Dopo gli articoli apparsi su questa testata e sul Corriere Comunicazioni, il ministero per la Coesione Territoriale ha scritto in una nota che sì, nell’obiettivo tematico due all’interno dell’attuale bozza dell’Accordo di partenariato con l’UE ci sono anche fondi per le reti banda larga e banda ultra larga, nella misura del 35 per cento. Un chiarimento opportuno sopratutto viste le voci discordanti che finora circolavano (tra cui un tweet dello stesso ministero secondo cui non c’erano fondi europei per la banda larga).
Per la banda larga ci sono quindi 630 milioni di euro europei, ossia una parte degli 1,8 miliardi di euro previsti, nell’obiettivo tematico due,per l’Agenda digitale (per Pa digitale e sostegno alla domanda, in particolare). Le cifre, una volta sommato il cofinanziamento nazionale e regionale, vanno raddoppiate (il ministero scrive “Alle risorse comunitarie si aggiungerà il cofinanziamento nazionale in una misura pressoché equivalente alla quota comunitaria”).
Ci saranno anche fondi nazionali Sviluppo e coesione, per la digitalizzazione e in particolare per la rete, ma sono ancora da definire. “Esse saranno comunque di entità significativa per permettere un sostanziale rafforzamento della rete”, si legge nella nota.
Riassumendo, stando all’attuale bozza, i fondi per l’Agenda 2014-2020 sono:
- 3,6 miliardi di euro nell’Accordo di partnenariato (50% europei e 50% nazionali-regionali) per Pa digitale, banda larga, sviluppo della domanda. In particolare: 1)1,5-2 miliardi (stime) per “Favorire l’interoperabilità delle banche dati pubbliche, anche attraverso l’utilizzo di soluzioni cloud”, “Innovazione dei processi della PA in particolare su sanità, giustizia, beni culturali nel quadro del Sistema Pubblico di Connettività, inclusa l’offerta di servizi pubblici digitali e il ricorso al cloud computing”, 2)1,260 miliardi per “Concorrere all’attuazione del «Progetto strategico Agenda digitale per la banda ultra larga» e di altri interventi programmati nei territori per assicurare una capacità di connessione ad almeno 30Mbps”, “Completare il Piano Nazionale Banda Larga nei territori che, eventualmente, non avessero ancora una copertura stabile di connettività in banda larga ad almeno 2Mbps al 2013″ 3) 500 milioni per “Alfabetizzazione e inclusione digitale (diffusione e l’utilizzo del web e dei servizi pubblici digitali, azioni mirate verso i non-utilizzatori di Internet e ICT)”, “Empowerment dei cittadini (nuove competenze digitali, utilizzo degli strumenti di dialogo, collaborazione e partecipazione civica in rete)”, Acquisizione di competenze avanzate da parte delle imprese.
- Nell’Accordo, circa 500 milioni di euro per sostenere investimenti delle aziende in ICT.
- Parte “significativa” dei 54 miliardi di euro dei fondi nazionali Sviluppo e coesione, per infrastrutture digitali materiali e immateriali.
I nodi da sciogliere:
- I fondi dell’Accordo sono concentrati all’80 per cento nelle regioni sottosviluppate (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia, Basilicata). La programmazione 2007-2013 già aveva lasciato il Centro-Nord scoperto per le reti a banda ultra larga. Non è detto che si riesca a compensare con i fondi Sviluppo e coesione.
- Sempre nell’Accordo, i fondi per sostenere la diffusione dell’Ict nelle aziende ci sono soltanto per le regioni del Sud. Destinazione Italia però voleva utilizzare questi fondi su tutto il territorio nazionale per alcune misure: prevede che il credito di imposta per ricerca e sviluppo sia coperto con 600 milioni per il periodo 2014-2016 mentre per finanziare i voucher destinati alle Pmi che investono in Ict servono 100 milioni. Altri 50 milioni sono destinati al credito di imposta per l’acquisto di e-book.
- I fondi dell’Accordo appaiono largamente insufficienti rispetto alle promesse del premier Enrico Letta, alle richieste provenienti da chi si occupa di Agenda nella Presidenza del Consiglio (10 miliardi di euro) e a quelle del ministero dello Sviluppo economico (2,5 miliardi di euro per gli obiettivi 2020 della banda ultra larga).
- Manca un piano nazionale per l’utilizzo dei fondi europei, com’è invece in Francia e Germania. E’ una conseguenza dell’attuale forma del titolo quinto della Costituzione, secondo cui in Italia è regionale la competenza della spesa dei fondi Ue. Finora però questa impostazione ha portato conseguenze negative, secondo molti esperti: dispersione delle risorse e incapacità di spenderle interamente. Forse ci sono margini per varare comunque un piano nazionale, dato che le norme pongono la competenza del settore informatico nelle mani dello Stato centrale. Del resto, molti progetti dell’Agenda (datacenter, infrastrutture digitali) andranno realizzati centralmente e poi riutilizzati dalle varie regioni. Solo un piano nazionale- anziché vari piani regionali che investano separatamente magari replicando gli stessi progetti- sarebbe compatibile con questi obiettivi.
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