Sono ben pochi i segnali positivi, anche quest’anno, che emergono dalla rilevazione Eurostat relativa al 2018 sulla Digital Economy and Society in Europa, la cui elaborazione porterà nei prossimi mesi al calcolo del DESI (Digital Economy and Society Index). La situazione rimane sostanzialmente stazionaria e i progressi, dove presenti, sono di scarsa entità e non tali da raffigurare uno scenario in cambiamento.
I dati Eurostat 2018
Come nel 2016 e nel 2017, rimane positivo anche quest’anno il trend nelle aree in cui erano già stati raggiunti i target europei fissati per il 2015, come:
Popolazione che usa servizi di eGovernment e trasmette moduli, che nel 2017 sale al 34% (ben 4% in più del 2017), con un valore comunque basso e ancora frenato da Paesi come Germania e Italia;
Popolazione che acquista online, che sale al 60% nell’Europa a 28 (3% in più del 2017);
Popolazione che usa internet regolarmente (almeno una volta la settimana), che va all’83% (2% in più del 2017), con il 76% della popolazione che usa internet quotidianamente e con un accesso ad internet via smartphone che è cresciuto in un anno dal 65% al 74%;
Popolazione che non ha mai usato internet, che scende all’11% (con una riduzione del 2% nell’ultimo anno e consolidando il superamento del target del 15%, fissato per il 2015 e raggiunto nel 2016).
Finalmente viene raggiunto il target fissato per il 2015 (50%) sull’indicatore Popolazione che usa servizi di eGovernment che raggiunge il 52% (3% in più del 2017).
Continua a stentare molto invece la crescita su un importante indicatore per cui l’Europa non riesce ancora a raggiungere il valore target fissato per il 2015:
PMI che vendono online non registra alcun progresso, fermo da tre anni al 17%, ancora molto lontano dal 33% del ragionevole (e non ambizioso) target fissato per il 2015. Il dato stagnante di quest’anno è frutto in buona parte degli arretramenti riscontrati nell’area Euro (dove il valore scende dal 18% al 16%) e soprattutto in Germania, Spagna e Francia, ed evidenzia una forte difficoltà da parte delle PMI europee nel partecipare alla strategia di crescita digitale.
I problemi
I problemi chiave che avevamo evidenziato nell’analisi dei dati 2017 rimangono invariati e, se possibile, aggravati da un altro anno sostanzialmente infruttuoso per la politica europea del digitale:
I divari tra i Paesi rimangono ancora troppo elevati. Non possiamo riscontrare neanche nel 2018 azioni di rilievo sulla diffusione delle buone pratiche, né si è riusciti a creare un ambiente favorevole per lo sviluppo di tutti i Paesi, e i risultati lo evidenziano in modo chiaro. Le azioni della commissione europea sul Digital Single Market stanno certamente mobilitando alcuni percorsi di innovazione (tra questi l’utilizzo di sistemi di Intelligenza Artificiale e Blockchain) ma gli effetti diffusi più concreti sembrano essere limitati alla crescita dell’uso degli smartphone (anche grazie all’eliminazione dei costi di roaming). Come rilevato più volte, la situazione rimane divaricata tra Paesi virtuosi e ritardatari al punto che monitorare il valore medio si consolida come un esercizio di stile, con poco significato sostanziale. Questo è risultato evidente dallo studio comparativo con i Paesi extra-UE, dove la differenza tra prestazioni dei “top 4” europei e i “bottom 4”) rendeva del tutto irrilevante il valore della media UE. Alcuni esempi vengono dagli indicatori chiave: per Popolazione che usa regolarmente Internet la media dell’83% si ottiene grazie a Paesi come la Danimarca, che è al 95%, e Paesi con gravi ritardi, come la Bulgaria (al 64%) o la Romania (al 68%); oppure quello sulla popolazione che acquista online, dove il 60% della media UE si basa sull’84% della Danimarca e sul 20% della Romania (l’Italia è al 36%);
il ritardo delle PMI sul digitale rimane molto elevato ed è diffuso. L’indicatore più critico (PMI che vendono online), fermo al 17%, è derivato, infatti, dal 32% della Danimarca (in crescita), da percentuali oltre il 28% di Paesi come Irlanda, Svezia e Belgio e dal 6% della Bulgaria o dal 9% di Romania e dal 10% dell’Italia. Il tema del ritardo delle PMI sul digitale è complesso, e le iniziative promosse dalla Commissione UE come quella specifica inclusa tra le 9 azioni della Digital Skills and Jobs Coalition sembrano poco ambiziose e poco incisive. Il basso livello di competenze digitali dei lavoratori (nel 2017 solo il 66% possedeva competenze digitali almeno di base), dei manager e degli imprenditori è certamente una delle cause di maggior peso per giustificare questa sostanziale stagnazione, ma la struttura del mercato influisce in modo sempre più notevole.
