L’Italia è un Paese con seri deficit infrastrutturali, ma sulla banda ultralarga ha avuto molto coraggio nel fare delle scelte non facili che però nessun governo succedutosi in questi ultimi anni ha messo in discussione. Allo stesso tempo, però, rischiamo di sprecare anche questa occasione, vediamo perché.
Per comprendere meglio e prima di fare qualsiasi valutazione della situazione della connettività Internet in Italia, da molti anni il grande “malato” della digitalizzazione in Europa, partiamo quindi col dire che non si può ormai prescindere da Open Fiber. Non tutto ciò che è fibra in Italia è Open Fiber, ma ormai la fibra in Italia è soprattutto Open Fiber.
Eppure, Open Fiber stessa per molti italiani, anche nel mondo politico ed economico, è ancora un oggetto misterioso. Tutti hanno sentito qualcosa, molti ne sanno pochissimo, pochissimi ne sanno qualcosa di più. Ciò che stupisce, però, è che, indipendentemente da quello che si sa, tutti fanno fatica a posizionare il loro giudizio su Open Fiber tra i due estremi: è un sasso o una pepita?
Quel che forse spiega queste difficoltà, è ricordare che è un progetto prevalentemente fatto e gestito da ingegneri, difficile da capire perché ad elevatissima complessità tecnica, amministrativa, finanziaria e gestionale.
Open Fiber, la più grande rete wholesale in fibra al mondo
Tuttavia, il nostro orgoglio patrio, tradizionalmente timido e critico, dovrebbe essere piuttosto solleticato da Open Fiber:
- Il suo avvio è stato la principale ragione per la quale il nuovo quadro regolatorio europeo per le telecomunicazioni ha previsto uno specifico regime regolatorio per gli operatori wholesale-only. Con i quasi 7.000 comuni coperti e 19 milioni di abitazioni da passare è tutt’ora il progetto wholesale-only di maggiori dimensioni in Europa. In Francia, l’unione di SFR e Covage, appena realizzata, è la seconda per dimensioni, ma raggiungerà a regime meno di 8 milioni di abitazioni. CityFibre in UK prevede di raggiungere 1 milione di case entro il 2021 e 5 milioni entro il 2025 in poco meno di 90 comuni. Deutsche Glasfaser collega circa 500mila abitazioni e ne aggiungerà al massimo un milione. Siro in Irlanda prevede di raggiungere al massimo 1 milione di abitazioni, mentre Gagnaveita Reykjavíkur è nell’ordine di grandezza delle 100.000 abitazioni e Gigaclear delle 65.000. Considerando che National Broadband Network (NBN), l’antesignano delle reti wholesale, nato dallo spin-off della rete dell’incumbent Telstra in Australia, copre (ma non soltanto con fibra) circa 13 milioni di abitazioni, è lecito affermare che Open Fiber sia la più grande rete wholesale in fibra al mondo.
- A fine 2019 il totale delle Unità Immobiliari connesse da Open Fiber (sommando quelle nei cluster A e B e quelle nei cluster C e D), ammonta a 7.976.00 unità immobiliari, di cui 5.710.000 nelle aree A e B e 2.226.000 nel segmento C e D. Questi numeri fotografano già oggi la rete FTTH di Open Fiber come la più estesa e capillare in Europa tra quelle gestite da un operatore wholesale only. Un risultato raggiunto in soli due anni e mezzo di attività operativa. Nelle aree A e B ciò corrisponde al raggiungimento di oltre il 60% del target del piano industriale.
- Anche la dimensione dell’investimento per la realizzazione di Open Fiber è imponente rispetto ai progetti di altre reti wholesale. A fronte di 6,5 miliardi di euro di investimento totale, Open Fiber ha realizzato un project financing da 3,5 miliardi di euro, di gran lunga il più importante mai realizzato in Europa nelle telecomunicazioni. CityFibre in UK prevede un investimento complessivo di 2,5 miliardi di sterline ma con finanziamenti molto minori. Deutsche Glasfaser in Germania ha 1,5 miliardi di euro di capitale mentre Siro in Irlanda appena 450 milioni di euro.
