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Equo contributo: pro e contro del questionario Ue per potenziare le reti tlc

Le tematiche e le tesi sottostanti al tanto atteso questionario sul Fair Share fanno intuire che la sua utilità sarà, sfortunatamente, piuttosto limitata. Le priorità potrebbero essere altre e lo snodo fondamentale sarà capire cosa dovrebbe finanziarie un eventuale fondo europeo. Facciamo il punto

Pubblicato il 09 Feb 2023

telecomunicazioni

Il tanto atteso questionario per la consultazione sul Fair Share è pronto. Una prima versione in bozza è trapelata sui media e consente di farsi un’idea molto chiara sulle tematiche che verranno prese in considerazione, ma anche delle tesi sottostanti, per andare a dare una risposta alla pressante richiesta degli operatori di telecomunicazioni di imporre un contributo economico ai grandi attori Internet per la realizzazione delle reti di nuova generazione.

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Un questionario omnibus

Un titolo evocativo (come vedi il tuo futuro?) e quattro le sezioni per complessive 60 domande.

Il questionario è di tipo “omnibus” e spazia dalla visione sul futuro, “sfera di cristallo” per i prossimi 10-20 anni, fino alla valutazione degli strumenti di politica industriale per affrontare un eventuale fallimento di mercato, senza dimenticare il punto di vista dei consumatori e le possibili barriere per la realizzazione del mercato unico europeo.

Le modalità di raccolta delle informazioni prevedono il tema libero (con numero massimo di caratteri), le domande chiuse a risposte multiple (incluso il “non so” e “altro”), ma anche le tabelle quantitative (su un orizzonte temporale che va dal 2017 al 2032) in stile analisi di mercato regolamentari, nonché le SWOT analysis.

Le risposte chiuse sono naturalmente molto utili per organizzare velocemente i contributi raccolti in modo omogeneo, così come le informazioni quantitative sono necessarie per dimensionare correttamente i fenomeni. Tuttavia, come dimostrano anni di analisi di mercato regolamentari e qualsiasi analisi di mercato affidabile, la bontà dei risultati dipende strettamente dalla qualità del campionamento dell’universo di riferimento e dalla condivisione di definizioni sugli oggetti o processi da valutare. Il primo punto dipende molto dalla moral suasion e dalla partecipazione effettiva dei vari attori, mentre sul secondo ci si può augurare che il questionario venga integrato da una chiara nota metodologica, anche se non è scontato…

Scenari tecnologici, di mercato e impatto sui modelli di business

Si parte da lontano e con temi molto alti, chiedendo di identificare – in modo sintetico – gli sviluppi tecnologici che influenzeranno maggiormente l’evoluzione del settore nei prossimi due decenni. Una decina le risposte suggerite, con la richiesta di sceglierne fino a cinque, in ordine decrescente di importanza. Visto che gli argomenti partono dalla network virtualisation e si chiudono con le batterie e le tecnologie non cellulari, il compito potrebbe essere abbastanza agevole. Rimane naturalmente l’opzione di scegliere un altro aspetto non citato. Una volta definiti gli ambiti tecnologici strategici viene chiesto di descrivere opportunità, minacce e possibili impatti sui principali attori (operatori di telecomunicazioni e altri attori dell’ecosistema digitale).

La parte sulle trasformazioni del mercato di riferimento rispecchia quanto richiesto sull’evoluzione tecnologica, con una prima batteria di possibili argomenti rilevanti (verosimilmente in corso di consolidamento) che gravitano attorno alla virtualizzazione delle reti. Seguendo un classico paradigma “Struttura-Condotta-Performance”, si cerca di capire quali potranno essere i processi di trasformazione degli attori e le possibili barriere, nonché le modalità di remunerazione degli investimenti e le forme di collaborazione con i diversi attori. Il quesito sul livello e natura degli investimenti previsti nei prossimi cinque anni per abilitare il processo di trasformazione viene ricondotto a categorie troppo schematiche e di dubbia utilità.

Infine, non poteva mancare un riferimento alla valutazione dell’impatto ambientale delle trasformazioni in atto (domanda chiusa, per smarcare più velocemente il punto) e alla rilevanza del tema della cybersecurity negli scenari prospettici.

In sintesi, e come dimostra l’introduzione alla sezione, temi e scenari sono ampiamente noti, talvolta anche oggetto degli studi commissionati dalla Commissione nell’ambito dei progetti di ricerca. Le domande risultano più un “atto dovuto” per raccogliere il parere dalla viva voce dei protagonisti.

La pervasività delle tecnologie digitali e il processo di virtualizzazione delle infrastrutture abilitanti sono destinati a modificare i confini e la struttura del settore delle comunicazioni elettroniche, così come i modelli di business. È inevitabile che questo accada in un settore in continua evoluzione.

