Il salto al 5G darà luogo a nuovi scenari di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza che saranno emessi in bande di frequenza (700 MHz, 3.6-3.8 GHz, 24-28 GHz) diverse da quelle utilizzate attualmente per la telefonia mobile (da 800 MHz a 2.6 GHz).
Prendono di nuovo forza in questa prospettiva le preoccupazioni riguardo ai possibili effetti sulla salute dei cittadini. Ma gli studi scientifici al momento non dimostrano l’ipotesi di cancerogenicità da esposizione. Lo scenario che si prefigura.
Le onde “millimetriche”
Uno degli aspetti di particolare novità del 5G – tecnologia di telefonia mobile di quinta generazione – consiste nel fatto che non sarà finalizzato solo alla comunicazione tra persone, ma anche al cosiddetto Internet delle cose, in cui vari dispositivi wireless comunicano direttamente tra loro, utilizzando in particolare onde elettromagnetiche di frequenza appartenente alla banda 24-28 GHz indicate spesso come “onde millimetriche” anche se quest’ultime corrispondono più precisamente alle frequenze comprese tra 30 e 300 GHz (lunghezze d’onda comprese tra 1 e 10 mm).
Small cell: tante antenne
Onde elettromagnetiche di così elevata frequenza, durante la loro propagazione, non riescono a penetrare attraverso gli edifici o comunque a superare ostacoli, ed inoltre vengono facilmente assorbite dalla pioggia o dalle foglie. Per questo motivo sarà necessario utilizzare, in maggiore misura rispetto alle attuali tecnologie di telefonia mobile, le cosiddette small cells, aree di territorio coperte dal segnale a radiofrequenza le cui dimensioni, che possono andare da una decina di metri (indoor) a qualche centinaio di metri (outdoor), sono molto inferiori a quelle delle macrocelle che possono essere anche di qualche decina di chilometri [1].
Ciò comporterà l’installazione di numerose antenne e questa “proliferazione di antenne” sembra essere una delle principali cause di preoccupazione nel pubblico circa possibili rischi per la salute connessi alle emissioni elettromagnetiche del 5G. Per comprendere quanto queste preoccupazioni siano fondate è necessario esaminare lo stato delle conoscenze scientifiche circa gli effetti sulla salute dei campi elettromagnetici a radiofrequenza, distinguendo tra effetti a breve termine ed effetti a lungo termine, questi ultimi non accertati nonostante i numerosissimi studi scientifici condotti al riguardo.
Effetti a breve termine dei campi elettromagnetici sulla salute
Gli unici effetti sulla salute umana dei campi elettromagnetici a radiofrequenza che siano stati accertati dalla ricerca scientifica sono gli effetti a breve termine, di natura termica, dovuti a meccanismi di interazione tra i campi e gli organismi biologici ben compresi. L’energia trasportata da un’onda elettromagnetica incidente sul corpo umano viene in parte riflessa, in parte assorbita ed in parte trasmessa dal corpo stesso.
L’energia elettromagnetica assorbita dai tessuti del corpo umano viene convertita in calore provocando quindi un aumento della temperatura del corpo, generalizzato o localizzato a seconda delle modalità di esposizione. L’entità di questo aumento di temperatura dipende dai meccanismi di termoregolazione corporea quali l’aumento della circolazione sanguigna, la sudorazione o la respirazione accelerata. Queste reazioni biologiche rallentano il processo di riscaldamento e limitano la temperatura a cui si stabilisce l’equilibrio termico. L’organismo può tollerare aumenti di temperatura inferiori a 1°C, soglia al di sotto della quale non si verificano pertanto effetti di danno per la salute.
Gli standard internazionali di protezione definiscono limiti di esposizione ai campi elettromagnetici il cui rispetto garantisce ampiamente, grazie anche all’introduzione di opportuni fattori di riduzione, che la soglia degli effetti termici non venga superata [2]. Tali standard sono stati recepiti da vari Paesi nel mondo e parzialmente anche in Italia dove per i sistemi fissi per le telecomunicazioni e radiotelevisivi sono previsti limiti di esposizione (da rispettare sempre) e valori di attenzione (da rispettare nei luoghi adibiti a permanenze prolungate dei soggetti della popolazione) più restrittivi dei limiti internazionali in quanto finalizzati alla tutela della salute anche da eventuali effetti a lungo termine [3].
Effetti a lungo termine sulla salute: le ipotesi in campo
La possibilità di rischi per la salute a lungo termine, connessi alle esposizioni ai campi elettromagnetici a radiofrequenza a livelli inferiori a quelli raccomandati dagli standard internazionali di protezione, è stata e continua ad essere oggetto di numerosissimi studi scientifici, sia di tipo osservazionale direttamente sugli esseri umani (studi epidemiologici), sia di tipo sperimentale su animali in vivo e su cellule in vitro.
