Abbiamo già illustrato come sia abbastanza facile, in Italia, individuare le caratteristiche di coloro che non usano Internet. Poche variabili di classificazione sono in grado di tracciare profonde spaccature rispetto all’uso di Internet: in primo luogo età e titolo di studio, seguite da condizione e posizione professionale.
In quella sede abbiamo anche presentato i motivi addotti dalle famiglie per la scelta di non dotarsi di un accesso a Internet a casa (a partire dall’indagine annuale Eurostat). Quei dati però non 9dicono tutto, per diverse ragioni. In primo luogo, si riferiscono a risposte fornite da famiglie prive di un accesso a casa, ma bisogna tener presente che alcuni componenti della famiglia potrebbero usare Internet altrove (questo succede in Italia per il 3% delle famiglie, una su otto di quelle che non hanno accesso a casa); viceversa non rispondono a questa domanda i tantissimi cittadini che dispongono di un accesso a casa, ma non usano Internet personalmente. In secondo luogo, esistono famiglie che non specificano alcun motivo, nemmeno tra i più importanti (vedremo che ciò è collegato al fatto che molti individui dichiarano, all’interno della stessa indagine, di non sapere cosa sia Internet). Si tratta del 14,2% delle famiglie italiane, contro il 7,0% della media UE-28.
Nella Tabella 1 mostriamo come, in questa triste classifica, l’Italia sia in posizione migliore di soli 4 paesi, nell’ordine: Grecia, Bulgaria, Romania, e Portogallo; ai primi posti troviamo invece i Paesi Bassi, il Lussemburgo, la Svezia, la Finlandia e la Norvegia. La nuova tabella presenta tutti i dati elaborati da Eurostat in base alla survey 2016, circa le ragioni per cui una famiglia non si è dotata di un accesso Internet a casa, incluse quelle meno rilevanti. I dati vengono presentati per l’Italia, e per l’UE a 15 e a 28. Per dare un’idea dello spettro dei valori in gioco, senza perdere in leggibilità, viene inoltre riportata, per ogni domanda, la percentuale massima riscontrata rispettivamente per i quattro Paesi più “deboli”, in questo, dell’Italia, e per i cinque Paesi sopra citati che appaiono, in questo, i più forti della UE. Una differenza importante rispetto alla tabella del precedente intervento è che qui le percentuali sono calcolate sul totale delle famiglie di ciascun Paese e non sul numero di quelle che non dispongono di un accesso a Internet. Ciò consente di misurare la gravità del problema, ai fini del perseguimento degli obiettivi dell’Agenda Digitale Europea, e di confrontare paesi con diverso grado di penetrazione dell’accesso. La mancanza di capacità, citata come unico motivo dall’8,5% delle famiglie italiane, e anche insieme ad altri motivi dall’11,3% di esse, è il problema più grave, seguito dalla mancanza di interesse, citato da solo dal 4,0% delle famiglie, e insieme ad altri motivi dal 6,0%, e dal costo, 3,5% da soli, 5,2% con altri motivi.
Riteniamo utile capire più in dettaglio come siano composte le famiglie senza accesso e legare le risposte date sui motivi di questa scelta alle loro caratteristiche socio-economiche e demografiche. Abbiamo svolto questa analisi, solo per l’Italia, utilizzando i microdati della edizione 2014 della indagine ISTAT Aspetti della Vita Quotidiana. In questo caso utilizziamo le risposte di ogni individuo che si è dichiarato non utilizzatore di Internet, in nessun luogo, a prescindere dalla disponibilità di un accesso a casa. Ricordiamo che il campione totale comprende 44.984 individui e che, utilizzando i coefficienti di peso forniti dall’ISTAT, è possibile proiettare le osservazioni che rispettano determinati criteri di selezione nella stima del corrispondente numero di individui nella popolazione residente in Italia. Naturalmente, query complesse possono selezionare poche osservazioni nel campione e determinare errori campionari che rendono le stime inutilizzabili. In questa sede trascuriamo queste verifiche, con il caveat che numeri assoluti e percentuali stimate vanno considerate con prudenza, quando riguardano un sottoinsieme troppo ristretto della popolazione.
