Legge di Stabilità

Industria 4.0, come sfruttare gli incentivi fiscali all’innovazione: i consigli degli economisti

Il piano industria 4.0 inserito in Legge di Stabilità prevede incentivi fiscali per gli investimenti in macchinari, innovazione, ricerca e sviluppo, e stimoli all’ingresso nel capitale di startup e PMI. Vediamo che cosa possono fare gli imprenditori, i pro e i contro delle opzioni. Firpo (Mise): “Il Governo crea un ambiente di business favorevole, ora la palla all’imprenditore”

Pubblicato il 22 Nov 2016

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Puntare sugli incentivi agli investimenti per rivedere l’intera piattaforma digitale dell’azienda. Entrare nel capitale di altre imprese con piccoli investimenti, oppure scegliendo imprese ad alto potenziale innovativo non necessariamente in fase di start up. Declinare l’open innovation collaborando con centri di ricerca ed enti formativi, e solo in un secondo tempo pensare all’eventuale investimento in startup.

Sono alcuni dei consigli che gli economisti- interpellati dalla nostra testata- forniscono agli imprenditori su come utilizzare al meglio l’opportunità offerta dagli incentivi all’innovazione previsti dalle misure di Industria 4.0 inserite in Legge di Stabilità. Che sono di diverso tipo: da una parte, stimoli agli investimenti in tecnologie e macchinari (i due ammortamenti, il credito d’imposta ricerca e sviluppo, finanziamenti agevolati acquisto macchinari); dall’altra, potenziamento dei benefici fiscali per gli investimenti nel capitale di imprese innovative. Quale delle due ipotesi scegliere? Carlo Alberto Carnevale Maffè, economista della Bocconi, analizza entrambe le possibilità. «Usare il primo tipo di incentivi per rivedere integralmente la piattaforma produttiva. Quindi, non per acquistare una macchina o un software, ma per ripensare i processi produttivi. Un’occasione così, con tassi bassi e supermmortamento, non ricapita facilmente» quindi le imprese dovrebbero approfittarne per «estendere al massimo l’investimento, prendendo non un complemento, ma una vera e propria piattaforma». E’ conveniente anche puntare sul secondo punto, che offre la prossibilità di «diversificare in open innovation, usando i benefici del fisco per prendere piccole quote anche minoritarie in start up. Con pochi soldi detassati, si acquisisce un’opzione su quella che magari diventa una cosa innovativa. E’ un po’ quello che facevano i padroni una volta, ti davano il tornio per metterti in proprio. Quel tornio prestato a un operaio di 50 anni fa è l’investimento in una startup oggi».


Sul fronte delle misure per incentivare il capitale, però, il docente si dichiara d’accordo con il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia: mancano ancora misure di finanza per l’innovazione. «Sto lavorando proprio perché a industria 4.0 corrisponda anche finanza 4.0», sulla base del concetto di coordinare industria 4.0 con processi di trasparenza finanziaria: «compro macchinari, e metto tutti i dati a disposizione della banca, che è informata in modo sistematico sulla situazione dell’azienda, e quindi mi concede finanziamenti a migliori condizioni. Allo stato conviene incentivare maggiormente chi accetta la trasparenza finanziaria, e meno quelli che non la accettano. Per esempio: se accetti la trasparenza hai il superammortamento, se no solo l’ammortamento normale». Quindi, aliquote di ammortamento più alte disponibili solo a chi accetta la trasparenza. Il docente ribadisce anche un’altra proposta: invertire l’onere della prova fiscale. In questo modo, chi si impegna sulla trasparenza ha tassi più convenienti, e lo stato si impegna a non fare accertamenti induttivi. «Secondo me – insiste -, basta invertire l’onere della prova, che gli imprenditori saltano a bordo come delle cavallette. L’impresa, più che il vantaggio fiscale, vuole non essere tartassata dal fisco». E c’è anche il vantaggio, per lo Stato, di spendere meno. Fra l’altro, se gli incentivi fiscali sono temporanei, questo tipo di beneficio è strutturale.

Mauro Lombardi, docente di Economia dell’Innovazione dell’Università di Firenze, è più critico: innanzitutto, gli incentivi fiscali, in un tessuto industriale composto da molte PMI, riusciranno difficilmente a stimolare investimenti in ricerca e sviluppo. «Solo imprese strutturate possono fare cose di questo tipo. Siamo in recessione da anni, le prospettive sono ancora di estrema incertezza, come si può pensare che con un impegno pubblico di questo tipo si metta in moto un ammontare di qualche decina di mld in pochi anni?». In realtà, Lombardi, che su Industria 4.0 sta scrivendo un libro che analizza anche le scelte fatte da altri paesi (Germania, Stati Uniti, Inghilterra, Francia), è in dissaccordo con la scelta di fondo fatta dal Governo sul fronte degli incentivi all’innovazione, spiegando che l’approccio orizzontale scelto dall’esecutivo «è debole e contraddittorio. Se Industria 4.0 è una trasformazione epocale, e io ne sono convinto, se è trasformazione profonda, in cui occorre riprogettare prodotti e processi, occorre uno sforzo di sistema, che richiede partnership pubblico-privato, orientamenti e risorse. Lo stanno facendo la Germania, gli Stati Uniti».

