e-health

I mali della sanità italiana nello scontro per la ricetta elettronica

Ancora polemiche sulle ricette dematerializzate: quando la rivendicazione sindacale della base- medici in primis- nasconde un problema più serio. E’ difficile pensare di arrivare a una piena digitalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale senza un reale coinvolgimento “dal basso” dei medici di medicina generale

Pubblicato il 04 Feb 2016

Paolo Colli Franzone

presidente, Osservatorio Netics

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Alcune recenti polemiche sindacali avviate in Lazio contribuiscono a rimettere al centro del dibattito il tema del “gioco delle parti” della sanità digitale. Nel caso specifico, alcune rappresentanze dei medici di medicina generale polemizzano con la Regione Lazio ipotizzando un sottodimensionamento della dotazione economico-finanziaria associata al progetto di dematerializzazione delle prescrizioni sanitarie con particolare riferimento ai rimborsi a favore dei medici. Proprio quando siamo ai nastri di partenza: per il Governo il debutto della e-ricetta è previsto per marzo.

Siamo in una sorta di ritorno al passato: riemergono le richieste di fondi, si evocano “stampanti a doppio cassetto” come a raffigurare qualcosa di costosissimo che i medici laziali si attendono di ricevere più o meno gratuitamente dalla Regione.

Richieste molto difficilmente ricevibili, che però in realtà nascondono una verità profonda e un problema irrisolto: fino a quando la digitalizzazione dei processi “core” della sanità (ciclo prescrittivo, anagrafe assistiti, 730 precompilato) continuerà ad essere vista come operazione a preminente interesse economico-finanziario, sarà difficile dipanare i bandoli delle cento matasse che nel frattempo verranno a manifestarsi.
La sanità digitale è – prima di tutto e sopra ogni cosa – sanità. I medici (ma anche gli infermieri, i farmacisti, i centri di diagnostica, eccetera) non possono essere considerati “utenti passivi” del sistema e supini tributari di flussi informativi.
Fino a quando i medici e tutti gli operatori sanitari non introdurranno nella loro operatività quotidiana il digitale come “strumento quasi banale e scontato”, potremo immaginarci scenari a piacimento, tanto rimarranno rigorosamente sulla carta.
La governance dei flussi informativi e il controllo della spesa (e dell’appropriatezza) devono diventare la derivata prima di un sistema che parte mettendo al centro il rapporto medico-paziente. Pensare al computer nello studio medico come a un registratore di cassa in pizzeria è un errore clamoroso, dal quale non possono che nascere reazioni apparentemente esagerate come la recriminazione sui soldi per la stampante a doppio cassetto.

Giustamente le associazioni di rappresentanza dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta rivendicano un ruolo diverso per i loro associati all’interno del processo di digitalizzazione della sanità.
Risulta doveroso che coi medici parlino medici, tecnici del Ministero della Salute, prima ancora che funzionari del MEF.
Gli operatori sanitari in generale, e i medici in particolare, manifestano evidente interesse e favore nei confronti del digitale: tutto però deve diventare strumentale e di supporto reale all’esercizio della professione, e non l’ennesima “seccatura burocratica obbligatoria”.

La stampante a doppio cassetto rappresenta evidentemente la scusa, il baluardo posto a difesa di un ruolo.
Cambiamo registro: è facile, e i risultati non possono che essere positivi. Ridiamo agli opeatori sanitari centralità rispetto all’argomento, e disegniamo tutti quanti insieme la sanità digitale del futuro.
Non è difficile, e come sempre basta volerlo fare per davvero.

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