L’insieme degli studi disponibili è stato esaminato da diverse commissioni nazionali e internazionali di esperti, nel corso degli anni, al fine di valutare se l’esposizione ai campi elettromagnetici provochi danni alla salute umana. In particolare, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha valutato nel 2011 le evidenze scientifiche sulla cancerogenicità dei campi elettromagnetici a radiofrequenza emessi dai telefoni cellulari, da antenne radiotelevisive e antenne fisse per telefonia cellulare, nonché da apparecchiature di notevole potenza usate in ambito industriale [4].
Secondo la IARC, il complesso degli studi esaminati non supporta l’ipotesi di cancerogenicità dei campi elettromagnetici, con l’eccezione di alcuni studi epidemiologici di tipo caso-controllo che hanno evidenziato, a differenza di altri analoghi studi, un aumento del rischio di glioma (un tumore maligno del cervello) e di neurinoma del nervo acustico (un tumore benigno) in relazione all’uso intenso di telefoni cellulari.
Un problema comune agli studi caso-controllo era che l’utilizzo di telefoni cellulari veniva accertato retrospettivamente sulla base di questionari con i quali veniva chiesto ai partecipanti (casi affetti dalle patologie e controlli sani) di ricordare numero e durata delle conversazioni telefoniche, anche a distanza di molti anni dall’inizio d’uso.
Nessi causa-effetto tra campi elettromagnetici e tumori
Per questo motivo la IARC ha definito l’evidenza proveniente da questi studi come “limitata” in quanto, anche se potrebbe essere dovuta ad un reale nesso di causa-effetto tra esposizione ai campi elettromagnetici emessi dai telefoni cellulari e insorgenza dei tumori, non si possono escludere altre spiegazioni come una distorsione dei risultati dovuta al fatto che la valutazione dell’utilizzo dei telefoni cellulari era totalmente affidata al ricordo dei partecipanti agli studi, con la possibilità che i soggetti malati, pienamente consapevoli della natura dello studio cui stavano partecipando, tendessero a sovrastimare nel ricordo, rispetto ai controlli, il passato utilizzo del telefono cellulare.
Inoltre, questo aumento di rischio non è stato osservato in altri studi epidemiologici e non è stato confermato dai numerosi studi sperimentali condotti su animali e su cellule. Per questi motivi la IARC ha classificato i campi elettromagnetici a radiofrequenza solo come “possibilmente cancerogeni per gli esseri umani” (gruppo 2B) e non come “probabilmente cancerogeni per gli esseri umani” (gruppo 2A), né come “cancerogeni per gli esseri umani” (gruppo 1, in cui sono compresi ad esempio la radiazione solare e il radon presente nelle abitazioni).
La stessa IARC, in una recente pubblicazione divulgativa sul proprio sistema di classificazione delle evidenze di cancerogenicità, afferma che “i campi a radiofrequenza sono classificati nel gruppo 2B perché c’è un’evidenza tutt’altro che conclusiva che possano provocare il cancro negli esseri umani” [5].
Va inoltre sottolineato che nuove evidenze epidemiologiche, successive alla valutazione della IARC del 2011 e provenienti da studi di tipologia diversa (studi di coorte, studi sull’incidenza dei tumori nella popolazione) sembrano smentire le indicazioni degli studi caso-controllo [6].
Due recenti studi sperimentali su ratti e topi da laboratorio condotti dal National Toxicology Program (NTP) negli USA [7] e dall’Istituto Ramazzini in Italia [8] forniscono invece qualche evidenza a supporto dell’ipotesi di cancerogenicità dei campi elettromagnetici a radiofrequenza, pur se con alcune limitazioni e difficoltà interpretative.
Entrambi gli studi evidenziano un incremento di un particolare tipo di neoplasia (schwannoma cardiaco) tra gli animali esposti rispetto ai non esposti, mentre non viene evidenziato alcun eccesso per quanto riguarda i numerosi altri tipi di tumore esaminati. Inoltre, gli incrementi osservati sono numericamente piccoli e sono inaspettatamente limitati ad un sesso e ad una specie: ad esempio, gli incrementi di schwannomi cardiaci nello studio USA sono stati osservati solo nei ratti maschi (con 5 casi e 6 casi nelle categorie più elevate di esposizione a campi con modulazione GSM e CDMA, rispettivamente, contro 0 casi nei gruppi di controllo) ma non nei ratti femmina, né nei topi di entrambi i sessi.
