Il caso

Emilia-Romagna: adesso che abbiamo la banda larga cosa ne facciamo?

Procedono i lavori per l’attuazione del Piano telematico e la fine del digital divide. Ma le imprese arrancano, sottovalutano l’Ict e fanno fatica a comprendere i benefici di connessioni più rapide. Il 2013 anno cruciale

Pubblicato il 29 Nov 2012

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Mentre procede il piano dell’agenda digitale in Emilia Romagna, emerge chiaro per la prima volta un paradosso. Le infrastrutture crescono, ma le aziende faticano a comprenderne il senso. Non sanno che fare della banda larga, insomma. E ancora non si sa se si troveranno i soldi necessari per fare formazione alle imprese. Un problema che è uno specchio delle lacune digitali non solo della regione ma anche dell’Italia tutta.

E questo nonostante che l’Emilia Romagna abbia già un piano ben strutturato di agenda digitale. Si chiama Piter, Piano telematico regionale, che fino al 2013 ha dettagliato gli indirizzi della Regione. E anche se nessun assessore si prende la responsabilità di raccontare quanto di buono si sta facendo, i lavori proseguono con linee strategiche che prevedono la chiusura del digtal divide, il diritto di accesso all’informazione e conoscenza, servizi per persone e imprese, accesso ai dati e intelligenza diffusa sul territorio urbano.

In campo sanitario si punta alla creazione di un Portale per l’accesso online ai servizi Sanitari dopo che è già stato varata il sistema Sole che mette in collegamento medici, pediatri di famiglia, professionisti dei servizi ospedalieri e territoriali, e le strutture amministrative delle aziende sanitarie. Gli open data per il quale è già stato inaugurato un portale stanno arricchendo il catalogo dei dataset, mentre un occhio particolare viene dato alla formazione con “Pane e Internet”, un progetto che faceva già parte dei precedenti Piter e che viene riproposto con l’obiettivo di formare almeno diecimila cittadini cercando di sensibilizzare le realtà locali perché varino iniziative sull’uso del pc e di Internet. Di fare formazione c’è molto bisogno, in Emilia Romagna. Soprattutto per l’industria, che appare in ritardo nel passaggio al digitale.

La regione che viaggia verso la chiusura del digital divide, infatti, ha un problema. Mentre Lepida, la società che ha il compito di copre con la banda larga l’intero territorio procede con il piano telematico regionale, le imprese non hanno ancora compreso a cosa serva questa benedetta Adsl.

Nella regione delle spiagge con il wi-fi, sempre un passo avanti rispetto alla concorrenza, o del distretto della meccatronica l’innovazione è insofferenza.

Luca Valli, direttore del centro per l’innovazione e lo sviluppo economico, ha appena pubblicato un rapporto sulla Regione dove si descrive un panorama fatto di molta innovazione incrementale e di poca innovazione radicale.

“In più – aggiunge – le aziende in questo momento investono ancora meno in innovazione e gli effetti li vedremo nei prossimi anni”. Nel periodo 2009-2011 l’acquisto di nuovi macchinari e attrezzature è diminuito del 14,4%, il software dell’8,9% e l’hardware dell’11,2%. E quasi sei imprese su dieci dichiarano di non avere introdotto innovazioni nell’ultimo triennio. Questo in una regione dove le spese di R&S incidono sul Pil in maniera maggiore rispetto alla media nazionale.

“Abbiamo notato – prosegue – che esiste una mancanza di comprensione di cosa è possibile fare con la banda larga. Ma il gap culturale riguarda l’Ict in generale non solo l’Adsl”.

Il 22,5% pensa che con una connessione adeguata a trarre giovamento sarebbe soprattutto la navigazione in Internet, il 20,6% la posta elettronica e solo il 5,8% il commercio elettronico e il 5,3% il supporto all’attività produttiva.

“Le imprese – osserva Valli – sono bombardate da informazioni, ma la struttura interna non riesce a tradurle in conoscenza”. Il periodo d’oro del “piccolo è bello” è passato e oggi vediamo l’atra faccia della medaglia di un’economia formata essenzialmente da micro, piccole e medie imprese.

Il dato ha un valore proiettato anche a livello nazionale. L’Emilia Romagna vanta infatti maggiori livelli di istruzione rispetto alla media nazionale. I dati del censimento 2001 riportati nel rapporto sull’innovazine parlano di 8,1 laureati ogni cento abitanti rispetto ai 7,5 delle media nazionale. I diplomati sono il 26,7% (25,9% Italia) e nel 2010 circa il 40% delle popolazione della regione aveva un titolo di studio fermo alla licenza media inferiore contro il 45% a livello nazionale. Inoltre, le fasce d’età comprese fra 25-64 anni hanno partecipato ad attività formative per il 6,8% contro il 6,2% della media del Paese. Nella regione esistono quindi livelli più alti di istruzione che non si traducono però in una forte spinta all’innovazione nell’industria.

Non è in discussione la capacità imprenditoriale della regione, ma mentre il pubblico cerca di chiudere i buchi della connettività sul territorio dall’altra parte non si riesce a sfruttare appieno questo sforzo.

Gianluca Mazzini, direttore generale di Lepida, concorda sul dato del rapporto sull’innovazione che stima all’89% la copertura a livello regionale, ma racconta “di oltre venti milioni già investiti fra Stato e Regione e di altri otto in via di investimento”. Si porta la fibra ottica nei pressi delle centrali Telecom con i cavi a disposizione di tutti gli operatori, mentre il Piter, il piano telematico dell’Emilia-Romagna prevede il Wimax per le zone a fallimento di mercato, accordi con 12 operatori wireless che arrivano nei luoghi più impervi senza contare il “mille comuni” di Vodafone, qualche sprazzo di connessione satellitare e una dorsale che dovrebbe correre da Piacenza a Rimini. Il fine lavori è previsto per gli ultimi mesi del 2013 quando il digital divide non esisterà più e tutti avranno 2 Mb/s a disposizione. Per l’Ngn, spiega Mazzini, si lavora invece per trovare il giusto modello che metta d’accordo comuni e operatori dando un occhio anche alla parte normativa.

E poi bisogna fare in modo che le imprese siano in grado di utilizzare tutta questa roba. “Stiamo mettendo a punto una strategia con le associazioni imprenditoriali perché il problema non è solo la banda larga ma spiegare come tutto questo possa incidere sui processi aziendali”. Il ritardo delle imprese c’è, ma la sensibilità al tema è molto recente e si è materializzata soprattutto quest’anno. Il 2013 deve essere l’anno del salto di qualità e per questo sono in via di definizione accordi con le Camere di commercio anche se non sarà facile trovare i soldi per finanziare la formazione. Ma Mazzini è fiducioso perché vede “aumentare la consapevolezza”.

E qualche segnale positivo lo intravvede anche Paolo Angelini, presidente di Rete Ict, l’associazione che unisce le imprese dell’Ict. Oltre all’attenzione verso il cloud, quando avviene il cambio generazione l’interesse verso le nuove tecnologie si percepisce immediatamente. Per i giovani imprenditori l’Ict non è un mistero, Angelini ha qualche obiezione sul “sistema”. “Le iniziative sono tutte rivolte all’utilizzatore finale e manca il coinvolgimento delle aziende che si occupano di tecnologia”. Tanto per fare un esempio nel comitato scientifico dell’agenda digitale di Bologna non c’è neanche un imprenditore. Se in ogni convegno si ripete che “bisogna fare sistema” allora è il caso di iniziare a costruirlo anche per coinvolgere le aziende italiane che lavorano nel mondo tecnologico.

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