- Infine, se si riflette sui numeri e li si rapporta all’Italia, il project management del progetto Open Fiber appare quasi un miracolo. In totale deve coprire 6.816 comuni in circa 4 anni. In media, significa coprire 1.704 comuni all’anno, realizzando in ogni comune una nuova rete di accesso, che Telecom Italia ha costruito nell’arco di decine di anni, aprendo, scavando, richiudendo, installando e collaudando ogni volta, con il vincolo di riutilizzare il più possibile le infrastrutture esistenti, anche per risparmiare tutto quel che è possibile. In media, si dovrebbero realizzare poco più di 6 reti comunali al giorno, lavorando anche il sabato. Ma, mediamente ogni comune ha più di un cantiere e, anche se nel frattempo si è cercato di semplificare le regole, lo si è fatto con modesto successo. Il nostro è un Paese che resiste in modo naturale e istintivo ad ogni tentativo di semplificazione. Per avere processi autorizzativi semplici e veloci, le regole non andrebbero semplificate, ma rivoluzionate. Pertanto, la situazione è ancora tale che non c’è molto da fare davanti a un’amministrazione inerte o a un condominio poco motivato.
Lo stato della fibra in Italia
Tutto ciò premesso, che è importante per capire lo sforzo in corso dato un punto di partenza difficile, quale è lo stato della fibra in Italia?
Innanzitutto, vediamo quale è lo stato del Piano banda Ultralarga (i dati sono aggiornati al 2 dicembre 2019 anche se nel mese di dicembre c’è stata un’importante accelerazione che sarà evidenziata nel prossimo aggiornamento periodico, rilasciato a breve, d’intesa con il concedente Infratel).
Nei cosiddetti cluster in fallimento di mercato (C e D) i comuni interessati dal Piano finanziato con fondi pubblici nelle prime due gare Infratel (le attività previste dal terzo e ultimo Bando sono in fase di sviluppo), sono diventati 5.554 dopo che 1.202 sono stati esclusi dalle opere perché a un’analisi più approfondita risultati già adeguatamente infrastrutturati. Di questi, 2.027 (il 36%) sono aperti o in chiusura mentre 383 (il 7%) sono completati, in collaudo o disponibili per gli operatori. Restano ancora 3.144 comuni in cui avviare i lavori, quelli più piccoli ma anche quelli più difficili da gestire. Ad oggi nelle aree C e D i servizi – attraverso gli operatori commerciali partner di Open Fiber – sono disponibili in circa 150 Comuni, attivabili su oltre 260 mila linee, sulla base degli accordi intercorsi con Infratel, che consentono di avviare in sperimentazione e gratuitamente la commercializzazione anche laddove il collaudo amministrativo sia ancora da perfezionare. Non appena completati i collaudi i Comuni entrano in regime di regolare commercializzazione.
Parallelamente, la copertura dei 271 comuni nei cluster in concorrenza (A e B) sta procedendo rapidamente e gli effetti si vedono già nei numeri sopra riportati. Sono 130 le principali città in cui è già in corso la commercializzazione dei servizi erogati da OLO, utility e a breve broadcaster (Sky) ai clienti finali.
Nonostante ciò, se guardiamo ai numeri della Commissione Europea per l’indice DESI, l’Italia era penultima per copertura percentuale con connessione più veloce di 100 Mbps e penultima rimane. Per quanto riguarda, invece, la penetrazione delle sottoscrizioni in ultrabroadband, l’Italia passa da quart’ultima a quint’ultima quasi raddoppiando, con un incremento dell’86%. Ma, guardando gli stessi numeri più in dettaglio nelle statistiche dell’AGCOM, emerge un altro dato: dal 2012 le sottoscrizioni a più di 100 Mbps crescono di numero più rapidamente di quelle a meno di 100 Mbps. Non solo, negli ultimi dieci trimestri, grazie alla commercializzazione dell’offerta di Open Fiber, la loro velocità di crescita sta accelerando ed è più del doppio di quella delle sottoscrizioni a meno di 100 Mbps. Segno che c’era un problema di vuoto d’offerta. Su questo anche gli analisti più scettici dovrebbero concordare. Man mano che questo vuoto si colma, i numeri dovrebbero migliorare rapidamente. Quanto rapidamente miglioreranno però dipende da quel che succederà sul fronte degli incentivi alla domanda.