Nella seconda tabella presentiamo le risposte date alle quattro domande che sono risultate più rilevanti. Abbiamo aggregato tra loro le risposte a quesiti simili riguardanti il costo e l’interesse/utilità dell’uso. Inoltre, abbiamo escluso: da un lato, i ragazzi fino a quattordici anni, per i quali la risposta largamente prevalente era il divieto da parte dei genitori (circa un milione di persone stimate); dall’altro, gli anziani con almeno 75 anni, stimati in circa 6.270.000, non utenti al 95% che in circa il 47% dei casi rispondono di non sapere cosa sia Internet. Sulla diagonale della tabella è stimato il numero di individui che fornisce una sola risposta; nelle altre caselle è stimato il numero di chi fornisce le risposte indicate in riga e colonna. Per ragioni di spazio, non sono visualizzate le consistenze dei cluster di coloro che segnalano 3 di questi motivi principali, o tutti e 4.
Per mancanza di spazio presentiamo un’analisi delle risposte dagli individui che forniscono una delle 4 risposte principali, da sola o in combinazione con qualcun’altra delle stesse 4. Il numero delle osservazioni così selezionate è rappresentativo di una popolazione di 12,2 milioni di persone tra 15 e 74 anni, il 94% del totale dei non utenti rispondenti. I motivi del mancato utilizzo sono messi in relazione, separatamente, con l’età, il titolo di studio, la condizione e la posizione professionale.
In Tabella 3 è mostrata la relazione con le classi di età.
Passando al titolo di studio, nella Tabella 4 abbiamo considerato separatamente i soggetti in formazione, a tutti i livelli. Per essi vale il caveat sopra espresso circa il ridotto numero di casi osservati, tuttavia resta confermato che per i giovani la principale motivazione per il mancato utilizzo è economica. Anche nel caso dei laureati il numero assoluto stimato è ridotto, ma il loro comportamento appare non dissimile da quello dei diplomati.
Nella Tabella 5, relative all’occupazione, vengono definiti White Collar gli imprenditori, liberi professionisti, dirigenti, quadri e Impiegati (nell’attuale posto di lavoro o nell’ultima posizione ricoperta prima di andare in pensione); vengono definiti Blue Collar gli operai, i lavoratori autonomi e coadiuvanti, i soci di cooperativa, i lavoratori occasionali o a progetto. In questa ampia categoria ricadono quindi molte posizioni “precarie” non necessariamente assimilabili a quelle operaie o del lavoro autonomo.
Nella Tabella 6 si analizzano i non utenti Internet, nel loro complesso, in relazione al fatto che essi consumino o meno una serie di beni e servizi culturali, informativi e finanziari di base: vanno al cinema? Leggono libri e quotidiani? Usano Bancomat e carta di credito?
I dati presentati finora ci permettono di trarre alcune prime conclusioni sui segmenti di popolazione che potrebbero meglio rispondere ad azioni di policy e su quelli per i quali è più importante un intervento.
Ad esempio, possiamo disinteressarci degli oltre cinque milioni di soggetti che non usano Internet pur appartenendo a famiglie che dispongono di una connessione? Possiamo ritenere che l’utente Internet che fa parte di queste famiglie possa fare da tramite per l’accesso ai servizi necessari? A nostro avviso no, sia in quanto il mancato utilizzo individuale di Internet è una forte limitazione all’inserimento sociale e all’aging well, sia perché molti di questi soggetti (circa 3,9 milioni) sono ancora in età lavorativa e non utilizzare Internet ne preclude lo sviluppo delle competenze digitali. Inoltre, questi accessi sono destinati ad essere spenti man mano che i componenti più giovani lasciano le famiglie cui oggi appartengono. D’altra parte, dobbiamo ricordare che gli obiettivi dell’Agenda Digitale Europea non riguardano soltanto copertura e adozione, ma avrebbero anche richiesto, entro il 2015, l’uso regolare di Internet (almeno una volta a settimana) da parte di almeno il 75% della popolazione, e la contemporanea riduzione al 15% della popolazione di coloro che non hanno mai usato Internet. I dati ISTAT relativi al 2016 stimano ancora in 60,6% il primo valore, e in 34,9% il secondo.
Ad ogni buon conto, l’obiettivo dell’adozione delle connessioni non può essere sganciato da quello dell’utilizzo effettivo. Le due decisioni, infatti, interagiscono fortemente: da un lato, la disponibilità di un accesso a casa abilita l’uso dei soggetti che abbiano un potenziale interesse all’utilizzo; dall’altro, solo i nuclei familiari cui appartengono soggetti potenzialmente interessati sono spinti all’adozione. Affrontare il problema del mancato utilizzo significa dunque anche porre le premesse per risolvere quello delle scarse adozioni. I dati sulle motivazioni per il mancato utilizzo segnalano situazioni che necessitano di strumenti di policy diversi, rivolti a diversi segmenti della popolazione, ed hanno una diversa probabilità di soluzione.