I risultati di questi studi sono diversi da quelli derivanti dalla maggior parte degli oltre 50 studi su animali da laboratorio in cui è stata valutata la cancerogenicità dei campi elettromagnetici senza osservare effetti [4, 6]. Inoltre, in questi due studi l’incremento d’incidenza di schwannomi cardiaci è stato osservato in corrispondenza di livelli di esposizione molto diversi tra loro: 6 W/kg in termini di SAR (potenza elettromagnetica assorbita per unità di massa) nello studio dell’NTP, a fronte di 0,1 W/kg nello studio dell’Istituto Ramazzini.
Il livello di esposizione di 6 W/kg, in corrispondenza del quale sono stati osservati effetti nello studio dell’NTP, è superiore ai livelli permessi per l’esposizione degli utilizzatori di telefoni cellulari che per legge non possono superare un SAR di 2 W/kg. Inoltre, i valori di SAR riportati nello studio dell’NTP si riferivano all’esposizione di tutto il corpo degli animali, mentre il limite di SAR per i telefoni cellulari si riferisce ad esposizioni localizzate alle aree della testa in contiguità con il telefono cellulare durante le chiamate vocali. Trattandosi di un’elevata esposizione di tutto il corpo, e non solo della testa degli animali, non è da escludere che gli effetti riportati dallo studio dell’NTP siano dovuti ad aumenti di temperatura sistemica e locale che non possono verificarsi negli utilizzatori di telefoni cellulari.
In conclusione, questi due nuovi studi forniscono evidenze sicuramente importanti, ma presentano anche aspetti poco chiari e risultati non coerenti tra loro e con i risultati di molti altri studi sperimentali sulla cancerogenicità dei campi a radiofrequenza. Non sembrano pertanto modificare in modo sostanziale il quadro d’insieme delle evidenze scientifiche riguardo al potenziale rischio cancerogeno da esposizione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza (in particolare i campi emessi dai telefoni cellulari), né ridurre le incertezze che tuttora sussistono su questa problematica. Le evidenze fornite da questi studi possono tuttavia fornire indicazioni per ulteriori ricerche al riguardo.
È stata anche studiata la possibilità di altri effetti a lungo termine diversi dalle patologie tumorali, ma i relativi studi sono meno numerosi e con risultati ancor meno coerenti tra loro, e nel complesso non forniscono evidenze consistenti che i campi elettromagnetici a radiofrequenza causino tali effetti [6].
Possibili rischi per la salute connessi al 5G
Il 5G, come le attuali tecnologie di telefonia mobile di seconda, terza e quarta generazione (2G, 3G e 4G), non richiede segnali elettromagnetici di intensità tale da indurre aumenti significativi della temperatura corporea dei soggetti esposti, per cui non è prevedibile alcun problema per quanto riguarda gli effetti noti dei campi elettromagnetici.
Questo è vero anche in considerazione sia della natura particolarmente restrittiva della normativa italiana, sia dei margini di cautela impliciti negli standard internazionali per la protezione dagli effetti termici nell’ipotesi (che non è noto quanto sia realistica) che il quadro normativo italiano venga allineato ad essi per evitare che già esistenti problemi di installazione degli impianti di telecomunicazione mobile possano essere accentuati con l’avvento del 5G [9].
Non solo i livelli di esposizione della popolazione saranno molto inferiori alle soglie per gli effetti a breve termine di natura termica, ma la temuta “proliferazione di antenne” non dovrebbe comportare aumenti generalizzati delle esposizioni in quanto le ridotte dimensioni delle small cells comporteranno delle potenze di emissione più basse di quelle utilizzate per coprire le macrocelle.
D’altra parte, come già avviene per le small cells già utilizzate dalle tecnologie attuali di telefonia cellulare, le antenne fisse saranno presumibilmente poste a distanze più ridotte dalle persone di quanto lo sia, per esempio, la distanza di una stazione radiobase posta sulla sommità di un edificio. Inoltre, le tecnologie 5G si affiancheranno, almeno inizialmente, alle tecnologie esistenti, per cui qualche aumento dei livelli di esposizione potrebbe verificarsi in prossimità delle antenne. Sarà comunque compito delle autorità delegate ai controlli delle emissioni verificare il rispetto della normativa.
Le frequenze che verranno utilizzate per il 5G sono state oggetto di un numero di studi sicuramente inferiore rispetto a quelle utilizzate dalle attuali tecnologie per le telecomunicazioni e per le trasmissioni radiotelevisive, tuttavia alcune considerazioni possono essere effettuate.
