Il 5G cambierà completamente il nostro modo di comunicare, lavorare, gestire le cose e vivere quotidianamente, ma sta già avendo importanti ripercussioni a livello geopolitico. Ultima conferma, nel rapporto conclusivo dell’indagine sulla sicurezza delle telecomunicazioni il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della repubblica), dopo mesi di indagini, afferma che le aziende cinesi nel 5G sono un reale pericolo per la sicurezza nazionale. Bisogna, continua il Comitato, “seriamente prendere in considerazione un innalzamento degli standard di sicurezza idonei per accedere all’implementazione di tali infrastrutture” e invita gli addetti a maggiori attenzioni e non esclude la possibilità di eliminare “le aziende cinesi dalla attività di fornitura di tecnologia per le reti 5G”.
A questa notizia si associa quella degli USA che giornI fa hanno chiesto agli Stati UE e ai propri colossi tecnologici di avere maggiore attenzione verso i possibili rischi di attacco cyber e di spionaggio da parte di grandi aziende come Huawei e ZTE. La Cina dal suo canto, invece, sembra essere sempre più interessata (avendo già convinto i suoi giganti tecnologici) a trasferire la tecnologia in altri Paesi (ad oggi già circa 63, come dichiarato nel rapporto del Carnegie Endowment for International Peace). Insomma siamo alla solita confusione tra esigenza di crescita sociale e spinta economica sempre più in mano a pochi.
Ci troviamo insomma in uno scenario di nuova guerra fredda tecnologica, come la stanno chiamando ormai in tanti, in cui da un lato ci sono gli Usa, che chiedono agli Stati Ue e ai propri colossi tecnologici di avere maggiore attenzione verso i possibili rischi di attacco cyber e di spionaggio da parte di grandi aziende come Huawei e ZTE; dall’altro, la Cina sembra essere sempre più interessata (avendo già convinto i suoi giganti tecnologici) a trasferire la tecnologia in altri Paesi (ad oggi già circa 63, come dichiarato nel rapporto del Carnegie Endowment for International Peace).
E l’Europa come si sta muovendo in questo meccanismo in cui le infrastrutture critiche e le reti sembrano lo scopo e invece sono il mezzo?
Proviamo con questa breve analisi a fornire qualche spunto di riflessione.
5G, obiettivi tecnologici e rischi
Con il 5G gli obiettivi dichiarati sono alta velocità di trasmissione dati, latenza ridotta, download in secondi e non più in minuti, risparmio energetico, riduzione dei costi, maggiore capacità del sistema e connettività massiva dei dispositivi senza “colli di bottiglia”. Si prevede una velocità fino a 20 gigabit. La nuova infrastruttura sarà presto sempre più digitalizzata.
Veniamo ora alle possibili minacce che possono innescarsi via 5G: dall’interruzione delle reti energetiche, dalla gestione del traffico dati, fino alla possibilità di controllo di tutti i sistemi di informazione. L’aumento della sicurezza quindi dovrà essere direttamente proporzionale allo sviluppo della tecnologia. Questo non sta ancora avvenendo perché da una sperata cooperazione internazionale ci si sta invece dirigendo verso una spiccata attenzione solo su possibili benefici che questa tecnologia può portare a livello economico e di supremazia sul controllo di massa.
Difficile, per il cittadino comune comprendere con chiarezza se lo scontro in atto per la supremazia nel 5G sia un problema di tecnologia o, appunto, un discorso sulla supremazia di dati e, quindi, di infrastrutture.
Le “provocazioni” degli Usa e la risposta di Pechino
Il tweet del 21 novembre scorso del Presidente Donald Trump, in cui si chiede in maniera esplicita e diretta di impegnare Apple nella costruzione del 5G negli Stati Uniti, dato che hanno tutto, soldi, tecnologia e visione, è stato un primo segnale di “attacco comunicativo” alla Cina. Una provocazione che Pechino non ha gradito, ma, sembra paradossale, ha portato ad annunciare di sospendere i dazi previsti contro gli Usa. Gli Stati Uniti soddisfatti hanno accettato di buon grado la cosa e sempre su Twitter, Donald Trump ha dichiarato di voler sospendere le tariffe Usa al 15% su quasi 160 miliardi di dollari di prodotti Made in China. Pechino dalla sua parte risponde con tariffe su 3.300 prodotti statunitensi. Trump a sua volta specifica che verranno ridotte al 7,5% le tariffe su “molto del resto”, per un totale stimato di 120 miliardi di dollari di prodotti cinesi.Ma cos’è questo “molto del resto”?