Abbiamo visto che coloro che dichiarano di non sapere cosa sia Internet appartengono principalmente a segmenti della popolazione ad alta marginalità sociale: livelli di istruzione molto bassi, età elevata, scarsa partecipazione al mercato del lavoro. È presumibile che interventi rivolti a questo segmento abbiano una scarsa efficacia, anche se dall’indubbio valore sociale. Potrebbero essere sperimentati su scala limitata, in centri anziani, magari coinvolgendo come tutor giovani inattivi o studenti impegnati nell’alternanza scuola-lavoro.
I problemi economici appaiono invece più concretamente affrontabili, quando si presentano da soli, attraverso politiche di sostegno, quali i voucher. È probabile che, se mirati ai segmenti della popolazione più interessati a Internet (i giovani in formazione e disoccupati in primo luogo), questi interventi siano abbastanza efficaci e dal costo contenuto. La tabella mostra tuttavia che in queste categoria stimiamo ci siano circa 130.000 individui. Gran parte degli individui che citano questa motivazione (circa 1,5 milioni) ricadono invece in segmenti comunque caratterizzati da un interesse limitato verso Internet (istruzione medio-bassa, età medio-alta, inattivi). L’incentivazione economica di questi soggetti potrebbe essere comunque tentata, ma andrebbe accompagnata da altre misure di sostegno formativo e di controllo dell’efficacia dell’intervento. Il fatto che essi abbiano fornito questa risposta piuttosto che manifestato disinteresse dimostra comunque un’apertura al cambiamento su cui scommettere.
Considerazioni analoghe possono essere svolte per coloro che hanno dichiarato di non avere le skill necessarie ad utilizzare internet. Quanto facilmente è superabile questo handicap? Di nuovo, età elevata, basso livello di istruzione e inattività potrebbero limitare fortemente l’efficacia di azioni formative. Le imprese, invece, potrebbero essere incentivate a fornire formazione ai propri dipendenti. In molti Paesi imprese pubbliche, le poste in particolare, organizzano forme di supporto spot per la soluzione di problemi facili da risolvere, ma comunque in grado di scoraggiare una persona inesperta. Anche la nascita di piccole imprese giovanili che svolgano queste funzioni di sportello potrebbe essere incentivata dallo Stato.
Il vasto numero di coloro che si dichiarano disinteressati a Internet pone forse i problemi più complessi da affrontare. Mancano in questo caso le risorse culturali di base necessarie per apprezzare le potenzialità informative e di fruizione di contenuti che Internet offre. Ma a chi non è stimolato dalla cultura e dall’informazione, non ha l’età o lo spirito per essere attratto dalla dimensione ludica o social di Internet, non ha affari personali sufficientemente complessi da seguire, l’Italia offre poco per generare un interesse pratico alla fruizione di servizi. La carenza e la scarsa qualità dei servizi forniti su Internet dal settore pubblico è sicuramente una concausa di tale disinteresse. Non sarebbero però accettabili, in un Paese con tanti anziani e persone a basso livello di istruzione, le drastiche misure di switch-off dei canali tradizionali di accesso ai servizi. Risulterebbero più utili alcuni servizi di accompagnamento e supporto al progressivo abbandono dei canali tradizionali e di transizione a quelli basati su Internet.
Infine, in un Paese come l’Italia, in cui chi non usa Internet usa maggiormente la televisione tradizionale, le smart TV potrebbero aumentare l’interesse per Internet, sostenere la domanda di connessioni sostitutive di quelle satellitari e DTT, e diventare un device per l’accesso a Internet meno complesso rispetto a computer e smartphones.
Più in generale, occorre notare che i concetti di insufficiente interesse e costo eccessivo andrebbero considerati congiuntamente: la disponibilità a pagare è bassa quando i servizi di cui si fruisce sono valutati come poco attraenti. La domanda che quindi si pone è perché in una data situazione alcuni soggetti ritengano i servizi disponibili su Internet di maggior valore rispetto al costo da sostenere per accedervi, mentre altri svolgono la considerazione opposta. Anche in questo caso, un incentivo economico potrebbe quindi avere un effetto positivo, spingendo coloro che si dichiarano non interessati a sperimentare comunque l’uso della Rete e, attraverso l’esperienza aumentare il loro interesse.
Per esplorare questa linea di azione è opportuno un confronto approfondito tra utenti e non utenti, a partire dall’analisi dei modi in cui diversi segmenti della popolazione usano oggi Internet. In un prossimo intervento affronteremo questo tema.