Per quanto riguarda le PMI l’iniziativa “Digital Skills and Jobs Coalition ”, nonostante il lancio a settembre 2018 del piano delle 9 azioni da parte della Commissione UE, soffre di una carenza di coordinamento tra le strategie di ciascun Paese e di una difficoltà a concretizzare efficacemente modelli che sulla carta potrebbero portare a utili risultati. Questo è il caso dei “Digital Innovation Hubs”, declinati nei diversi Paesi Europei in modo troppo diverso e troppo poco correlato per poter essere strumento efficace di una strategia complessiva. Se poi a questo si aggiunge il dispiegamento ancora volontario delle Coalizioni Nazionali (oggi 23, ma mancano Paesi come l’Italia) su cui dovrebbero appoggiarsi gli Hub, ecco che è difficile prospettare sensibili progressi e cambiamenti nei prossimi anni.
Interessante rilevare anche la differenza tra il trend delle grandi imprese e delle PMI rispetto all’utilizzo nel business di nuove tecnologie come i Big Data, dove il progresso rispetto al 2017 è dell’8% per le prime e del 2% per le seconde, con percentuali complessive che oggi sono rispettivamente del 33% (con punte del 55% in Belgio) e del 12% (dove pesano certamente le basse performance di grandi Paesi come Spagna, Polonia, Italia).
La situazione dell’Italia
L’Italia mostra positivamente progressi su tutti i fronti, ma in nessuno di questi riduce il divario verso gli altri Paesi europei in modo significativo.
Rimangono sostanzialmente in evidenza tutte le precedenti situazioni critiche, anche se affiora qualche segnale positivo in modo più diffuso che negli anni precedenti. In particolare
il divario digitale di genere rimane pronunciato rispetto ai grandi Paesi europei (5% è il gap tra maschi e femmine sulla popolazione di chi non ha mai usato internet, mentre in Spagna, ad esempio, è l’1%). La nota positiva è che si riduce fino a sparire nella fascia dei giovani tra 16 e 24 anni;
sul fronte dell’uso regolare di internet l’Italia è al 72%, lontana da Francia (85%) e Germania (90%). Andando ad un’analisi di dettaglio, i giovani italiani tra i 16 e i 24, pur con l’elevata percentuale del 92%, sono gli ultimi dei Paesi europei, mentre la progressione del 7% degli adulti italiani tra 65 e 74 anni (dal 27% al 34%, con uso dello smartphone per l’accesso che si raddoppia dal 12 al 24%) rende questa fascia quella tra le più dinamiche di quelle osservate in UE, anche se comunque con percentuale molto lontana dal 61% della Francia, che è poco sopra la media europea;
rimane decisamente alta (19%) la percentuale di chi non ha mai usato Internet, anche se la riduzione che si registra (anche quest’anno il 3%, come l’anno scorso) è comunque significativa, pur non spostando molto la posizione relativa in un panorama in cui si registrano riduzioni anche superiori (Romania, Croazia) e paesi come Francia e Germania hanno percentuali inferiori a più della metà di quella italiana e continuano pure a diminuire.
Dati preoccupanti rimangono nell’area degli usi di Internet, dove il DESI 2018 ci collocava all’ultimo posto, poiché i progressi pur significativi non consentono recuperi rilevanti. Ad esempio, nel caso dell’uso dell’internet banking l’Italia migliora passando dal 31 al 34% ma la Germania passa, ad esempio, dal 56% al 59%, o in quello dell’utilizzo dell’e-commerce, dove un buon progresso del 4% porta la percentuale di popolazione italiana che ha acquistato online negli ultimi 12 mesi al 36%, senza modificare sostanzialmente però il rapporto con gli altri Paesi, con la Spagna al 53% e la Francia al 67%. Rimane bassa la percentuale di chi partecipa ai social network (solo la Francia ha una percentuale inferiore) o quella di chi utilizza la rete per ascoltare musica e fruire di video.
