«Giochiamo domani o fra dieci anni?», chiede Francesco Seghezzi, direttore di ADAPT University Press, esprimendo in poche parole una buona dose di scetticismo sulle possibilità di vincere una partita con la Germania su Industry 4.0: se sui campi da calcio, la sfida è tutta in salita per i panzer tedeschi, complice una tradizione a dir poco sfavorevole, sul terreno dell’economia dell’innovazione e di Industy 4.o, gli esperti concordano nel dire che la Germania rischia di aver già vinto in partenza.
Anche Mauro Lombardi, docente di Economia all’Università di Firenze nonché esperto di innovazione, teme che, su Industry 4.0, fra Italia e Germania non ci sia partita. I tedeschi «hanno linee strategiche, progetti, risorse, leader di imprese già impegnate in industry 4.0 come dimensioni, investimenti e qualità dei progetti, global player». L’Italia è più indietro, ma qualche buon pallone se lo può giocare facendo leva su alcuni punti di forza (adattività delle nostre imprese, capacità innovative), e prendendo spunto da alcune best practice già presenti sul territorio, di collaborazione proprio con la Germania (imprese meccaniche dell’Emilia Romagna grandi clienti proprio dei big dell’industria tedesca). Il punto è come si imposta la partita, aggiunge Paolo Manfredi, responsabile Strategie Digitali di Confartigianato, secondo cui «l’Italia deve giocare in modo diverso dalla Germania». Fuor di metafora, contrapporre al modello tedesco di Industrie 4.0 una strategie basata sulle competenze italiane nel manufactoring, immettendo artigianalità nella produzione. Se invece, scendiamo in campo «con la stessa formazione, ci schieriamo nello stesso modo e usiamo gli stessi schemi perdiamo. Se usiamo i nostri schemi, possiamo anche vincere». Approfondiamo lo spunto offerto dal calendario di Euro 2016, che sabato 2 luglio vede in campo Italia e Germania nei quarti di finale del campionato europeo di calcio: le due potenze manifatturiere europee, oltre che le due avversarie di sempre sui campi da calcio. E vediamo cosa si qualificherebbe l’Italia in un ipotetico campionato europeo di Industria 4.0, approfondendo anche i piani e le strategie degli altri paesi UE, nonchè avversari a Euro 2016.
Italia-Germania
Questa partita, sul fronte dell’economia dell’innovazione, si gioca su due diversi fronti: quello delle strategie di industry 4,0, e quella della stracittadina Milano-Francoforte, entrambe candidate a diventare nuove capitali europee dell’innovazione dopo la Brexit, che potrebbe penalizzare Londra. Fra l’altro, il campionato europeo di calcio ha riprodotto nel giro di pochi giorni una Brexit calcistica, con l’Inghilterra eliminata a sorpresa dall’Islanda il 28 giugno, pochi giorni dopo il referendum del 23 giugno.
Partiamo da industry 4.0: «se giochiamo domani», prosegue Seghezzi, l’Italia di possibilità di vincere ne ha pochine: «se la nazionale (quella allenata da Antonio Conte, n.d.r.) è tecnicamente scarsa ma tatticamente brava» la squadra azzurra di Industry 4.0 è «tatticamente e tecnicamente scarsa». Con un po’ più di tempo a disposizione, nell’Italia Germania dell’innovazione gli azzurri potrebbero invece puntare su «creatività, intelligenza, originalità». Ma comunque, ci vogliono strumenti tecnologici ed infrastrutture. Insomma, decisamente 1-0 per la Germania. Anzi, 2-0, perché Seghezzi vede anche Milano perdente rispetto a Francoforte come nuovo hub europeo dell’innovazione: ma «cominciamo a vincere sabato», conclude l’economista, diplomaticamente.
