Spesso l’informazione si concentra oggi su come i social media e alcuni software siano funzionali alle forme di criminalità e di terrorismo – pensiamo a quanto parliamo in tal senso dell’ISIS – e a quanto abbiano una funzione di possibile controllo – Snowden docet.
Mentre poca attenzione ha il racconto di come la libertà di espressione di molte minoranze, di chi non trova la voce nei media di massa, di chi oppone un pensiero non allineato trovi rappresentanza online.
Siamo passati da una narrazione entusiasta (di Internet e delle sue possibilità di democratizzazione) ad abbracciare una visione critica. Forse è giunto il momento di considerare come le possibilità di avere “voice” per molte minoranze oggi passa di qui e che l’accesso diventa sempre di più un diritto fondamentale.
Questo produce anche responsabilità per le aziende che stanno dietro i social media o che hanno a che fare con la produzione dei software che consentono la connessione: perché hanno a che fare con un bene pubblico che travalica anche la volontà degli Stati. Ogni volta che un regime vuole interrompere la connessione e la visibilità dei contenuti è responsabilità delle aziende implicate prendere posizione a favore di quello che è un diritto di cittadinanza.