La strategia del Governo, sottolineata da Stefano Firpo ad agendadigitale.eu, direttore generale per la Politica industriale e la competitività del ministero dello Sviluppo Economico, è stata quella di mettere al centro gli investimenti dell’industria, «dopo anni in cui l’industria in Italia ha investito poco, e soprattutto male» e offrire incentivi agli investimenti «ma non in modo dirigista, lasciando piuttosto alle imprese la scelta su come e dove investire, e superando la vecchia logica dei bandi». Dunque, una scelta di politica economica «orizzontale, basta sui fattori di competitività e in particolare sull’innovazione». L’obiettivo del governo: stimolare le imprese «non solo ad investire di più, ma in qualità», aumentando «gli investimenti fissi nel manifatturiero di almeno dieci miliardi».

Su questo Lombardi è scettico: «sarebbe stata necessaria una maggiore chiarezza sul moltiplicatore». Qui il discorso diventa tecnico, comunque in base ai calcoli dell’economista, il piano italiano (considerando risorse pubbliche e impatto previsto) comporta un moltiplicatore di 1,8. E’ lo stesso calcolo previsto negli Stati Uniti (a fronte di un dollaro, 1,8 dollari di reddito per le industrie). «Ma come si motiva? Qualche argomento a sostegno sarebbe stato necessario. Se penso al contesto attuale, negli Usa hanno bassa domanda di consumi e modesto andamento degli investimenti. Mi pare strano che da noi, che siamo un’economia più piccola, esposta alle intemperie, le imprese scatenino 10 miliardi di euro, più la finanza a supporto di Industria 4.0». Comunque, insiste, «ci vorrebbero degli studi a supporto, altrimenti diventa un’ipotesi da sottoporre a verifica, oppure bisogna crederci per atto di fede».

Sul fronte della scelta di fondo, ovvero il cosiddetto approccio orizzontale, a più riprese sottolineato dallo stesso ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, Firpo fornisce una serie di argomentazioni. L’esecutivo ha preso le mosse da una considerazione: in Italia «c’è un deficit di investimenti molto forte, sono stati persi interi settori industriali perché le imprese hanno smesso di investire in innovazione». E ha deciso di proporre un nuovo paradigma, «basato su un insieme molto ampio di nuove tecnologie, in cui il vero elemento forte è saperle usare in modo intelligente e conforme ai livelli di business». In pratica il piano punta sull’innovazione e su un amplissimo spettro di tecnologie digitali, e lascia la mano libera agli imprenditori che possono decidere dove e come investire. Sono elementi sufficienti a caratterizzare il piano Industria 4.0 come un piano industriale? Il governo ne è convinto, e non solo per gli elementi appena descritti, ma anche per le dimensioni (20 miliardi di euro), e per la scelta di utilizzare risorse pubbliche solo dove ci sono investimenti reali. Gli incentivi fiscali non rischiano di essere di corto respiro? Qui, da una parte la riposta è già nelle considerazioni sopra esposte relative all’esigenza di stimolare gli investimenti dopo un periodo di grave crisi da questo punto di vista, dall’altra, sottolinea Firpo, ci sono misure, come il credito d’imposta ricerca e sviluppo, che puntano al 2020. E comunque ci sono strumenti con un respiro molto importante, e altri che promuovono «modelli di open innovation, come la collaborazione fra imprese e startup o PMI innovative».

Poi, la scelta su come utilizzare gli incentivi, spetta agli imprenditori. Il bouquet di misure è molto ampio, si va dagli incentivi alla patrimonializzazione dell’impresa, a quelli sugli investimenti, sulla ricerca e sviluppo,» il Governo dunque crea un ambiente di business favorevole, «però ora la palla all’imprenditore».

Lombardi insiste sulla sua impostazione, che «non significa avere un comportamento dirigista, ma dare un’impostazione strategica, che invece manca». Il docente continua anche a criticare anche la mancanza di un piano vero e proprio. La National Accademy of Science and Engineering tedesca ha prodotto tre paper da centinaia di pagine, e una biblioteca digitale da cui si possono scaricare tutti i documenti per ogni punto del piano. In Italia, abbiamo solo le slide e l’audizione del ministero Calenda alla Camera. «Va bene che bisogna produrre meno carta» scherza, per poi insistere sul concetto proponendo paragoni internazionali. Uno studio dell’associazione di ingegneria meccanica tedesca indica che in Germania solo il 25% delle imprese sono già nel mondo digitale. «In Italia – prosegue – temo che siamo molto al di sotto di questa percentuale». Negli Stati Uniti, che hanno il chiaro obiettivo di mantenere il primato tecnico – scientifico – industriale nel mondo, e quindi hanno dovuto creare oltre a istituti pubblici, un sistema di centri di ricerca modellati sul Fraunhofer tedesco, con finanziamenti federali: 128 mln di dollari all’anno. Non si tratta di dirigismo, ma di fornire alcuni grandi orientamenti, individuando priorità che facciano parte di una strategia».

