Fascicolo sanitario elettronico, che cosa manca per il debutto (ora che è uscito il decreto)

Mercoledì scorso è andato in Gazzetta Ufficiale il tanto atteso Dcpm. L’FSE per essere messo in produzione in una Regione deve lavorare almeno su tre livelli: i medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, le aziende sanitarie ed ospedaliere, l’interoperabilità di livello regionale, interregionale e nazionale. Vediamo come e con quali sfide (sostanziali, in carenza di fondi)

Pubblicato il 12 Nov 2015

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Secondo l’OCSE[1] l’Italia, tra i paesi più avanzati, è la nazione che spende meno nel comparto della sanità e della salute, con un progressivo calo dell’andamento della spesa che ha visto una riduzione annua dell’1,6 per cento nel periodo 2009-13.

Una contraddizione se pensiamo al trend di crescita dell’invecchiamento della popolazione ed alla disponibilità di nuovi farmaci e di nuove moderne tecnologie, anche o soprattutto del digitale, che richiederebbero piuttosto una lungimirante politica di investimenti.

Secondo il rapporto Health at Glance 2015[2] la spesa, pubblica e privata, della sanità italiana è di circa 3.100 dollari a persona contro i più di 4000 di Francia e Germania, gli 8.700 degli Stati Uniti ed i 3.400 della media OCSE.

In termini generali questi costi rappresentano in Italia l’8,8 per cento del PIL, contro l’11,6 della Germania, il 10,9 della Francia, il 16,4 degli Stati Uniti e il 9 della media OCSE.

Il Fascicolo Sanitario Elettronico

Parlando di tecnologie digitali disponibili, che impattano sull’organizzazione dei processi e sulle variabili economiche, l’elemento di base – il fattore abilitante e quantomeno la condizione necessaria ma non sufficiente – per la appropriata gestione del cittadino paziente in un contesto moderno e internazionale è la fruibilità di un adeguato Fascicolo Sanitario Elettronico [FSE], di cui mercoledì scorso è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il tanto atteso Dcpm.

Già nell’attesa di pubblicazione, praticamente tutte le Regioni e le Province Autonome (da ora in avanti per sintesi le “Regioni”) hanno formalizzato nel corso del 2014 le loro proposte di piani di dispiegamento per il 2015.

Purtroppo i consistenti ritardi accumulati nella pubblicazione del decreto non hanno consentito all’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) e al Ministero della Salute di dare approvazione alle pianificazioni proposte dalle Regioni e quindi nemmeno di restituire i feedback ufficiali.

Questo purtroppo significa che nella migliore delle ipotesi ogni Regione ha continuato a lavorare sul FSE con i propri ritmi.

Si è così determinato un peggioramento della situazione generale poiché le Regioni più in ritardo, in assenza del decreto e quindi della approvazione dei loro piani, non hanno potuto formalmente deliberare ed avviare concretamente i loro progetti anche in ragione della loro complessità ed onerosità.

Tralasciando comunque per ora i noti – e per certi versi incomprensibili – aspetti burocratici ed amministrativi, vale la pena concentrarsi sullo stato dell’arte tecnologico.

Il FSE per essere messo in produzione in una Regione deve lavorare almeno su tre livelli[3]: i) i medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, ii) le aziende sanitarie ed ospedaliere, iii) l’interoperabilità di livello regionale, interregionale e nazionale[4].

Cosa occorra fare sul primo livello è cosa ben nota, tuttavia in molte Regioni il coinvolgimento del medico di famiglia sembra essere un monumental task, soprattutto se la strada scelta è quella dell’incentivo economico e la Regione si trova nella condizione di commissariamento e di rientro della spesa sanitaria.

Per dare soluzione al problema da più parti è stato richiesto al Ministero della Salute di inserire nel rinnovo dei contratti nazionali dei medici di famiglia l’obbligo dell’utilizzo delle tecnologie digitali e dell’alimentazione del FSR; spetta infatti a loro compilare il patient summaryin pratica la sintesi dello stato di salute del paziente –.