Consumatori e servizio universale

La seconda sezione introduce un argomento sicuramente utile per prendere la decisione finale e segnatamente l’aspetto delle regole del servizio universale (previsto anche nella nuova versione del Codice delle Comunicazioni Elettroniche) che garantisce a tutti i cittadini un livello minimo di servizio a prezzi accessibili. Per la cronaca vale la pena di ricordare che in molti Paesi, come l’Italia, l’obbligo attualmente in vigore comprenda l’accesso alla rete di comunicazione pubblica da postazione fissa per comunicazioni vocali e trasmissioni dati ad una velocità pari a 2 Mbps, il servizio di telefonia pubblica e le misure per gli utenti disabili (art. 54, 56 e 57 del Codice) e che la società incaricata della fornitura sull’intero territorio nazionale è TIM.

Attraverso una batteria di domande qualitative si cerca di capire se l’evoluzione del servizio universale e un apposito fondo pubblico possono garantire un equo accesso ai servizi di nuova generazione.

Quale pensate possa essere l’evoluzione dei prezzi? Quale può/deve essere l’evoluzione del servizio universale? Quali obiettivi dovrebbe perseguire (garantire l’accessibilità economica, la copertura delle aree più remote, etc…)? Chi lo dovrà finanziare e con quali modalità? Può essere utile un apposito fondo UE? Si coglie però anche l’occasione per andare fuori tema e chiedere un parere sul price cap sui servizi al dettaglio per le comunicazioni intra-UE in scadenza nel 2024…

Mentre sull’utilità del meccanismo del servizio universale le posizioni saranno probabilmente eterogenee è sicuro il plebiscito (per lo meno tra gli operatori di telecomunicazioni) sulla necessità di coinvolgere anche gli altri attori dell’ecosistema digitale.

In conclusione, prima di chiedersi quale dovrebbe essere il contributo dei nuovi attori digitali sarebbe opportuno interrogarsi e prendere una decisione in linea con le ambizioni del Digital Compass sul livello minimo di servizio da garantire all’interno del servizio universale. Al di là del servizio universale, rimane poi il tema degli importanti finanziamenti pubblici che sono stati destinati alle reti di nuova generazione negli ultimi anni e dei quali, curiosamente, il questionario non sembra contenere traccia.

Barriere per la creazione del mercato unico

L’introduzione alla sezione richiama l’evoluzione del quadro regolamentare comunitario e la progressiva riduzione dei mercati oggetto di regolamentazione ex-ante, richiamando però come nel settore delle comunicazioni elettroniche i mercati abbiamo mantenuto un forte connotato nazionale, che impedisce di cogliere i possibili benefici di un mercato unico su scala europea. Roaming e politiche sulle frequenze sono due esempi del percorso ancora da fare per creare un vero mercato unico europeo.

Gli aspetti trattati sono tali da privilegiare il tema libero per fornire una risposta, navigando tra gli ostacoli per la piena realizzazione del mercato unico, i benefici attesi da una maggiore apertura e dalle prospettive di consolidamento degli attori (argomento che sarebbe un utile terreno di confronto anche con DGCOMP), l’opportunità di un maggiore coordinamento in materie di frequenze, fino all’eventuale coinvolgimento di soggetti extra-UE nei lavori di armonizzazione dello spettro. Sebbene sia utile interrogarsi sull’utilità di regole maggiormente simmetriche a livello sovrannazionale, anche per questo ultimo punto ci si potrebbe chiedere se è un tema coerente con la consultazione in oggetto.

Equo contributo di tutti gli attori digitali

Nell’ultima sezione si arriva finalmente dove ci si aspettava di essere portati, vale a dire alla scoperta (implicita) dell’assassino, senza però la suspence dei romanzi di Agatha Christie.

Il confronto è tra il punto di vista degli operatori di telecomunicazioni, che stanno realizzando le reti di nuova generazione sostenendo importanti investimenti, e i fornitori di servizi e contenuti digitali, che beneficiano delle nuove reti, ma ritengono che l’attuale modello di business remuneri già correttamente tutti i fattori produttivi. Il tutto nel rispetto dei diritti e principi digitali e, in particolare, della neutralità di accesso ai contenuti e dell’equa e proporzionata partecipazione ai costi delle infrastrutture, dei servizi e dei beni pubblici.

Si va subito al punto, con l’identificazione quelli che sono i grandi “generatori di traffico” (Large Traffic Generator, LTG), per poi chiedere di dimensionare gli investimenti annuali per l’ottimizzazione del traffico realizzati nel periodo 2017-2021 e previsti fino all’orizzonte 2030 nelle diverse componenti infrastrutturali (dai cavi sottomarini ai Data Centres e i Content Delivery Networks) su scala EU e, apparentemente, senza riferimento a singoli Paesi.

