Un quesito assilla la Commissione europea in questo periodo: cambiare il campo di applicazione del servizio universale a livello UE. La Commissione sta formulando proprio in questi mesi una valutazione socioeconomica a valere sui dati che stanno raccogliendo le Autorità nazionali di regolamentazione.
L’art. 53 del Codice delle comunicazioni elettroniche (CCE), in recepimento di normativa comunitaria, stabilisce che sul territorio nazionale tutti gli utenti, a prescindere dalla loro ubicazione geografica, debbano poter fruire di determinati servizi di comunicazioni elettroniche ad un livello qualitativo prestabilito. Una chiara misura di riequilibrio socioeconomico a beneficio delle aree a fallimento di mercato – quelle aree bianche di base, come le definirebbero gli Orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato.
Secondo gli artt. 54, 55, 56 57 e 59 del codice fanno parte del servizio universale il servizio di telefonia fissa che consenta di effettuare e ricevere chiamate, comunicare via fax, trasmettere dati via Internet, con un accesso che sia efficace, aprendo così un ampio dibattito sul tema che ha portato alla consultazione avviata ora dalla Commissione europea.
Si tratta di quel servizio che permette per esempio a tutti di accedere gratuitamente ai servizi d’emergenza o la fornitura di opzioni speciali per gli utenti disabili o con particolari esigenze sociali, eccetera eccetera, ma è sufficiente così? Una domanda che AGCom si è fatta molte volte e a cui ha dato risposta con diverse delibere che ne hanno modificato i contenuti, le finalità, il costo netto e il relativo finanziamento, nonché gli obblighi di qualità.
La nuova veste del servizio universale sarebbe, ovviamente, molto più vasta della precedente e ciò apre a seri dubbi sulla possibilità che questo distorca, invece di favorire la concorrenza, consolidando nel tempo vantaggi determinanti. Occorre quindi calcolare i benefici diretti e indiretti che questo andrebbe a creare in un’Europa che viaggia a velocità decisamente diverse. Un’Europa che, grazie sia al rapido sviluppo del mercato di settore sia agli obiettivi della Strategia di Lisbona prima e dell’Agenda digitale poi, ha definito delle politiche alternative al servizio universale che stanno portando il Continente alla copertura del 100 per cento della popolazione ad almeno 2 Mbps e, ora, sempre più vicino ai 30 Mbps per tutti.
Obiettivi infrastrutturali molto ambiziosi che, solo in Italia hanno un costo pubblico enorme, ma che potremmo definire una tantum, a valere su risorse comunitarie (fondi strutturali per lo sviluppo regionale e agricoli per lo sviluppo rurale), nazionali e regionali. In altre parole, il costo del Piano Nazionale Banda Larga del Ministero dello sviluppo economico, attuato da Infratel Italia, che sta permettendo di raggiungere 8,5 milioni di italiani esclusi dal servizio a banda larga di base è di 1,1 miliardi di euro, tutti già stanziati. Se però facciamo riferimento all’obiettivo più ambizioso di coprire l’intera popolazione italiana con un servizio a 30 Mbps, Infratel Italia ha stimato un costo pubblico molto più alto. Il Piano Strategico Banda Ultralarga, già autorizzato nel 2012 dalla Commissione Europea, infatti, ha un fabbisogno di 2.8 miliardi di euro.
Piani tecnologicamente neutrali che, dunque, contemplano tutte le tecnologie abilitanti i servizi a banda larga: dalla fibra all’LTE e soprattutto aperti a tutti gli operatori di rete con le medesime condizioni al fine di massimizzarne la concorrenza.
La valutazione dell’impatto socio- economico e dei costi della fornitura della qualità del servizio universale a banda larga è la base, quindi, dello studio della Commissione, volto a determinare attraverso un’attenta analisi SWOT:
– la validità dei correnti obblighi di servizio universale in relazione alle crescenti esigenze di banda, considerate ormai un diritto della cittadinanza
– Le modalità con cui il mercato possa supplire a garantire i medesimi servizi alle medesime qualità
– Quali siano le tariffe da applicare in un contesto di servizio universale
– La fattibilità tecnica di circoscrivere gli obblighi di servizio universale a determinati luoghi di interesse pubblico (vedi scuole, ospedali e centri per la salute in generale, ecc.). Tali luoghi strategici sono considerati prioritari anche nel Piano strategico banda ultralarga, infatti l’azione di Infratel Italia mira a incentivare connessioni ultraveloci, oltre i 100 mbps proprio nelle aree strategiche della PA, nelle imprese e negli snodi logistici.
È chiaro che la nuova concezione di servizio universale potrebbe essere decisamente diversa da quella tradizionale, ora in vigore, che nel caso nazionale è attuata da Telecom Italia. Infatti, già si ipotizza che potrebbe non essere più a carico della spesa pubblica e degli operatori di settore, ma anche direttamente dei consumatori – sebbene non siano ancora chiare le modalità. L’Italia rispose già a una consultazione europea di qualche anno fa sul tema, sostenendo e applicando una posizione contraria alla vecchia logica del servizio universale per adempiere ai nuovi obiettivi infrastrutturali. Ora, il modello italiano dei Piani nazionali a sussidio degli investimenti privati è considerato, dall’Europa stessa, un’alternativa più efficace al servizio universale. E meglio apre alla concorrenza. Dobbiamo però perseguire coerentemente la posizione italiana affinché si affermi come modello continentale.