Quello che non sanno in molti è che questi dazi, nascosti dietro le pieghe del termine generico “commercio”, sono previsti oltre che per la tecnologia, anche per i prodotti alimentari, la proprietà sui brevetti e i servizi finanziari.
Il ruolo dei colossi Usa
Qui vanno tirati in ballo Apple e Google. Sono loro “il resto”. Ovvero convincere Apple a spostare tutta la produzione all’interno degli Stati Uniti per Trump vuol dire impedire alla Cina da una parte di conoscere a fondo i prodotti che provengono dall’America e abbassare troppo il costo delle produzioni e dall’altra di inserire dentro a prodotti a marchio Usa dei microchip per il controspionaggio. Da parte di Google invece si tenta, dagli USA, di controllare ciò che l’azienda sapientemente ha acquisito in tempi non sospetti (tra il 2004 e il 2013) quando ha comprato Skybox, che controlla le immagini satellitari, l’israeliana Waze, che gestisce le mappature in tempo reale. Google dal suo canto non può attaccare troppo Trump su questa linea perché poco prima di queste acquisizioni, nel 2003, gli furono pagati fior di milioni per profilare e indicizzare (o meglio decifrare) circa 15 milioni di documenti in 24 lingue per la National Security Agency.
Cosa fa la Ue mentre Trump conclude accordi
Nel teatrino di compromessi e tregue la Ue cosa fa? Al momento, in sostanza, prende tempo. Ma l’acqua sembra riscaldarsi e forse alla fine arriverà a ribollire: la tensione cresce, come dimostra il rapporto Copasir. E la recente proposta di legge tedesca per bandire vendor 5G “non degni di fiducia”. Huawei non è citata, ma è ovvio target.
C’è anche un altro input che ci impone una riflessione: il vertice Nato. A valle dell’incontro, da cui il presidente americano sembra essere uscito deriso, si è accelerato l’accordo tra USA e Cina. Quelli che lo hanno deriso potrebbero ritrovarsi con dazi aumentati anche su un buon whisky, vini, piadine e formaggi. Senza dimenticare i dazi su aviazione civile e materiale tecnologico. Un mix di tariffe aumentate in cui, mentre Macron si chiede chi sono i veri terroristi e come agire con la Siria avvicinando allo stesso tempo la Russia, Trump porta a casa accordi e fatti, limita la politica autoritaria di controllo e gestione delle infrastrutture della Cina e richiama, cosa che non stanno facendo i leader interni, i rapporti Ue su società cinesi che impongono tecnologie di sorveglianza con AI.
Nei documenti Ue le preoccupazioni sulla Cina
Trump sa benissimo che molti paesi si sono già impegnati a spostare tale tecnologia nel loro interno prediligendo, ad esempio, Huawei a discapito di Apple. Gli USA in fondo ci stanno esortando a leggere un documento di ottobre della Ue, passato quasi inosservato, in cui si legge che le presentazioni di prodotti cinesi sono spesso accompagnate da prestiti agevolati, per incoraggiare i governi ad acquistare le loro attrezzature. Ciò solleva interrogativi preoccupanti sulla misura in cui il governo cinese sta finanziando l’acquisto di tecnologie repressive avanzate. Tali tecnologie tecnicamente si presentano sotto forma di intelligence sociale evoluta, attivandosi nella collaborazione tra imprese e Difesa interna cinese, in cui la parte scientifica è messa a disposizione del potere politico.
Sembra quasi un paradosso, ma la vera preoccupazione in primis per evitare attacchi e organizzazioni criminali è limitare al massimo la diffusione di troppe informazioni e troppe tecnologie, per evitare che, mettendo in contatto tra loro dispositivi, sensori e videocamere, si presti il fianco ad un possibile attacco e conseguente supremazia. Nel report di dicembre della Ue la presunta paura si trasforma in schiacciante verità e si delinea sempre più l’attenzione a queste applicazioni in settori focali e prossimi a tutti gli interessi in gioco, fattori tecnici, scientifici, ma anche legali e politici.
Questi si risolvono (o possono risolversi) parcellizzando i servizi, o come si evince dall’articolo di Evgeny Morozov per The Guardian, alla grandezza della Cina non va risposto con un’altra grandezza, ma con la diversificazione e delocalizzazione dei prodotti tecnologici. Questo modo di operare potrebbe dare di nuovo dignità alla scienza e alle idee in cui i dati, AI, IOT e le infrastrutture diventano più importanti delle singole potenze.
Nella geolocalizzazione delle tecnologie emergenti ci stiamo dimenticando chi la rete se la sta costruendo da sola. Come anche la Russia e Israele.