e per cablare le aree in emergenza;
- Milioni di lavoratori e studenti hanno potuto continuare a lavorare e studiare: le piattaforme di e-learning hanno operato a pieno ritmo da subito; i vari provider di soluzioni collaborative da remoto hanno potenziato i loro tool nelle scorse settimane, anche offrendo licenze gratuite; inoltre grandi player dei servizi digitali si sono impegnati per ridurre l’impatto sull’occupazione e sul reddito, assumendo a breve termine lavoratori dai settori più colpiti e offrendo sussidi e prestiti agevolati.
È evidente come tali soluzioni – a quanto pare efficaci per la Cina – possano sussistere e funzionare solo se c’è la disponibilità di risorse finanziarie e se:
- Le infrastrutture di rete (ad esempio la banda larga) possono reggere un sovraccarico improvviso; è a causa di questa limitazione, ad esempio, che alcune scuole italiane fanno fatica ad attivare l’e-learning (vedi qui) e se è in difficoltà la meritoria iniziativa “Solidarietà digitale” lanciata dal Ministero per l’innovazione italiano per offrire servizi gratuiti o agevolati nelle zone colpite, con l’aiuto delle imprese (fonte);
- I cittadini e i lavoratori – pubblici e privati – hanno sufficienti competenze e confidenza con gli strumenti digitali, potendo così da subito sfruttarne le potenzialità; sono queste le aree in cui l’Italia ha notoriamente più difficoltà, e anche in questo caso ne stiamo risentendo sia nell’istruzione che nel mantenere attive le imprese;
- Il sistema sanitario è innovativo ed efficiente, dotato di tutte le strutture (anche digitali) necessarie per affrontare le emergenze e farlo efficientemente; anche in questo caso è ben noto come il SSN sia in difficoltà (qui una breve riflessione in proposito).
Come sottolinea uno dei pochi paper prodotti a livello europeo su questa materia, è poi attualissimo il tema dell’interoperabilità, caratteristica chiave dei sistemi pubblici e privati per garantire massima flessibilità nei momenti critici.
Sfruttare le innovazioni digitali in campo pubblico
Parliamo di smart working, prima di tutto. Un recente articolo di Bloomberg puntava il dito contro l’Europa, indicando come non ci siano ancora le condizioni per un “lockdown” che garantisca ai sistemi produttivi nazionali di rimanere attivi, lavorando da casa. Ciò è ancor più vero in ambito pubblico, dove la natura dei servizi richiederebbe invece una prontezza ancora maggiore, visto che il contatto con l’utenza rischia di esporre al contagio i cittadini e i lavoratori.
Il Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio si è attivato per affrontare al meglio e al più presto la questione, conscio delle problematiche – la carenza di competenze, la mancanza di device per il lavoro da remoto, i rischi a livello di sicurezza e privacy – ma anche dei grandi vantaggi che la trasformazione digitale porterebbe in questo senso, innanzitutto ma non solo in tempi di rischio epidemico.
Ma l’elenco delle innovazioni “di frontiera” necessarie per un settore pubblico resiliente non si esaurisce qui. Un articolo de Il Sole 24 Ore ha sottolineato molto bene come tecnologie quali Big Data e Intelligenza Artificiale abbiano potuto, una volta messe al servizio del Governo cinese, supportare grandemente il sistema sanitario sotto stress, con strumenti sia analitici che predittivi.
Migliorare la macchina degli acquisti pubblici
In tempi di emergenza servono più risorse, più macchinari, più beni e servizi. Molte di queste esigenze vengono gestite con strumenti di acquisto straordinari, ma gli enti pubblici – gli ospedali in primis – fanno anche ricorso alla dotazione costituita in tempi pre-crisi e, soprattutto, nei casi ancora non travolti dall’emergenza vera e propria, gli strumenti straordinari non sono attivabili e l’unica alternativa è velocizzare al massimo le procedure ordinarie.
