Sia ben chiaro: il povero genovese deceduto magari sarebbe deceduto ugualmente. Nessuno di noi ha così poco sale in zucca da pensare che una full digital town possa salvare vite o evitare che le assurdità labirintiche della burocrazia e la corsa criminosa al “mattone selvaggio” rendano possibile che una città vada a mollo ogni volta che piove per più di due ore.
Vogliamo solamente provare a fornire qualche suggestione rispetto a scenari dove le tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni rendono forse più semplice la vita e possono essere d’aiuto anche in situazioni di elevata criticità.
E partiamo da Genova: giovedì 9 ottobre, sera. Il Sindaco è a teatro; piove da giorni, ma sembra tutto nella norma. Il cellulare del Sindaco, immaginiamo ovviamente acceso, non riceve nessuna comunicazione perché nessuna comunicazione parte: i modelli matematici dell’agenzia regionale dell’ambiente non evidenziano criticità. Piove forte, ma senza l’ufficializzazione dell’allerta meteo nessuno è autorizzato a far nulla.
Alle 22,15, la “bomba d’acqua”. Ma siccome non parte l’allerta meteo, tutto continua a tacere.
Nel giro di un’ora, dalle parti della Stazione Brignole l’acqua raggiunge il livello di un metro e novanta rispetto al suolo.
Nel frattempo gli automobilisti ignari ovviamente vedono che piove, ma non hanno nessuna possibilità di essere informati della tragicità della situazione a Brignole.
Nel giro di pochi minuti, le auto e i cassonetti dell’immondizia si trasformano in canoe e il Bisagno diventa un torrente in piena. Il morto ci scappa intorno alle 23,30: un pedone che da Brignole cerca di tornarsene a casa sua. A seguire, l’inevitabile black-out. Città al buio, telefoni muti. Quando arriva l’allerta, nessuno è in grado di notificarla perché manca l’elettricità e i ponti radio (compresi quelli della telefonia mobile, evidentemente) sono a bagno maria.
Prima considerazione: la tecnologia non è in grado di vincere la lotta contro la miopia. Se “le autorità competenti”, in assenza di un mitico “modello matematico” capace di confrontarsi con quello che qualsiasi essere umano normodotato sarebbe in grado di capire anche solo guardando fuori dalla finestra, non lanciano l’allerta, nemmeno Mandrake e l’anima di Steve Jobs sono in grado di far nulla.
Le comunicazioni ufficiali, si sa, viaggiano con regole misteriose.
D’altro canto, il cittadino genovese è consapevole del fatto di vivere in una “smart city” e si sente quindi in una botte di ferro. Addirittura, il prestigiosissimo “ICityRate” mette Genova tra le prime 15 smart cities italiane.
E c’è la meravigliosa App “IoNonRischio”, sviluppata proprio per dare ai genovesi informazioni sul rischio inondazioni. Peccato che tutto parta dal “dato ufficiale”, e che quindi – immaginiamo – gli utenti dell’App in questione giovedì sera non abbiano ricevuto un beato nulla di informazioni.
E questa sarebbe “smartness”, diciamo.
Seconda considerazione: avere a che fare con la realtà, aiuta. Se si è responsabile del 118 in una città come Genova, forse ci si preoccupa di comprare un paio di gommoni-ambulanza per evitare di ricevere (come è successo giovedì notte) centinaia di telefonate alle quali si risponde dicendo “Signora, capisco, ma le ambulanze non riescono a passare perché l’acqua è alta”.
Ma l’acquisto di gommoni-ambulanza non fa punteggio per diventare smart city, evidentemente.
E fin qui, nulla di “full digital”. Solamente buon senso. Ma veniamo al digitale: dopo decine e decine di convegni a botte di “2.0”, a Genova siamo fermi alla primazia del “dato ufficiale”. Gli “user generated content” li teniamo buoni solo per i white paper e i progetti europei dove ci sono soldi da portare a casa.
Un po’ come dire al poveretto deceduto: “Sì, sei morto, ma non sei morto annegato perché ufficialmente non pioveva così tanto”.
Diciamo che in giro c’è di meglio.
Come a Bruxelles, dove il “Be-Alert” (progetto costato meno di quanto è costato il solo studio di fattibilità di uno qualsiasi dei grandi progetti “smart” italiani) è in grado di veicolare informazioni ufficiali ma anche contenuti generati dagli utenti. O come la Cisco Open Platform nelle sue declinazioni relative alla Homeland Security.
Oppure ancora, come lo statunitense CWOP (Citizen Weather Observer Program), dove i singoli cittadini si trasformano in produttori di informazioni che poi vengono veicolate anche attraverso i social network.
Per arrivare allo “Smart Citizen Kit” della città di Amsterdam, dove ci si focalizza sui processi partecipativi capaci di trasformare i city users (non solo i “cittadini residenti”) in veri e propri produttori di contenuti e di dati che poi vengono condivisi e utilizzati da tutti.
Dalla teoria alla pratica: quello che sarebbe potuto succedere l’altra notte a Genova.
Alla prima chiamata al 118 (intorno alle 22,30, secondo quanto riportato dalla stampa e dai TG), qualcuno avrebbe potuto incominciare a far circolare l’informazione “piove forte, la cosa potrebbe diventare seria”.
Niente di ufficiale, niente di automaticamente “generatore di panico”: solo una piccolissma (ma utilissima) informazione: “se siete in auto dalle parti di Brignole, forse è meglio se ve ne andate”.
Queste informazioni, veicolate da sms e social media, avrebbero raggiunto gli automobilisti con un’oretta buona di anticipo rispetto al caos. Magari anche il poveretto morto annegato avrebbe potuto ricevere un sms o una chiamata da qualcuno, chissà. Magari, gli addetti ai pannelli stradali informativi avrebbero potuto far girare una notizia tipo “è ufficioso: forse è meglio se cambiate strada”.
E forse, chissà, anche la mitica “autorità competente”, concentrata sul video del suo modello matematico ufficiale, avrebbe potuto ricevere un sms dalla suocera: “guarda fuori dalla finestra, che è meglio”. Perché non c’è niente di peggio del vivere sommersi da tecnologie e informazioni e non poter ricevere al momento giusto l’informazione utile.
Smart Living, diciamo.
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*I tragici fatti di Genova sono serviti da spunto per questa nuova collana di pezzi che abbiamo deciso di chiamare “What If Digital”: si parte da un accadimento reale (speriamo, non necessariamente tragico) e si prova a capire come in un mondo full digital quello stesso fatto sarebbe potuto andare diversamente. Se avete suggerimenti, sono sempre bene accetti.