Acquisizioni

Il consolidamento nelle tlc farà bene alla banda ultra larga

Quattro operatori sono troppi. Il piano da 6 miliardi di euro pubblici faticherà a realizzarsi se l’Italia continuerà a soffrire di nanismo imprenditoriale. Fusioni e acquisizioni servono a sostenere gli investimenti privati nelle nuove reti

Pubblicato il 23 Mar 2015

Rossella Lehnus

Director at Deloitte Financial Advisory

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La nuova strategia governativa per la banda ultralarga inietterà nel mercato delle telecomunicazioni 8/10 miliardi di euro (circa 6 miliardi di euro pubblici) che cambieranno il panorama delle infrastrutture di rete nazionali, oggi considerate fra le più lente d’Europa. Ma in quale panorama di mercato si inserisce questo importante intervento di politica industriale?


Credo che ogni qualvolta si tenti un’operazione di politica industriale, qual è quella del piano banda ultralarga, sia necessario anche ragionare su quale sia lo scenario migliore per permettere lo sviluppo del Paese e il suo efficientamento. L’Italia, purtroppo, soffre di nanismo imprenditoriale e ciò si riflette anche nel settore delle telecomunicazioni: se non si sviluppa la scala delle nostre telco, consolidando l’industry, infatti, anche le possibilità di crescere e competere da parte dell’Italia si ridurrà ulteriormente. Per avere ambiziosi traguardi di crescita si devono avere aziende grandi e capaci di investire perché la competizione è europea, è globale e non solo italiana.

A maggior ragione quando ci sono infrastrutture di mezzo e una rete complessa, come quella delle telecomunicazioni, che vede anno dopo anno erodere i propri margini. La lotta sui prezzi, permessa dal fatto che le reti sono diventate sempre più una commodity e non un tratto distintivo, rende questo settore sempre meno appetibile in Italia, che ha una dimensione economica insufficiente per concorrere a livello mondiale.
Questo trend si scontra, talvolta in modo letale, con i salti tecnologici che impongono nuovi investimenti infrastrutturali. È il caso, per esempio, del 4G: una frontiera irrinunciabile ma che non tutti gli operatori nazionali possono permettersi come vorrebbero.

È evidente che quattro operatori sono troppi e frenano, invece di promuovere, la corsa agli investimenti sulle reti. Se si consolidasse il numero delle aziende e delle reti nel settore scemerebbe la guerra dei prezzi, si abbasserebbero i costi e immediatamente ne guadagnerebbe la qualità del servizio proposto per l’immediato incremento degli investimenti sulla Rete. Un ragionamento che potrebbe sembrare contro i consumatori, invece è esattamente il contrario, poiché oggi i prezzi della telefonia mobile sono già bassi e le strategie aziendali per la caccia ai clienti si basa sulla qualità della banda offerta (modello Verizon negli USA).
Chi non sarà all’altezza di questa sfida, non avendo la liquidità necessaria per affrontare gli ingenti investimenti infrastrutturali, sarà inevitabilmente messo all’angolo in modo irreversibile. Per gli azionisti è meglio vendersi bene subito che venire cannibalizzati nel breve periodo a prezzi di sconto… aspettiamoci dunque a breve una fusione tra qualche player del settore. Non avendo futuro quattro reti ridondanti di telefonia mobile, il consolidamento è la tendenza inevitabile, magari percorrendo prima, come passaggio intermedio, la costruzione di spin off.

Si tratta di un percorso che non vale solo per le reti TLC, ma anche e forse ancor di più per quelle radiotelevisive, la cui opportunità di consolidamento ha spinto Ei Towers a lanciare l’OPA su Raiway. In questo settore le infrastrutture di rete sono ancor di più una commodity e non un tratto distintivo: reti povere di sviluppo e di tecnologia che devono essere ottimizzate in fretta in un mercato con ricavi in netta decrescita. Anche in questo settore, infatti, la loro duplicazione sul territorio ormai è solo una diseconomia e non una garanzia di concorrenza che, invece, si ha attraverso un accesso regolamentato.

Questo ragionamento è ancor più valido, come scritto in un precedente articolo, nelle reti fisse di nuova generazione, per le quali nessun business plan ha mai dimostrato di poter reggere una concorrenza infrastrutturale. Come sanno bene gli operatori di settore, infatti, la concorrenza infrastrutturale non permette ritorni sull’investimento credibili nel tempo. D’altronde questo era il concetto centrale dello stesso recente Rapporto Caio: se il paese vuole una rete all’avanguardia, che garantisca le sue possibilità di sviluppo, deve concentrare gli investimenti per la fibra su una sola infrastruttura.

*Rossella Lehnus, Infratel Italia, società in house del Ministero dello sviluppo economico, le opinioni qui espresse sono a titolo personale.

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