È quindi necessario dotarsi di un sistema di procurement che sia capace di:
- Gestire gli acquisti in maniera efficace ed efficiente nei tempi di “quiete”, permettendo alle strutture pubbliche (sanitarie prima di tutto, nuovamente) di essere già dotate di macchinari e scorte di qualità e in quantità sufficienti;
- Far accelerare le procedure di acquisto ordinarie, per venire incontro all’esaurimento delle scorte e per potenziare le strutture di periferia (ad esempio, i sistemi sanitari del Mezzogiorno che potrebbero essere colpiti dalla crisi e già sanno di non avere sufficienti risorse operative).
I bandi a tempi di record gestiti da Consip in questi giorni dimostrano che – grazie al potenziamento dell’eProcurement e delle infrastrutture di rete, e allo snellimento dei processi (vedi qui ad esempio) – siamo più vicini ad essere pronti rispetto al punto (b). È necessario apprendere in fretta la lezione e poi applicarla anche al punto (a), per gestire al meglio le emergenze future.
Accelerare lo switch-off dei servizi pubblici e fare squadra
Ultimo ma non ultimo, l’emergenza sta dimostrando come sia sempre più urgente dismettere le modalità tradizionali (analogiche) di erogazione dei servizi pubblici, per passare a modalità digitali e più efficienti. È necessario oggi per evitare spostamenti e contatti superflui, sarà ancora necessario domani per gli stessi motivi e per avere servizi più efficienti, ridurre la mobilità delle persone, aumentare la produttività.
Lo swtich-off è un percorso avviato, ma la crisi in corso ci permette di comprendere meglio due aspetti in particolare:
- È fondamentale che gli interventi previsti siano ben progettati; non c’è sempre tempo per rivedere i processi daccapo, è necessario che i servizi digitali siano pronti all’uso ed efficaci al bisogno;
- Non è più accettabile il livello di digital divide che osserviamo, in particolare in Italia. Per muoversi come un sol uomo, per agire in maniera coordinata ed efficace, serve fare squadra. Ridurre le disuguaglianze nella dotazione di servizi digitali è prioritario per raggiungere la resilienza, e per ottenerli tutti omogeneamente.
Conclusioni
Il termine “resilienza” non è stato molto popolare in Europa e in Italia, negli ultimi anni. Ciò malgrado le crisi economiche (2008 e 2011) e i ripetuti eventi catastrofici – di natura principalmente climatica (per un costo di circa 450 miliardi di euro nel periodo 1980-2017; dati EEA) o sismica (i terremoti del Centro Italia). Si parla di resilienza, soprattutto in ambito pubblico, principalmente in termini di cybersecurity o in campo finanziario.
È un tema più vivo in Oriente e in generale in quei Paesi che hanno purtroppo maggiore familiarità con le crisi sanitarie.
Un’indagine di FHI360 e della Rockefeller Foundation ha raccolto decine di casi di progetti di innovazione digitali volti a rendere in particolare le regioni dell’Asia-Pacifico più resilienti di fronte a fenomeni di diverso tipo. La salute è risultata tema prioritario per un progetto su due.
Non sappiamo ancora quale sarà la reazione da questo punto di vista negli Stati Uniti, dove la consapevolezza sul virus è ancora limitata e la sanità pubblica povera (vedi qui). Fino ad oggi le autorità hanno spesso avuto a che fare con eventi estremi di tipo climatico e in molti casi si sono sviluppate soluzioni digitali a misura di individuo, mentre le misure sociali hanno avuto scopo e durata limitati.
Il COVID-19 impatterà su tutto questo, ma ci darà l’opportunità (indesiderata, ma presente) di imparare alcune lezioni importanti. Tra queste, il considerare le tecnologie digitali un fattore abilitante chiave per le società contemporanee, non solo per la loro sopravvivenza economica, ma anche per quella sociale e – in un certo senso – biologica.