Serie: MEMORY SQUAD
Siamo nel XXIV secolo. Il dottor Annthok Mabiis, un genio assoluto della gestione dei big data e autorità di riferimento per tutta la galassia, vuole salvare ogni suo abitante dalla perdita totale del proprio futuro, ora che ogni singola azione ed evento è previsto con assoluta certezza. Decide e organizza il distacco delle “memorie connesse”, arretrando il cervello del Pianeta di almeno un secolo. Una squadra speciale, la Memory Squad 11, dell’ARMA (Agenzia Recupero Memoria Archeo) è incaricata di recuperare ogni possibile traccia di tali memorie e del passato digitale della galassia, non è chiaro se per ripristinare tutte le memorie staccate o, al contrario, eliminare lo poche rimaste attive.
Il pastore
Le memorie dei cyborg di famiglia. Quelle della pluricrazia. Quelle degli avatar genetici. Quelle della regolazione termica-intelligente del Pianeta. Quelle della trasparenza quantica. Quelle della longevità. E soprattutto quelle dei Pensieri Altrui.
Queste ultime memorie avevano annullato la millenaria inesauribile spinta, di ogni umano, a sapere tutto dell’altro, ogni suo pensiero, idea, ragionamento, sentimento, ambizione, pulsione, decisione, progetto, creatività.
Le Pensieri-Altrui-Memorie, le PALME di ogni abitante del Pianeta, umanoidi compresi, trasferivano a tutti i pensieri di tutti. Avevano così messo in soffitta spie, agenti segreti, intelligence, microfoni-attraversa-muri, satelliti a raggi infrarossi e, soprattutto, le deprecatissime centrali per il controllo e l’acquisizione di ogni conversazione, lettera, formula, invenzione, documento. Ora tutti sapevano tutto di tutti. Era la trasparenza assoluta.
I tempi populisti, a quell’epoca perfino squassanti, della rivelazione delle conversazioni fra il Presidente del Pianeta e le flotte della Galassia erano definitivamente archiviati. Gli anni ridicoli dell’inizio del Terzo millennio, con i wikileaks, gli Snowden, le Merkel, gli Obama, le guerre informatiche, erano miseramente entrati nel dimenticatoio della Storia.
Ma poi, il Grande Ictus Mnemonico, voluto ed attuato dal dottor Annthok Mabiis, quel 3 marzo del 2333, alle 3:33 del mattino, Central Beijing Time, aveva spazzato via ogni memoria, d’ogni dimensione, uso e luogo. Nulla più funzionava, perché ogni cosa, ogni essere vivente, dipendeva da una propria sinapsi mnemonica planetaria, ora recisa.
Già poche ore dopo il mostruoso Gimne, era stata costituita, con Decreto Istantaneo della Galassia, l’Agenzia Recupero Memoria Archeo. L’ARMA creò immediatamente squadre di pronto intervento là dove le lacune mnemoniche avevano creato emergenze planetarie. Formò gruppi d’investigazione per ricostruire i percorsi mnemonici degli apparati scientifici, degli enti pluricratici, delle aziende monopoliste (la concorrenza era un ricordo del lontano passato neo-neo-capitalista). Addestrò task force per il recupero di apparati obsoleti, ma ancora utilizzabili o ricostruibili, per supplire a funzioni mnemoniche fondamentali sia locali che regionali, altrimenti irrimediabilmente mancanti.
La squadra dell’ARMA capeggiata da Akila Khaspros si mosse di primissimo mattino. Erano mesi che il pastore faceva la spola quotidiana fra la radura in cima all’ampia collina e il recinto più in basso, all’ombra di ulivi secolari.
“Siamo proprio sicuri che il traffico di memorie antiche è ideato e diretto dalla casupola, quella lì, quella del recinto?” domandò l’agente navigatore Afro Allaa appena il furgoncino si arrestò dietro una antica centrale di server in rovina.
“Domanda inutile, non siamo sicuri di nulla…” sibilò Khaspros.
“Ma lì forse è custodito il segreto di come si riesce a comunicare, a trasmettere ordini a tutto il Pianeta, senza alcun strumento di ultima generazione… Anzi, senza neppure un vecchio telefono, un aggeggio difficile da trovare perfino in un Museo Omnireale”, aggiunse con un filo di voce Stefano Magli, l’agente di Memoria Antica della squadra.
Il buio era ancora totale. Rari belati rivelavano la presenza del gregge a poche centinaia di metri più a monte. Un vento leggero, intinto di pelo fradicio, ricordava che aveva piovuto fino a qualche ora prima. Controvento, dunque, la Memory Squad si mosse, quasi a ralenti, verso il recinto. Il silenzio faceva la guardia alla casetta, obiettivo della squadra. Un silenzio intimidatorio. I rami bassi strusciavano sulle tute.
“Fai troppo rumore” fu il messaggio trasmesso da Khaspros stringendo tre volte il polso sinistro del suo secondo in comando.
Si fermò. Si fermarono tutti. Un fruscio e un lieve starnazzare da un cespuglio. Forse erano a poche decine di metri dal capanno. Un cigolio leggero. Quasi un respiro da fumatore. Poi un silenzioso scroscio per una ventina di secondi. Quindi il frettìo di una chiusura lampo. Di nuovo il cigolio. Nessun rumore di serratura. Non bisognava neppure sfondare la porta. Ormai erano di fronte all’uscio. Di paglia. Le pareti di calce lo incorniciavano nella primissima tinteggiatura della prossima alba.
Shaiira tenne aperta la porta mentre gli altri irruppero con le torce accese. Il vecchio pastore era accovacciato su un alto pagliericcio.
Aprì gli occhi, un poco, “Chi siete?”
Il tavolino da spiaggia, lì di fianco, era coperto di foglietti, strappati da un blocchetto a quadretti. Molti erano scritti con grafia minuta e leggibile.
“Pizzini sono!”, disse il pastore.
(2 – continua)