Il Piano nazionale per Banda Ultralarga attualmente in consultazione online ha certamente il pregio della buona strutturazione: analisi approfondita e dettagliata della situazione italiana (anche grazie ai risultati del “rapporto Caio” di gennaio 2014), identificazione chiara degli obiettivi strategici e operativi, strategia di azione organica e basata su una valutazione delle risorse disponibili e delle priorità per il raggiungimento dell’obiettivo dichiarato, indicatori per valutare l’efficacia del piano.
Da questo punto di vista è certamente uno dei migliori piani governativi fin qui realizzati, che può fungere da riferimento metodologico anche per il futuro. È un piano, misurabile, che si propone di raggiungere gli obiettivi europei per il 2020 (copertura totale della popolazione con banda larga a 30 Mbps e accesso ai 100 Mbps da parte del 50% della popolazione) valutando la copertura all’85% a 100 Mbps come passo necessario per poter aspirare al raggiungimento dell’obiettivo di accesso.
In questo quadro di approccio, comunque positivo, credo possano essere utili alcune riflessioni su due versanti in particolari:
- della strategia operativa, soprattutto per la definizione dei criteri di definizione dei Cluster (ai quali sono associate le diverse strategie di azione);
- dell’approccio metodologico, soprattutto per gli aspetti interprogettuali sull’agenda digitale e di conseguente gestione dei rischi.
La definizione dei Cluster
La strategia si basa sulla ripartizione del territorio in Cluster, identificando per ciascuno una linea di intervento specifica:
- il Cluster A include le principali 15 città nere (dove è presente – o lo sarà – più di un operatore di rete), costituisce il 15% della popolazione nazionale (circa 9,4 milioni di persone). In questo Cluster il Piano prevede di intervenire “con l’utilizzo di strumenti finanziari per l’accesso al debito e/o mediante misure di defiscalizzazione degli investimenti”;
- il Cluster B è formato dalle aree in cui gli operatori hanno realizzato o realizzeranno reti con collegamenti ad almeno 30 Mbps, ma le condizioni di mercato non sono sufficienti a garantire ritorni accettabili a condizioni di solo mercato per investire in reti a 100 Mbps. Include 1.120 comuni, alcuni in aree nere e altri in aree grigie (dove è presente un solo operatore di rete e non vi sono piani per un secondo) per le reti a più di 30 Mbps, e costituisce il 45% della popolazione (circa 28,2 milioni di persone). In questo Cluster il Piano prevede, oltre agli interventi specifici per il Cluster A, “anche contributi a fondo perduto con eventuale partecipazione pubblica alla realizzazione delle opere”. Contributo però “limitato allo stretto necessario, data l’appetibilità di mercato di molte delle aree incluse”;
- il Cluster C è formato dalle aree marginali attualmente a fallimento di mercato, incluse aree rurali, per le quali è necessario un sostegno statale. Include circa 2.650 comuni e alcune aree rurali non coperte da reti a più di 30 Mbps e costituisce il 25% della popolazione (circa 15,7 milioni di persone). In questo Cluster il Piano prevede “non solo soluzioni per l’accesso al credito agevolato e incentivi fiscali, ma anche una parte di contributi a fondo perduto limitata, ma proporzionalmente maggiore rispetto a quella del cluster B”.
- il Cluster D è formato da aree “tipicamente a fallimento di mercato” per le quali solo l’intervento pubblico può garantire alla popolazione residente un servizio di connettività a più di 30 Mbps. Include i restanti 4.300 comuni circa, soprattutto al Sud, incluse alcune aree rurali e costituisce il 15% della popolazione (circa 9,4 milioni di persone). In questo cluster, soprattutto al Sud, il Piano prevede che “l’incentivo pubblico possa essere concesso in misura maggiore a fondo perduto, considerando le infrastrutture a banda ultralarga strategiche ai fini delle politiche di coesione per lo sviluppo dei territori particolarmente disagiati”, intervento in fase di attuazione in circa 300 Comuni.