La forbice tra le regioni rimane significativa sull’uso di Internet. Ad esempio, nell’utilizzo dell’e-commerce (un acquisto negli ultimi 12 mesi) si passa dal 19% della Campania (stabile) al 48% della Provincia di Trento (in crescita), con una differenza che si mantiene tale anche se si considerano i soli utenti di Internet. Segnali positivi, invece, sul fronte dell’uso regolare di Internet (pur in un contesto in cui l’Italia rimane indietro alla media UE), dove si riduce la differenza tra le prime regioni (Provincia autonoma di Trento, con il 79%, ma anche Lombardia con il 78%) e le ultime, come il Molise e la Calabria (che progredisce dal 57 al 63%), e dove anche nelle regioni del Centro-Sud si registrano notevoli progressi (come quello della Basilicata, dal 62 al 68%).
eGov al palo
La delusione forse maggiore continua ad essere quella sull’utilizzo dei servizi di e-government, dove non si vedono ancora gli effetti delle politiche nazionali: la percentuale di chi ha sottoposto moduli compilati all’amministrazione ha un lieve progresso dal 13% al 15% ma con una media europea del 34%, che si allontana e continua a crescere più dei valori italiani e con Paesi come la Spagna che hanno visto crescere la propria percentuale dal 33 al 41%. C’è molto da fare anche per quanto riguarda la qualità dei siti web (con le linee guida AgID-Team Digitale ancora poco applicate), se in questo senso valutiamo la differenza tra la percentuale di utenti internet italiani che affermano di aver ottenuto informazioni da siti pubblici (26%) e la media UE (51%) o il dato di Paesi come la Spagna (57%) o la Francia (52%).
Sull’utilizzo del digitale da parte delle imprese, la posizione delle PMI italiane rimane anche nel 2018 tra le più basse, pur se in leggera crescita: la percentuale di PMI che vendono online è passata dall’8 al 10% (davanti solo alla Bulgaria), in una situazione europea di criticità diffusa e con alcuni Paesi, però, come la Spagna, che sono su percentuali più alte (18%).
Il bilancio sull’Italia
Non abbiamo ancora i dati 2018 a disposizione su tutte le aree (manca quella di utilizzo del digitale nell’integrazione dei processi delle imprese, o quella specifica sulle competenze digitali), ma alcune prime valutazioni possono essere delineate.
In generale prosegue per l’Italia il miglioramento sulle diverse aree di indicatori, nonostante la crescita sia con tassi non sufficienti per registrare un recupero significativo nei confronti dei Paesi europei di riferimento per dimensione (Spagna, Francia, Germania, Regno Unito e anche Polonia). Le aree di maggiore sofferenza sono quelle relative ai servizi di e-government, dell’innovazione delle PMI, degli usi di Internet. Le nuove iniziative (che non sono tutte quelle necessarie) sono in gran parte in fase di avvio, con un dispiegamento non completato, e quindi impatti poco evidenti.
Sul fronte dei dati relativi all’innovazione della pubblica amministrazione influisce certamente il ritardo di alcuni programmi strategici che non hanno ancora dispiegato risultati significativi al momento della rilevazione (vedi SPID, con poco più di 3 milioni di identità SPID erogate e meno di un milione nei primi 11 mesi del 2018, o ANPR, con meno di 4 mila comuni coinvolti concretamente, considerando sia quelli subentrati che quelli in pre-subentro) e dove l’adesione delle PA continua ad essere timida e lenta. La pubblicazione del Piano Triennale per l’IT delle PA ha certamente contribuito positivamente ai progressi, fornendo un respiro di programmazione chiaro a tutte le iniziative della PA digitale, e ci si aspetta che il nuovo Piano Triennale 2019-2021 preveda l’adeguata attenzione sui temi chiave delle competenze e della gestione del cambiamento, fondamentali per porre in essere una reale innovazione.
Il 2019 si prospetta un anno in cui per l’innovazione digitale sono possibili accelerazioni e possono venire a compimento diverse iniziative in corso, grazie anche alla collaborazione fruttuosa, spinta dai nuovi vertici, tra Team per la trasformazione digitale e AgID. Si deve puntare però con convinzione ad affrontare in modo organico e incisivo i temi dell’innovazione delle imprese e quello, di vera emergenza, delle competenze digitali, costruendo una strategia nazionale che includa il sistema educativo, il ruolo delle pubbliche amministrazioni e delle associazioni territoriali e imprenditoriali, quello dei mass-media. Una strategia in cui un tassello è anche la (ri)costituzione di una coalizione nazionale che entri nella rete dell’iniziativa europea dei “Digital Skills and Jobs” con tutta la specificità richiesta dal nostro contesto nazionale.
Non mancano nel nostro Paese le esperienze interessanti e di successo, ma non si configura ancora in modo significativo una strategia che guardi alla crescita digitale valutando come sviluppare rapidamente i “fattori abilitanti” a cui sono legati i progressi e i risultati profondi degli interventi pianificati, una strategia che si basi su scelte chiare (spesso su questa testata si è auspicata la definizione di un politica industriale nazionale) e che sia in grado di tenere insieme gli interventi ad effetto immediato sulle situazioni più critiche (es. PMI) e di prospettiva più ampia (es. sistema educativo). L’auspicio è che il 2019 anche da questo punto di vista riscontri un salto qualitativo.