Sul fatto che gli icentivi fiscali previsti siano più adatti alle grandi imprese che non alle realtà di piccole dimensioni, è d’accordo Giovanni Anselmi, presidente API digitale (associazione piccole e media industria), che a sua volta sottolinea come il superammortamento sia una misura più adatta alle grandi imprese, mentre le piccole imprese invece fanno più fatica, perché hanno meno risorse.

Tornando all’analisi di Lombardi, in materia di incentivi agli investimenti, la scelta giusta è quella di puntare sulle piattaforme, sul modello tedesco, che prevede addirittura accordi con la rete americana: pur essendo competitori sulle tecnologie, sviluppano partnership e progettano processi formativi analoghi. Per quanto riguarda invece l’open innovation, «la cosa importante è sviluppare progetti in comune con centri di ricerca, universitari e non, privati o pubblici. Conoscendo e avendo partecipato a diversi progetti innovativi, non c’è contesto adeguato per investire in startup». Prima le imprese «devono capire cosa significa industria 4,0, digitalizzazione. Quindi devono riprogettare processi e prodotti con competenze che non hanno, facendo riferimento ai, centri di ricerca», e in questo senso il piano prevede strumenti precisi. Poi, quando passano alla realizzazione dei progetti, possono assumere, oppure creare imprese piccole parallele che facciano supporto e consulenza.

Fa anche un esempio pratico, dell’istituto tecnico superiore di Prato: hanno 6 milioni di fatturato, con certificazione, analisi di materiali, prove. lavorano con quasi tutti i leader italiani della moda. In definitiva, l’Italia ha «un potenziale tecnico scientifico enorme, un potenziale produttivo ancora rilevante», ma servirebbero linee strategiche diverse.

In realtà, il compito dell’esecutivo non si esaurisce con la parte normativa. Spiega Firpo: «andiamo in giro a presentare il piano, a fare opera di sensibilizzazione. Spero che anche le associazioni, come Confindustria, ci aiutino a scaricare a terra il potenziale del piano Industria 4.0, «dopo 10 anni di crisi sarei veramente stupito, se non cogliessero l’occasione», che è in primis il rilancio del manifatturiero italiano. Il Governo è già impegnato in incontri one to one con le imprese, di media e grande dimensione, «stiamo gestendo la cosa in maniera molto proattiva, la bontà del piano sarà poi misurata sull’effettiva capacità di produrre risultati e stimolare uno scatto in avanti degli investimenti. Ora bisogna lavorare su questo».

Il mondo delle imprese è a sua volta impegnato. Fra gli esempi, il piano Industria 4.0 appena presentato da Assolombarda, che prevede la costituzione di un Leadership Council di livello territoriale e regionale, con un board composto da rappresentanti del sistema imprenditoriale e attori pubblici (in primo luogo la Regione) e privati che già partecipano alla governance di singoli abilitatori di livello regionale (Digital Innovation Hub), nazionale (Competence Centre), europeo (Knowledge Innovation Community on Added Value Manufacturing) e globale (World Manufacturing Forum). Obiettivo: fare sistema ed elaborare un programma congiunto per moltiplicare l’impatto della manifattura digitale sulla competitività del sistema produttivo milanese e lombardo e favorire la diffusione di competenze 4.0.

Prosegue su questo fronte anche l’impegno di API, associazione piccola e media industria, che ha un Osservatorio su Industria 4.0, presieduto da Giovanni Anselmi, responsabile di Api Digitale. Della necessità di una nuova stagione di politica industriale i rappresentanti dell’associazione hanno appena parlato con Mauro Parolini, assessore allo Sviluppo Economico di Regione Lombardia, auspicando un continuo dialogo tra istituzioni, associazioni datoriali, università, gli istituti tecnici e le aziende.

Sul piano Industria 4.0 del Governo, e in particolare sulla parte relativa agli incentivi fiscali, però, API esprime una serie di critiche, innanzitutto sul superammortamento. E’ una misura più adatta alle grandi imprese, osserva Anselmi, le piccole imprese invece fanno più fatica, perché hanno meno risorse. Quanto all’open innovation, più che sugli investimenti in startup, Anselmi punterebbe su imprese innovative già strutturate, che hanno «un entroterra ed esperienze che una startup non può avere. Investirei in un’azienda che ha già una struttura, una storia», oppure in uno spin-off. Quindi i piccoli imprenditori possono puntare ad attirare capitali esterni? Se la PMI è innovativa, può rappresentare un’opportunità. «Se però parliamo di manifattura, è difficile», c’è un ostacolo culturale, per cui è complicato «anche farle accorpare come reti impresa». Il problema fondamentale è «far capire al nostro imprenditore l’importanza di Industria 4.0».

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