Per quanto riguarda la banda 24-28 GHz, a tali frequenze le onde elettromagnetiche vengono riflesse o assorbite superficialmente a livello della pelle, senza quindi penetrare all’interno del corpo. Se ciò da un lato indica che a tali frequenze non possono essere estrapolati i risultati delle ricerche che suggeriscono un aumento di rischio di tumori intracranici negli utilizzatori di telefoni cellulari, dall’altro bisogna evitare di pensare che il semplice fatto che le onde non raggiungono gli organi interni significhi di per sé che non possano essere pericolose. Si pensi infatti alle radiazioni ultraviolette emesse dal Sole, anch’esse completamente assorbite dalla pelle, che aumentano il rischio di tumori della pelle nei soggetti più esposti e per questo sono considerate “cancerogene per gli esseri umani” dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro [10].
In passato sono state condotte diverse rassegne delle evidenze scientifiche sugli effetti biologici e i rischi per la salute delle onde millimetriche, come per esempio in occasione dell’introduzione negli aeroporti internazionali dei body scanner per controlli antiterroristici che espongono i passeggeri ad onde elettromagnetiche a frequenze molto simili a quelle “millimetriche” del 5G.
L’Agenzia Francese di Sicurezza Sanitaria dell’Ambiente e del Lavoro (AFSSET) evidenziava in una sua rassegna del 2010, effettuata per valutare i rischi dei body scanner, che alcuni studi sperimentali di laboratorio in vitro suggerivano effetti biologici delle onde millimetriche a livelli non termici, come un’azione antiproliferativa su alcuni sistemi di cellule tumorali in coltura, o perturbazioni delle proprietà strutturali e funzionali delle membrane cellulari, tuttavia la rilevanza sanitaria di questi effetti non era chiara [11].
Si ricorda infine che nella già citata valutazione delle evidenze della IARC [4] sono stati esaminati anche studi relativi ai campi elettromagnetici emessi da sorgenti diverse dai telefoni cellulari, anche a frequenze confrontabili con quelle che saranno utilizzate dal 5G, che tuttavia fornivano evidenze inferiori alla già limitata evidenza proveniente dagli studi sugli utilizzatori dei telefoni cellulari.
In conclusione, i dati disponibili non fanno ipotizzare particolari problemi per la salute della popolazione connessi all’introduzione del 5G. Tuttavia è importante che l’introduzione di questa tecnologia sia affiancata da un attento monitoraggio dei livelli di esposizione (come del resto avviene già attualmente per le attuali tecnologie di telefonia mobile) e che proseguano le ricerche sui possibili effetti a lungo termine.
Bibliografia
[1] GSM Association (GSMA), “Improving wireless connectivity through small cell deployment”, 2017.
[2] International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection (ICNIRP), “Guidelines for limiting exposure to time-varying electric, magnetic and electromagnetic fields (up to 300 GHz)”. Health Phys. 1998 Apr; 74(4):494-522.
[3] D.P.C.M. 8 luglio 2003, “Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati a frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz”.
[4] International Agency for Research on Cancer (IARC), “Non-Ionizing radiation, Part II: Radiofrequency Electromagnetic Fields”, Monographs on the Evaluation of Carcinogen Risks to Humans vol. 102. Lyon: IARC; 2013.
[5] International Agency for Research on Cancer (IARC), “IARC Monographs Questions and Answers”, 2015. https://www.iarc.fr/en/media-centre/iarcnews/pdf/Monographs-Q&A.pdf
[6] Scientific Committee on Emerging and Newly Identified Health Risks (SCENIHR), “Potential health effects of exposure to electromagnetic fields (EMF)”. Luxembourg: EC – DG Health and Food Safety – Public Health, 2015.
[7] National Toxicology Program, U.S. Department of Health and Human Services, “Cell Phone Radio Frequency Radiation”, 2018.
[8] Falcioni L et al., “Report of final results regarding brain and heart tumors in Sprague-Dawley rats exposed from prenatal life until natural death to mobile phone radiofrequency field representative of a 1.8 GHz GSM base station environmental emission”, Environ Res. 2018 Aug;165:496-503.
[9] Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, “Ostacoli nell’installazione di impianti di telecomunicazione mobile e broadband wireless access e allo sviluppo delle reti di telecomunicazione in tecnologie 5G”, Bollettino Settimanale, Anno XXVIII – n. 49, 31 dicembre 2018. http://www.agcm.it/dotcmsdoc/bollettini/2018/49-18.pdf
[10] International Agency of Research on Cancer (IARC), “Radiation”, Monographs on the Evaluation of Carcinogenic Risks to Humans. A Review of Human Carcinogens vol. 100 D. Lyon: IARC; 2012. https://monographs.iarc.fr/ENG/Monographs/vol100D/mono100D.pdf
[11] Agence Française de Sécurité Sanitaire de l’Environnement et du Travail (AFSSET), Évaluation des risques sanitaires liés à l’utilisation du scanner corporel à ondes ‘millimétriques’ ProVision 100. Rapport d’expertise collective. Février 2010.