In realtà, la premessa alla maggior parte delle domande sembra quasi una presa di posizione: “quesito primariamente destinato agli operatori delle comunicazioni elettroniche […], ma per raccogliere anche i diversi punti di vista tutti possono rispondere…”. Inoltre, l’obiettivo di identificare i LTG è, ovviamente retorico, visto che è da alcuni anni che gli operatori di telecomunicazioni presentano i dati sul peso dei sei attori principali nel traffico Internet (oltre 55% rappresentato da Google, Facebook, Netflix, Apple, Amazon, Microsoft).

Infine, in assenza di una definizione univoca del riferimento alle infrastrutture “destinate all’ottimizzazione del traffico”, a fronte di capitoli di spesa praticamente omnicomprensivi, i dati che verranno forniti rischiano di essere assolutamente arbitrari e di limitata utilità. Di fatto, è quasi sicuro che i dati non saranno confrontabili e potranno variare da centinaia di milioni di euro a miliardi… Vengono comunque proposte delle fasce percentuali per definire i fenomeni quantitativi, ma sembra un disperato tentativo di raccogliere qualche dato, almeno orientativo e l’implicita ammissione della difficoltà di una raccolta dati oggettiva.

Per scrupolo si indaga anche il possibile impatto delle Content Delivery Networks o degli algoritmi di compressione, ma il punto chiave rimane la relazione tra l’incremento dei costi e la dinamica del traffico LTG (chissà quale sarà la risposta…). Il questionario tocca forse il punto più alto con la domanda 42, che chiede di valutare di quanto gli investimenti effettivi hanno superato quelli pianificati (di chi sarebbe la responsabilità di un’errata pianificazione?).

Le domande dedicate primariamente ai Large Traffic Generator

Quali sono invece le domande dedicate primariamente agli LTG? Innanzitutto, la spesa nei confronti degli operatori per il peering e il transito, sia in valore assoluto che in percentuale sui ricavi nell’area UE. La curiosità per quella che sarà la risposta/non risposta è alta, ma si può facilmente immaginare che l’incidenza sui ricavi sia piccola a piacere, specie se non si considerano tutti i costi diretti e indiretti. Per completare il quadro si indaga sulla ripartizione del traffico tra il peering, a pagamento o meno, e il transito, nonché sulla dinamica dei prezzi, anche se – nell’attuale versione – non vengono chiesti i volumi corrispondenti e i prezzi medi, che sono indispensabili per una valutazione compiuta.

Il gran finale è il ritorno al punto di partenza, vale a dire la valutazione dell’opportunità di chiedere un contributo anche ai LTG e le relative modalità per l’attuazione di un eventuale misura. Le argomentazioni sono ampiamente note e la consultazione sarà solo l’occasione per fare un aggiornamento delle diverse posizioni.

Cosa fare con il questionario

Premesso che è buona norma adottare sempre un approccio collaborativo per ampliare la base di conoscenza, ma per quanto abbiamo richiamato, l’utilità di questo questionario sarà, sfortunatamente, piuttosto limitata.

Il problema rimane probabilmente mal posto, le priorità potrebbero essere altre e la strada per identificarle compare nell’ultima domanda del questionario quando si chiede di capire cosa dovrebbe finanziarie un eventuale fondo europeo. Lo snodo fondamentale è proprio questo.

Sulla base del funzionamento del mercato di riferimento, esiste un reale fallimento dei meccanismi di mercato? Quali sono i problemi maggiori da affrontare? La copertura delle reti di nuova generazione? L’accessibilità da parte dei consumatori? Oppure veramente i costi di adeguamento delle infrastrutture in funzione della dinamica del traffico in rete? Questo eventuale contributo ai costi di adeguamento delle infrastrutture di rete in funzione delle dinamiche del traffico (marginali rispetto agli investimenti complessivi) è veramente risolutivo rispetto al raggiungimento degli obiettivi del Digital Compass per il 2030? Non esistono soluzioni infrastrutturali efficienti e in grado di remunerare i diversi attori (es. rete di edge server capillari, eventualmente intermediati da nuovi attori)?

La creazione del valore sulle reti dipende dalla quantità di informazioni e contenuti che possono essere veicolati e dall’ampiezza della base dei potenziali utilizzatori. Semplificando molto, ma per essere più chiari, in un’economia di mercato è l’offerta di contenuti e servizi che si adegua alle prestazioni abilitate dalle reti e non viceversa.

Di conseguenza, l’intervento pubblico che genera maggior valore per l’ecosistema digitale è sicuramente quello che consente di raggiungere aree territoriali remote (digital divide) e utilizzatori più marginali (fasce deboli), ma anche di accelerare il passaggio da una generazione di infrastrutture all’altra (switch-off). Se poi si creano delle situazioni di abuso di posizione dominante da parte di nuovi attori digitali che sfruttano un’asimmetria negoziale, ben venga un deciso intervento da parte delle Autorità Antitrust.

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