Un’interessante prospettiva di gioco è quella offerta da Fabio Montobbio, docente di Economia dell’Innovazione all’Università degli Studi di Torino, che vede un pareggio su entrambi i fronti, Industry 4.0 e capitale dell’innovazione. Nel primo caso, in nome della complementarietà dei sistemi industriali italiano e tedesco. «La storia anche sviluppo industriale italiano è anche una storia di legami – argomenta -. E la manifattura tedesca ha fornitori italiani di alta qualità. Io più che pensare a una patita su chi vince, penserei che la strada è quella di integrare e crescere bene insieme, con legami economici forti su una filiera verticale». Quindi, politiche di innovazione europee, in nome del concetto di smart specialisation ovvero di «utilizzare l’economia della conoscenza in modo virtuoso, stimolando per ogni paese una sua strada di specializzazione». La partita Milano – Francoforte, invece, secondo Montobbio non è nemmeno destinata a essere giocata fino in fondo, perché anche dopo la Brexit la capitale dell’innovazione resta Londra: l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea comporta altri problemi, per i rischi di recessione, l’incertezza sui trattati, e l’instabilità è negativa anche per le attività potenzialmente innovative, ma le caratteristiche di internazionalità, capitale umano, ricerca e sviluppo, continueranno a rendere Londra appetibile.
Anche per Lombardi, vince 2-0 la Germania: fra Milano e Francoforte, come hub dell’innovazione, l’economista ritiene avvantaggiata la metropoli tedesca, e sul fronte di industry 4.0 rischia di non esserci partita. Ma in questo caso, non si escludono i tempi supplementari: la ricetta del 4-3, per restare nella metafora calcistica (con riferimento alla semifinale vinta dall’Italia nel 1970, per la verit in un campionato del mondo), sta nella capacità innovativa delle imprese e degli imprenditori italiani, che sanno avere leadership e visione strategica, e nella collaborazione con la Germania: «perché la crisi Fiat non ha fatto crollare l’industria della componentistica da Bologna a Torino? Perché buona parte della subfornitura lavora per l’industria tedesca. Ci sono imprese meccaniche in Emilia-Romagna partecipate da tedeschi, e imprese italiane che acquisiscono medie imprese tedesche».
Manfredi, invece, è il più ottimista sulle possibilità di vittoria italiane. Milano può battere Francoforte puntando sulle forti competenze innovative che già ha, mentre sul fronte della cosiddetta quarta rivoluzione industriale, l’Italia può vincere parlando, più che di industria, di manifattura 4.0. Fra l’altro, sottolinea il responsabile di Confartigianato Digitale, la partita dell’innovazione e della nuova produzione non è a due, ma si gioca su scala mondiale. «L’idea della Germania è molto semplice: immetto tecnologia per far sì che la manifattura aumenti produttività. Il modello a cui tendo è quello della fabbrica automatizzata, della softwarizzazione della manifattura». E un progetto che funziona con produzioni altamente standardizzate, che contano su economia di scala, e in cui il fattore umano è residuale. Questa è la partita della Germania». Ma funziona per un determinato modello produttivo, quello tedesco, e ha anche «costi sociali molto alti». In Italia, lo scenario è completamente diverso, ha un sistema di competenze, può puntare sul passaggio da un’economia di scala a un’economia di varietà, di personalizzazione, e sulle caratteristiche più tipiche del Made in Italy: creatività, cultura, tradizione artigiana. In pratica, il contrattacco italiano potrebbe giocarsi su una strada diversa: «immettere artigianalità nelle produzioni», e «utilizzare le tecnologie per aumentare il valore». Si possono «ottenere prodotti con un valore artigiano molto forte, ma che costano meno». Oppure, nel caso ad esempio dell’industria del gioiello, «produrre grazie alle tecnologie forme a cui arriva la creatività ma che sono improducibili con i metodi tradizionali». Dunque, anche in questo caso, l’Italia può puntare ai supplementari. E con la vittoria di Milano su Francoforte potrebbe aggiudicarsi le semifinali: Milano può proporsi come la capitale del modello di innovazione appena descritto.