I vantaggi degli stimoli alla domanda di fibra (i voucher)
Il piano per la banda ultralarga pubblico prevedeva che il concessionario fosse finanziato fino alla soglia dell’edificio: il modello adottato era FTTP (Fiber-to-the-Premises, tra 40 mt e 100 mt dall’edificio, come in UK, dove “full fiber” è inteso FTTP). Da quel punto in poi, fino a casa dell’utente, il costo avrebbe dovuto essere a carico dell’operatore telefonico che, forfettariamente, avrebbe collegato ogni cliente al costo di 240 euro a cliente (costo di primo allaccio), come stabilito dall’Autorità. Nelle intenzioni del Piano originario, il miliardo e 300 milioni dei voucher serviva ad “accelerare” la domanda, coprendo questo costo iniziale, non a sovvenzionarla. Accelerare la domanda di fibra ha tre grandi vantaggi. Da una parte, rende questi piccoli interventi di collegamento meno costosi. Dall’altra, anticipa i flussi di ricavi per gli operatori, spingendoli a ideare ulteriori promozioni rendendo allo stesso tempo più sostenibile il business plan del concessionario, che può così dedicare le risorse finanziarie risparmiate ad accelerare i lavori in altre zone. Da ultimo, ma è anche il punto più importante, creando più rapidamente una massa critica di sottoscrittori con connessioni ultraveloci, i voucher permettono di giustificare la creazione di nuovi servizi destinati ad un’utenza con connessioni più veloci, stimolano il lancio di startup, creano occupazione ma, soprattutto, nuovi e più forti motivi che giustifichino la sottoscrizione da parte di altri utenti meno sofisticati. Purtroppo, anche se finalmente il Ministro Pisano ha rivitalizzato il Cobul, il Comitato che deve decidere in materia, non è ancora chiaro quando questo succederà.
Inoltre, pende sui voucher l’incognita di quanta parte di questi soldi verrà utilizzata per creare dei voucher per le aziende. L’iniziativa sembra apparentemente una buona idea. Ma potrebbe dirottare molte risorse lontano dalla banda ultralarga, incentivando investimenti finanziabili anche in altro modo. E questo può essere un problema. Mentre le aziende che hanno la possibilità di avere una connettività migliore non hanno problemi a dotarsene perché per loro il vantaggio della velocità è facilmente monetizzabile (minori tempi di attesa, connessione più affidabile, nuovi servizi disponibili), al contrario, gli utenti consumer fanno più fatica a giustificare una spesa aggiuntiva dal momento che attualmente la motivazione principale di un possibile upgrade tecnologico è legata al tempo libero. D’altra parte, quelle stesse aziende, soprattutto se offrissero prodotti o servizi online, avrebbero un notevole vantaggio se crescesse il numero degli utenti ultrabroadband. Come è risaputo, con l’aumento della velocità aumenta anche il tempo speso online e i servizi e i prodotti acquistati.
Copertura FTTH, l’Italia è in vantaggio
Tornando ai numeri della copertura ultrabroadband e dei sottoscrittori, c’è da dire che, vista con gli occhi delle statistiche della Commissione, la situazione non rende del tutto giustizia allo sforzo di modernizzazione che il nostro Paese sta facendo. Ma c’è una spiegazione. Tra le tecnologie con velocità superiori ai 100 Mbps la Commissione non include soltanto FTTH, ma anche FTTB (fibra al building) e tutte le altre tecnologie che dichiarano di superare i 100 Mbps, incluso Cable Docsis 3.0. Questo nonostante ormai in Europa e nel mondo la tecnologia che si sta diffondendo maggiormente sia invece proprio l’FTTH che ha scelto l’Italia. In questo modo sembra che altre nazioni, che hanno fatto scelte tecnologiche meno costose ma anche meno lungimiranti, siano in vantaggio rispetto a noi. Se si utilizzano invece i dati di iDate, che si focalizza sulle connessioni FTTH, il quadro cambia completamente.
