Una serie di eventi recenti ci inducono ad alcune riflessioni circa le prospettive dell’Agenda Digitale in Italia. Il dato da cui partire e’ il rapporto UE sullo stato di sviluppo delle infrastrutture di rete fissa a banda ultralarga: il confronto tra i 28 paesi dell’Unione evidenzia, oltre ogni possibile equivoco, l’entità del ritardo accumulato in Italia.
Neelie Kroes ha riassunto la situazione dichiarando, in occasione del Forum di Confindustria Digitale che “attualmente solo il 14% delle case degli italiani e’ raggiunta dalla banda ultralarga, una percentuale pari a circa ¼ della media Ue che pone l’ Italia all’ultimo posto tra i paesi europei”. Il tema è di rilevanza nazionale e travalica i confini delle dinamiche aziendali degli operatori delle telecomunicazioni. Forse non casualmente, l’affiorare di questa consapevolezza si è manifestata in contemporanea con il rinfocolarsi del dibattito circa l’assetto della rete di trasporto e di accesso di telecomunicazioni fisse. Anche se il quadro d’insieme e’ reso complesso da fattori che sono al contempo industriali e finanziari, regolamentari e normativi, un elemento di fondo appare in tutta evidenza: la questione fondamentale del rinnovamento delle infrastrutture dal rame alla fibra ottica e’ dibattuta, con carattere di urgenza, da svariati anni. Vari scenari si sono succeduti ed in ognuna di queste fasi si sono coltivate ipotesi di soluzione che parevano a tratti mature per raggiungere un consenso ed essere prossime alla loro messa in atto. In questo momento, emblematico e’ il dibattito che si è sviluppato sullo “scorporo della rete” dell’operatore incumbent, ipotesi prima annunciata come obiettivo, poi riconosciuta formalmente come “seria”, ora riformulata quale separazione funzionale orientata a garantire l’”equality of input”. C’è da sperare che questi dibattiti siano forieri di fatti concreti.
Il Paese necessita di una infrastruttura a banda ultralarga, fissa e radio, come premessa di sviluppo. Gli operatori del settore necessitano di un contesto di mercato aperto, a partire dalle scelte tecnologiche di base, dunque pro-competitivo e premessa di un mercato dove una pluralità di offerte crei valore per le imprese e per i consumatori, come è accaduto nel mercato dei servizi radio-mobili. Mentre la rete fissa di trasporto resterà un monopolio naturale, non vi sono scorciatoie rispetto ad un modello di sviluppo dei servizi basato sulla concorrenza infrastrutturale nel mercato dell’accesso. Risolvere questo nodo fondamentale e’ la chiave anche per stimolare lo sviluppo della domanda e l’adozione dei servizi digitali. La clientela italiana, che pare essere restia ad utilizzare i servizi digitali tramite la rete fissa, è la stessa che si dimostra altamente innovativa e fortemente propensa ad adottare i servizi digitali erogati dalle reti a banda larga e ultralarga radio-mobili. Forse dobbiamo pensare che la medesima clientela abbia una diversa propensione a seconda della modalità tecnica di accesso? Difficile accreditare la verosimiglianza di questa tesi; più verosimile spiegare questo dualismo con il diverso dinamismo dell’offerta dei due mercati, il primo con un minore tasso di innovazione e di competizione tra gli operatori, il secondo dinamicamente proiettato a promuovere le nuove generazioni di tecnologie, in un contesto altamente competitivo che assicura qualita’ elevata e a prezzi costantemente calanti.
La soluzione di questo problema sarebbe sia nell’interesse del mercato, sia dell’operatore protagonista di questo mercato. Le infrastrutture digitali costituisco l’elemento abilitante essenziale da cui dipende la pratica realizzazione di tutte le altre priorita’ contemplate dall’Agenda Digitale italiana, quali i piani di e-government, e-health, e-commerce, e-learning, fattori che – al tempo stesso – sia rappresentano grandi opportunità di lavoro e di occupazione, sia determinano l’efficienza e la competitivita’ del sistema economico pubblico e privato nel suo insieme. Alla luce di queste considerazioni, la discussione sul modello di sviluppo della rete di telecomunicazioni fisse appare, nella prospettiva dell’interesse del pubblico, un mezzo necessario per perseguire un fine che è più ampio, ovvero lo sviluppo economico e la progressione sociale implicite nella società dell’informazione. Ove anche i recenti sviluppi dovessero mancare questi obiettivi di interesse nazionale, avremo ricadute negative di portata ben più ampia rispetto agli interessi economici connessi al settore di attività in questione. D’altra parte, risulterebbe anche paradossale che ulteriori ritardi, come fin’ora accaduto, portino l’Italia ad assomigliare a quei Paesi il cui percorso verso la digitalizzazione sta avvenendo superando le tecnologie fisse, per imboccare un cammino di sviluppo basato sempre di più sulle tecnologie radiomobili. Tale scenario, non raccomandabile, né auspicabile, sarebbe una conferma della superiorità del modello competitivo per lo sviluppo del mercato, ma sarebbe altresì una soluzione sub-ottimale rispetto ad uno sviluppo armonico e complementare delle tecnologie a banda ultralarga, fisse e radiomobili, nell’interesse preminente di tutti gli utilizzatori, cittadini, imprese e pubblica amministrazione.
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