Nonostante l’apprezzamento generale per l’approccio strutturato, sembrano necessari approfondimenti ulteriori e anche qualche modifica sostanziale:
- Cluster A– l’assunzione di base è che, grazie ad interventi di defiscalizzazione degli investimenti, gli operatori privati trovino conveniente realizzare la connettività a 100 Mbps in quelle aree. Che però sono molto disomogenee, basti pensare a diverse periferie delle grandi città, prime Roma e Milano, attualmente anche in digital divide. Difficile che in queste aree la domanda possa rendere conveniente l’investimento senza un mirato intervento pubblico. Tra l’altro nello stesso Piano si afferma che la strategia migliore per elevare la domanda è di stimolarla intervenendo con misure mirate “la più semplice è quella del voucher gestito tramite l’operatore che fornisce il servizio”, salvo precisare però che “Il relativo fabbisogno non è previsto in questo piano ma può essere coperto con l’intervento di varie entità, come le Camere di Commercio, ad esempio”. Disomogeneità interna alle aree di questi Cluster e necessità di operare in modo diverso sul fronte della domanda suggeriscono di definire diversamente i Cluster e di rivedere la strategia operativa associata. Senza modifiche, credo sia molto elevato il rischio che su una parte non trascurabile della popolazione di questo Cluster il piano possa essere inefficace;
- Cluster B, C e D – Il piano non sembra porre adeguata attenzione all’apporto che i piccoli operatori possono dare nei territori a maggior rischio di fallimento di mercato e come sia probabilmente decisivo coniugare le politiche pubbliche di infrastrutturazione con le azioni di supporto allo sviluppo dei piccoli operatori locali di rete e di servizi. Politiche efficaci su questo fronte sono invece una delle condizioni per il successo del piano nelle aree svantaggiate e per il mantenimento dei risultati nel tempo;
- Extra-Cluster – esplicitamente si dichiara che il piano non riguarda le cosiddette “case sparse”, per cui non sono previsti investimenti (o comunque non sono attualmente stimati e valorizzati). Si tratta di circa 1,8 milioni di unità abitative e di circa 2 milioni di popolazione residente. Non pochi. Forse un Piano con una valenza strategica così forte non può permetterselo.
Il Piano, l’Agenda Digitale e la gestione dei rischi
Le relazioni del Piano nazionale per la banda ultralarga con le altre iniziative dell’area dell’Agenda Digitale (ricordo che non esiste ancora un unico documento che raccolga l’intera strategia dell’Agenda Digitale italiana) sono ben evidenziate dall’analisi SWOT riportata nel Piano, dove punti di debolezza e di minaccia sono correlati strettamente alla debolezza della domanda di servizi online e al basso livello di cultura digitale della popolazione italiana.
È vero che questo piano ha correttamente come ambito di azione solo il tema delle infrastrutture e su questo deve focalizzarsi, ma è altrettanto evidente che il raggiungimento dell’obiettivo più ambizioso (50% della popolazione che nel 2020 accede a 100 Mbps) è direttamente correlato a un incremento notevole della “domanda consapevole” di servizi su Internet. Non è un obiettivo specifico di questo Piano, ma dell’intera strategia dell’Agenda Digitale. Non solo, ma in generale il fattore “domanda” è fondamentale per il successo del piano, che sulla sua valutazione ha basato la strategia dei Cluster.
Data la criticità di questo fattore, sarebbe opportuno pertanto identificare dei target intermedi sull’accesso reale alla banda larga e ultralarga, in modo da verificare che effettivamente le iniziative sul fronte Agenda Digitale stiano producendo i risultati auspicati, strutturando di conseguenza un processo di gestione dei rischi, utile per intraprendere adeguate azioni correttive e rendere efficace l’azione di monitoraggio prevista.
Tutto questo significa che è importante non tanto e non solo accertarsi che siano presenti iniziative adeguate e contemporanee sul fronte dell’e-government, dell’e-commerce e della cultura digitale, ma anche che queste siano sincronizzate con l’obiettivo 2020 sui 100Mbps. Ad esempio, è probabilmente necessario che almeno il 60% della popolazione nel 2020 debba aver raggiunto il livello sufficiente di competenze digitali secondo lo schema UE (oggi l’Italia è al 40% circa) perché il 50% sia utente di banda ultralarga. La stretta e coordinata correlazione delle iniziative, correlazione strategica e operativa, è condizione stessa del successo di un piano così ambizioso.