Innanzitutto, emerge come negli ultimi due anni l’Italia sia il Paese che è cresciuto di più in copertura FTTH in Europa (il 43,1%), seguito da Polonia (40,5%) e UK (22,8%). Inoltre, spostando l’attenzione dai numeri relativi alla penetrazione in percentuale rispetto al numero delle famiglie ai valori assoluti delle linee posate e dei sottoscrittori, emerge un altro dato. L’Italia è già dal 2018 il terzo paese nella UE per numero di linee FTTH dopo la Spagna e la Francia. Siamo indietro rispetto alla Russia, che ha quasi 50 milioni di linee, ma precediamo di gran lunga la Germania e il Regno Unito, i cui incumbent hanno fatto scelte che il mercato e i loro governi stanno disconoscendo.
Inoltre, le previsioni di crescita dicono che questo nostro vantaggio relativo in termini di copertura delle reti in FTTH si conserverà ancora nel corso del 2020, anche se già quest’anno la Francia scavalcherà la Spagna. Nel 2025, invece, UK avrà scavalcato a sua volta la Francia e l’Italia, prendendo la leadership in quella che è l’attuale UE. Ma noi conserveremo ancora la terza piazza perché la Germania non riuscirà ancora a superarci in termini di copertura.
Per quanto riguarda i sottoscrittori in FTTH, infine, le previsioni dicono che la situazione non è altrettanto confortante. Il problema della digitalizzazione del nostro Paese continuerà a zavorrarci. Nonostante i nostri sforzi nella realizzazione di infrastrutture, alla fine di quest’anno saremo i settimi in valore assoluto di sottoscrittori nella UE, con la Spagna, la Francia e la Romania nelle prime tre posizioni. Alla fine del 2025, saremo quinti, guadagnando due posizioni, con UK come leader, seguito da Francia, Spagna e Germania, che ci avrà appena scavalcato.
Conclusioni
In chiusura di questa carrellata di numeri è doveroso un commento finale. Il frutto del lavoro di Open Fiber, per nulla facile, come è chiaro a chiunque sia addentro alle questioni più tecniche, creerà un vantaggio infrastrutturale per l’Italia di cui potremo godere per molti anni. È un vantaggio unico perché messo a disposizione soprattutto delle zone rurali e dei comuni meno densamente popolati come nessun altro paese sta facendo. Nel lungo periodo potrebbe essere il vero baluardo capace di preservare la varietà dei piccoli borghi italiani e la loro struttura sociale e culturale. Ma è anche un patrimonio industriale. Il know how nel riutilizzo delle infrastrutture, soprattutto quelle elettriche e nel project management di un’iniziativa così complessa sul piano amministrativo, ingegneristico e finanziario andrebbe capitalizzato.
Siamo in un’epoca di grande reinfrastrutturazione del mondo. Gli investimenti in infrastrutture hanno superato i tre triliardi di dollari all’anno e le telecomunicazioni sono al terzo posto, dopo energia e strade. Ma le telecomunicazioni, soprattutto quelle in “stile” Open Fiber, sono intimamente legate alle infrastrutture elettriche e stradali così come a quelle della telefonia mobile del 5G. Ci sarebbe un’enorme opportunità economica da sfruttare se si fosse capaci di trasformare un progetto-Paese come questo in una fabbrica di progetti similari.
Allo stesso tempo, però, andrebbe messo a fuoco e tarato meglio il progetto che il nostro Paese ha per un’infrastruttura di questa portata. A tratti sembra che si sia fatta soltanto perché andava fatta, per dovere di compliance verso l’ennesimo diktat europeo. A mio avviso, invece, è un’infrastruttura trasformazionale così potente da potere fare da sola da supporto a un nuovo modello di Paese, più semplice, più trasparente, più vicino alla gente comune. Ma finché il mondo della politica non si deciderà a guardarla da vicino e con occhi nuovi, resterà un sogno che nessuno avrà sognato, un’altra occasione che potrebbe andare sprecata.