Affrontare la sfida del digitale ha imposta alle aziende un profondo processo di revisione delle competenze e dei processi. Fino a pochi anni fa la partita di adeguamento delle competenze ICT si giocava principalmente sul fronte tecnologico per colmare lo skill shortage legato all’evoluzione dei sistemi. Questo gap tuttora permane e secondo quanto stima la CE saranno circa 900 mila i posti di lavoro legati all’economia digitale vacanti nell’Unione Europea. Il terremoto della digital disruption ha però reso evidente come seguire i trend della tecnologia digitale non basti più e come sia necessario realizzare anche un cambiamento culturale all’interno delle imprese per affrontare la velocità e l’imprevedibilità dei fenomeni digitali che caratterizzano il nostro contesto competitivo.
Questo cambiamento culturale deve partire da una consapevolezza diffusa in azienda, non solo nella Direzione ICT ma anche nelle Line of Business, di puntare alla ricerca, sviluppo e diffusione di nuove competenze, a volte non presenti in azienda, non facilmente riconoscibili con metodi e criteri tradizionali.
Ne è un esempio l’introduzione in molte imprese del ruolo del Digital Innovation Officer. Si tratta di una figura spesso in posizioni di vertice, posizionata fuori o dentro la Direzione ICT, dotata di un proprio budget, per affiancare il processo di innovazione con un approccio indipendente dai sistemi e sempre aperto a nuove fonti di innovazioni.
Più recentemente le imprese stanno comprendendo come le competenze digitali siano spesso dotate di una forte componente soft, di tipo relazionale e comportamentale, e stiano quindi approntando programmi per individuarle al proprio interno e diffonderle attraverso figure di champions e programmi innovativi di formazione e ingaggio. E’ sempre più forte, quindi, l’esigenza di individuare nuovi profili professionali in grado di presidiare il necessario percorso di digital transformation nelle imprese.
La Survey condotta dalla Digital Transformation Academy su un campione significativo di CIO di medio-grandi e grandissime imprese italiane ha analizzato queste sfide organizzative delle Direzioni ICT italiane per il 2016.
Pur con le specifiche declinazioni per settore, tra le sfide organizzative che appaiono prioritarie ritroviamo al primo posto la Gestione dell’Innovazione, in termini di ruoli e processi, con una percentuale di preferenze che arriva al 52%. Attraverso questa figura le Direzioni ICT svolgono un ruolo centrale nello sviluppo dell’innovazione digitale per l’impresa, un tema che è sempre più trasversale e che coinvolge tutta l’impresa per un’innovazione volta non solo ai prodotti, ma anche al miglioramento dei processi aziendali, delle relazioni con i clienti e dei modelli di business. Al secondo posto la figura dell’Enterprise Architect (28%), in crescita rispetto al 2015 in cui si collocava solamente al settimo posto della classifica. Le aziende stanno procedendo verso la virtualizzazione e l’adozione di soluzioni Cloud & as a Service: la gestione delle componenti infrastrutturali sta quindi attraversando un momento di forte trasformazione e la creazione del ruolo dell’Enterprise Architect risulta vitale per guidare l’evoluzione dei sistemi informativi aziendali nel tempo e garantire coerenza ed apertura degli stessi. Il Demand Management si colloca al terzo posto tra le sfide organizzative con un solo punto percentuale di distacco (27%), confermandosi tra le prime tre priorità anche per il 2016, pur scendendo di una posizione rispetto al 2015. Non si tratta ancora di un ruolo maturo per molte imprese italiane, ma di un meccanismo organizzativo essenziale per cogliere e anticipare le esigenze del business, trasferire innovazione, e condurre in molti casi l’execution di importanti progetti.
Se la Gestione dell’Innovazione rimane al primo posto tra le sfide organizzative, tuttavia i meccanismi per lo sviluppo della stessa più adottati dalle imprese italiane appaiono ancora decisamente tradizionali. Secondo i risultati della Survey la gran parte delle imprese adotta Team di progetto dedicati (39%), attività non strutturate con gestione occasionale in base alle richieste (37%) o Ruoli dedicati nella Direzione ICT (35%). Seguono, ma assai distaccati, meccanismi di coordinamento più strutturati e aperti come l’utilizzo di Collaborazioni interfunzionali (24%), Tavoli congiunti con partecipatori esterni (21%) e Comitati per l’innovazione (16%). Solo nel 15% dei casi sono presenti Unità di Ricerca&Sviluppo vera e propria, mentre nel 13% l’innovazione è guidata da Ruoli istituiti nelle Line of Business.
L’Innovazione appare ancora stimolata prevalentemente da fonti tradizionali, Vendor ICT (30%), Line of Business (29%), clienti esterni (27%) e società di consulenza (26%). Tuttavia, confrontando questi dati con gli attori che secondo la previsione dei CIO costituiranno le fonti di stimolo e innovazione per i prossimi 3 anni, si nota che le fonti di innovazione “tradizionali” sono decisamente in calo, alcune in modo significativo, come i Vendor ICT. Risultano invece in forte crescita altre fonti di innovazione, che fino a oggi hanno avuto minor impatto: le Unità dedicate di ricerca interna (14%), le Università e i Centri di ricerca (11%) e le startup (8%). Cogliamo in questo dato, se non un atto di moto, almeno la forte volontà e consapevolezza che per restare competitive le nostre imprese devono quindi saper ripensare non solo le competenze digitali ma anche i processi di innovazione digitale aprendosi ad ecosistemi nuovi in un contesto di “open digital innovation”.