Infine secondo Giovanni Anselmi, presidente di A.P.I. (piccola industria) Digitale e responsabile dell’Osservatorio 4.0, la Germania parte sicuramente in vantaggio, ma la partita con la Germania non è ancora persa per l’Italia. «La Germania la sta governando, non ancora vincendo. Come sempre, l’Italia parte alla rincorsa, speriamo che come nel calcio poi recuperi». Anche Anselmi concorda sulla linea per cui il piano tedesco punta sulle grandi imprese, mentre l’Italia può recuperare partendo dalle piccole.
Le squadre europee di industria 4.0
Il problema è che negli europei di industry 4.0, alla partitissima dei quarti di finale contro i panzer tedeschi l’Italia non ci sarebbe arrivata, o quasi: la Germania è stata fra i primi paesi del mondo a mettere a punto una strategia nazionale, nel 2011, a cui si deve il nome di Industry 4.0. L’Italia, invece, il girone eliminatorio avrebbe potuto passarlo al massimo come una delle quattro migliori terze. Avrebbe perso sicuramente contro il Belgio, uno dei primi paesi europei dopo la Germania ad aver lanciato nel 2013 un piano per industria 4,0, Made Different.
Il piano si pone l’obiettivo di creare 50 fabbriche del futuro (Factories of the future, Fof) entro il 2018, e stimolare 500 industrie a intraprendere azioni verso nell’ambito FoF. Situazione al 2013: 125 imprese che hanno avviate iniziative di digitalizzazine in chiave industry 4.0, con 142 diverse azioni, di cui il 67% da parte di piccole e medie imprese. Il piano belga prevede sette livelli di trasformazione della fabbrica per diventare 4.0:
- tecnologie World Class Manufactoring: l’innovazione dei processi produttivi va verso lo sviluppo di device indipendenti per gli aspetti chiave della produzione;
- end to end engineering: una maggior integrazione fra vendite e produzione, per sviluppare prodotti e servizi lungo l’intera catena produttiva.
- Digital Factory: l’impresa del futuro è completamente digitalizzata e connessa.
- Produzione human centered: le risorse umane diventano un asset per ancora la produzione al territorio, partecipazione dei lavoratori allo sviluppo dell’impresa;
- Network produttivo: ecosistema di fornitori e partners, e in generale forme di netork flessibili alle esigenze produttive;
- sostenibilità: risparmio energetico, ma non solo. La sostenibilità riguarda l’intero processo aziendale, dall’acquisto delle materie prime alla produzione alla gestione degli scarti e dei rifiuti, nell’ottica dell’economia circolare.
- Sistema produttivo intelligente: il sistema produttivo dve essere in grado di rispondere velocemente a una domanda di mercato che cambia molto rapidamente, mentre la produzione in serie dovrebbe essere limitata.
L’Irlanda non ha un piano per Industria 4.0, ma in compenso la sua capitale, Dublino, è considerata da diversi economisti come la migliore opzione per le imprese che, dopo la Brexit, volessero abbandonare Londra.
La Svezia, invece, che sul campo da calcio l’Italia ha battuto con una certa facilità, ha un piano chiamato “Produktion 2030”, che punta su sei aree di intervento: energie sostenibili, processi industriali flessibili, realtà virtuale, sistemi di produzione human-cenetered, servizi per i prodotti e per la produzione, sviluppo dell’integrazione prodotto-produzione.
La Spagna, avversaria dei quarti di finale, non ha un piano per industry 4.0, l’unico piano è su base regionale, la “Estrategia Fabricacion Avanzada” nei Paesi Baschi. La Francia ha un piano strategico, Usine du Future, basato su cinque pilastri: sviluppo tecnologie industriali, incentivi alle imprese che investono in innovazione, lavoro e salari, rifnrozo della cooperazione europea e internazionale, promozione del piano fra industriali e cittadini.