E’ atteso in questi giorni dal Consiglio di Stato il parere definitivo sulla riforma del CAD, dopo che il 23 marzo scorso era stato emanato un parere interlocutorio (ampiamente divulgato e commentato dalla stampa specializzata) per consentire al Dipartimento per la Funzione Pubblica di inviare le sue osservazioni, da qualche giorno puntualmente recapitate.
Con l’arrivo del parere definitivo il decreto provvisorio di riforma del CAD arriverà alle Commissioni parlamentari competenti, che – anche – saranno chiamate a formulare i prescritti pareri, all’esito dei quali sarà redatto il testo definitivo.
E’ presumibile che i tempi tecnici per le descritte procedure sposteranno l’approvazione definitiva del CAD all’inizio del secondo semestre 2016.
Il tempo residuo a disposizione potrà e dovrà essere utilizzato per migliorare il testo approvato in prima lettura risolvendo i numerosi dubbi sollevati dagli esperti e cogliendo gli spunti migliorativi che nel frattempo siano pervenuti dai pareri e dagli osservatori.
E’ il momento giusto anche per chiedersi se quando sarà disponibile ed approvato il nuovo CAD esso sarà sufficiente per avviare la trasformazione digitale della PA, essendo pacifico che non basta il CAD per portarla a compimento in quanto occorre che esso sia recepito.
Infatti, i processi che il nuovo CAD riforma riguardano in grande parte le modalità di comunicazione e gestione documentale della PA e i relativi procedimenti.
Il testo normativo in questione non interviene cioè necessariamente a livello sistematico utilizzando a tutto tondo il digitale come leva per accelerare e ripensare i procedimenti nel loro complesso. In particolare, non vi sono misure per accelerare i termini dei procedimenti, che rimangono in vigore tal quali, come pensati per esigenze legate alla movimentazione e comunicazione cartacea.
Sarà dunque in molti casi possibile avviare molto rapidamente procedimenti lenti ed avere tempestiva comunicazione digitale del fatto che il procedimento ancora continua e durerà a lungo.
Come ho già avuto modo di dire in precedenti interventi su queste pagine (digitali) osservare il processo telematico ci consente di renderci conto, in un ambiente a scala ridotta, di fenomeni che si potranno produrre a più larga scala con la nuova riforma digitale della PA.
Nel processo telematico l’avvocato ora – superate le difficoltà di adattamento ad una logica di funzionamento pensata per informatici puri e oggettivamente non molto adatta ai giuristi meno tecnologici – deposita in maniera veloce. Tuttavia il deposito prevede comunque i medesimi tempi processuali, per cui il giudice e la cancelleria hanno diversi giorni per fissare udienza (in molti casi essa viene fissata l’ultimo giorno, anche in grandi Tribunali), a seguito delle udienze vengono concessi ampi termini di rinvio, funzionali ai depositi cartacei (che a volte vengono anche espressamente richiesti) e la causa viene decisa in tempi non diversi da quanto avviene con il deposito cartaceo.
Questo per dire che la riforma della PA digitale passa per la sua trasformazione e riorganizzazione per rispondere alla digitalizzazione in tempi che prevedono che la comunicazione avvenga mediante accessi quasi istantanei.
La disponibilità di tecnologie che consentono all’Amministrazione di reperire il dato al proprio interno (a condizione che le diverse basi dati siano interoperabili) senza dover fare complesse attività di ricerca e, soprattutto, senza dover chiedere al cittadino di (ri)portare all’Amministrazione una informazione già nota, solo perché questa si trova presso un diverso ufficio, impone di adottare le suddette tecnologie e di adeguare i termini consentiti ed imposti dalla norma affinché tengano conto che le suddette tecnologie sono utilizzate.
In mancanza, l’Amministrazione potrebbe non trovare giustificato il proprio aggiornamento tecnologico, poiché essa ha sempre la possibilità di rispondere in tempi compatibili con il procedimento cartaceo.
Esempi esteri, anche europei, ci raccontano di un’amministrazione ormai basata su infrastrutture e sistemi che rendono possibile l’istantaneo reperimento nei vari uffici dell’Amministrazione delle informazioni necessarie non solo per rispondere ad una istanza del cittadino ma anche per comprendere che il cittadino ha diritto ad una agevolazione e automaticamente concederla (un sistema simile è in uso in Belgio, nelle Fiandre) senza che debba venire nemmeno richiesta, eliminando di conseguenza termini per produrre documentazione, termini per ottenerla, termini per rispondere, ecc.
Anche in Italia alcuni esempi incoraggianti ci raccontano di una PA digitale non solo riformata ma anche ridisegnata, in cui i processi – ad esempio quelli della sanità della provincia di Trento – senza nemmeno attendere il nuovo CAD, vengono ripensati per cogliere tutta la velocità e capacità di convogliare dati in maniera bidirezionale data dal digitale: il medico di famiglia, attraverso identità digitale e fascicolo sanitario elettronico è messo in grado – tramite un “app” della provincia autonoma, di monitorare dati relativi alle proprie patologie e farli confluire immediatamente al proprio medico di base, mettendoli in rapporto con i contenuti del FSE: si evitano così prescrizioni di specifici accertamenti e la necessità di portare l’amministrazione sanitaria a conoscenza degli stessi.
In sostanza, per rispondere al quesito iniziale, attuare il CAD non basta: occorre ripensare da subito i processi della Pubblica Amministrazione per cogliere le opportunità delle tecnologie digitali.
Basti pensare alle possibilità che si aprono con servizi che riescono a identificare il cittadino senza che si rechi allo sportello e con norme che non richiedono che il cittadino produca i documenti, poiché l’Amministrazione può procurarseli internamente: gli attuali procedimenti non sono formulati in questa logica.
La buona notizia è che per questa attività il nuovo CAD è utile ma non indispensabile: molto è già possibile con attività di ripensamento/pianificazione in vista dell’arrivo delle nuove disposizioni.