Alcune Regioni più ricche hanno risolto il problema pagando il servizio ai medici di base, ma anche in questo caso le risorse disponibili sono sempre minori, più raramente imponendolo a livello locale.

Anche quanto richiesto dal secondo livello sembra essere di facile soluzione, serve infatti solo che siano digitalizzati i referti di laboratorio di analisi.

Tuttavia in alcune Regioni manca ancora la completa informatizzazione di tutte le aziende sanitarie e si torna al punto precedente, ovvero, servono investimenti che senza decreto non si riescono ad accelerare.

Per quanto attiene al terzo livello sono state svolte alcune attività, ma le criticità sono ancora tante.

Le Regioni hanno definito il modello funzionale interoperabile del FSE – ottenendo la standardizzazione dello stesso in HL7[5], grazie all’operato del gruppo di lavoro insediato al Centro Interregionale per i Sistemi Informatici, Geografici e Statistici [CISIS] che ha coinvolto 18 Regioni e Province Autonome, HL7 Italia, Invitalia e il Consiglio Nazionale delle Ricerche [CNR] – e sperimentato, inoltre, l’interoperabilità fra alcuni FSE esistenti (Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto).

Mancano tuttavia i servizi trasversali di supporto nazionali – tra tutti una anagrafe nazionale sanitaria o degli assistiti – per dare soluzione al problema dell’accesso certo alla Regione di corretta appartenenza conoscendo solo nome e cognome e poche altre informazioni del paziente.

Per ora l’unica anagrafe nazionale è quella delle tessere sanitarie, alimentata dall’anagrafe tributaria gestita da SOGEI e dall’Agenzia Entrate, ma questa è fisiologicamente inadeguata perché progettata per assolvere a funzioni amministrative e contabili, più che sanitarie e cliniche.

La soluzione risiede nella realizzazione della Anagrafe Nazionale degli Assistiti (ANA), ma questa può essere sviluppata solo a partire dall’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR), quindi se ne parla almeno fra due anni.

Inoltre a livello nazionale servono altri elementi cruciali tra cui, il più importante, il sistema condiviso di codifiche, sia cliniche (esami di laboratorio, prestazioni, ecc.) che amministrative, ad esempio i ruoli degli operatori sanitari per l’accesso ai servizi di FSE.

Serve inoltre disporre di un profilo standard validato dal Garante della Privacy per la gestione degli accessi e dei livelli di sicurezza da garantire.

Insomma, siamo ancora distanti dalla meta e servirà del tempo per avere a disposizione un sistema che funzioni davvero.

Serve urgentemente almeno un piano pluriennale dei servizi e dei dati da integrare nel FSE, ad oggi siamo solo concentrati sui referti e sul patient summary.

Alcune Regioni, al fine di sbloccare la situazione, hanno richiesto per ora inutilmente la disponibilità di un cofinanziamento per un progetto interregionale che permetta il riuso di soluzioni in essere e la co-progettazione e il co-sviluppo delle componenti che mancano.

Possibili scenari evolutivi

Come accennavo prima il FSE è un fattore abilitante ma comunque una condizione necessaria ma non sufficiente in uno scenario dove la medicina ospedaliera lascia spazio a quella territoriale e dove il benessere e la qualità della vita sono il frutto della prevenzione e della predizione delle patologie, dello stile di vita e della adeguatezza di sempre più mirati percorsi di cura.

Gli investimenti successivi devono focalizzarsi sulle componenti hardware e software dell’internet delle cose e sugli algoritmi di nuova generazione per la gestione dei big data.

[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Organizzazione_per_la_cooperazione_e_lo_sviluppo_economico

[2] http://www.oecd.org/els/health-systems/health-statistics.htm

[3] Cui occorre aggiungere almeno le farmacie ed laboratori privati.

[4] Facendo però particolare attenzione all’adesione agli standard internazionali e comunitari.

[5] https://it.wikipedia.org/wiki/Health_Level_7

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