Che uno dei principali ostacoli dislocati lungo il cammino dell’innovazione della pubblica amministrazione sia rappresentato da un forse eccessivamente barocco “codice degli appalti”, concepito un decennio orsono e (forse giustamente) focalizzato sulle regole attraverso le quali gli enti della PA devono procedere per approvvigionarsi di qualche tonnellata di calcestruzzo o di pomodori pelati da distribuire a mensa, non è un mistero. Lo dicono tutti, da qualche anno.
La ricerca di un percorso evolutivo per il public procurement finalizzato ad acquistare innovazione è un’attività nei confronti della quale si sta catalizzando l’interesse di molti e qualificati portatori di competenze specifiche, e tutti non possiamo che augurarci che si possa arrivare a una soluzione capace di tenere insieme esigenze di semplificazione/velocizzazione dei processi di procurement e trasparenza.
Si va dall’incentivazione di strumenti già previsti dalla norma attuale, quali ad esempio il dialogo competitivo, la finanza di progetto e l’affidamento di servizi in concessione, all’introduzione di formule ancora più avanzate quali il “performance based contracting”.
Consip, insieme alle centrali regionali di acquisto, si troverà sempre più nella condizione di dover governare e gestire l’acquisto di innovazione: lo dovranno fare per il ruolo che il legislatore sta loro affidando (salvo imprevisti e improbabili ripensamenti) con la Legge di stabilità 2016, laddove si rende sempre più cogente il ricorso a queste centrali per qualsiasi acquisto di beni e servizi afferenti al settore dell’information technology, ma anche – più in generale – per quanto riguarda beni e servizi sanitari.
Questa è la grande sfida cui sono chiamati Consip e le centrali regionali di acquisto: parallelamente ai loro “affari correnti” (la gestione degli acquisti secondo la normativa vigente) è fondamentale che vengano dedicati tempo e risorse all’analisi di percorsi evolutivi, supportando il legislatore in un lavoro di scrittura di regole che molto difficilmente possono essere le stesse che si applicano quando si comprano penne biro o decespugliatori.
Qualche giorno fa, assistendo all’Healthcare Forum organizzato da 24Ore Sanità, ho avuto modo di apprezzare l’intervento del nuovo AD di Consip, Luigi Marroni, il quale ha utilizzato un’espressione piuttosto efficace per definire questa inevitabile “nuova mission”: “Consip deve arrivare a comprare anche le cose che non esistono”.
E non era affatto una battuta.
Perché la parola “innovazione”, sempre che non vogliamo riferirci al semplice acquisto di qualche PC o di un software gestionale, si porta necessariamente dietro quantità a volte considerevoli di spazio aperto a risposte inaspettate. La vera innovazione è quando una stazione appaltante “mette a gara” un suo problema aspettandosi di ricevere soluzioni, e non già lo scrivere un capitolato presupponendo di conoscere a priori la soluzione al problema. Soluzione che, magari, non esiste ancora.
Tutto questo si chiama procurement precompetitivo, nella stragrande maggioranza dei casi.
Ma significa anche riuscire ad aprire e mantenere costantemente in funzione canali di confronto fra i grandi buyers, i centri di ricerca e le startup, abbattendo le barriere all’ingresso di un mercato (quello della PA) che per una serie innumerevoli di ragioni agevola il mantenimento degli status quo e delle rendite di posizione detenute da club più o meno esclusivi di fornitori abituali.
Fa quindi piacere assistere a una sostanziale revisione del ruolo di Consip, la quale deve necessariamente incrementare le sue capacità di immaginare scenari e diventare proattiva rispetto a una PA che ancora fatica a comprendere la vetustà dei suoi processi di approvvigionamento allorquando si parla di innovazione.
Ci si augura che anche la Corte dei Conti e l’intera filiera della giustizia amministrativa (dai TAR al Consiglio di Stato) riescano a raccogliere questa sfida fornendo contributi a un dibattito che non può che essere attivato a livello politico.