EDITORIALE

Innovazione causa virus: segni di un’Italia che ce la può fare

Siamo passati dai tentativi falliti di innovazione per decreto, a tentativi necessitati e necessari di innovazione per emergenza. Dalle pmi, alla scuola, alla pa, alle reti banda larga. La partita non è vinta ma ci sono i segni di una nuova emergente consapevolezza in Italia. Ripartiamo da qui, per farcela assieme

Pubblicato il 24 Mar 2020

Alessandro Longo
Alessandro Longo

Direttore agendadigitale.eu

italia

L’emergenza coronavirus ha evidenziato quanto le aziende e le PA non fossero pronte allo smart working; e le scuole alle lezioni a distanza. Per carenze digitali dei dirigenti, degli utenti e dell’intero sistema. A volta per colpa dei singoli, a volte per digital divide infrastrutturale e diseguaglianze socio-economiche.

L’hanno detto in tanti e il Guardian prima di tutti: le emergenze mettono in luce le caratteristiche intrinseche di una società. Si stagliano così con chiarezza il carattere totalitario della sorveglianza massiva cinese così come le diseguaglianze di chi ha sposato per decenni i principi del liberismo e della de-statalizzazione.

La questione trova riverbero nel modo in cui anche altri Paesi occidentali stanno vivendo l’emergenza: penso agli Stati Uniti dove il New York Times e il Wall Street Journal raccontano in queste ore delle stesse nostre difficoltà, di lavoratori e famiglie privi delle possibilità economiche (e a volte anche delle competenze) per fare da casa, con propri strumenti tecnologici, ciò che prima facevano in presenza.

Le carenze digitali dell’Italia e degli italiani, che ora pesano più che mai, sono un tassello di un problema più grande. Che emerge, nella sua espressione probabilmente più feroce, con le difficoltà di una Sanità martoriata dai tagli della spesa pubblica.

I decreti per recuperare i ritardi

L’Italia se ne sta rendendo conto, tra le righe dei decreti, che provano – in ritardo, ma provano – a recuperare. Per restare nell’ambito digitale, spicca – nel decreto Cura Italia – l’indicazione dello smart working come modalità ordinaria di lavorare della PA sino a fine emergenza; o la specifica delle reti di telecomunicazione come servizi essenziali, di cui è necessario garantire non solo il funzionamento ma anche il potenziamento in questa fase. Del 30 per cento, secondo stime dell’Agcom.

Quelle stesse reti che la politica per decenni ha considerato secondarie rispetto alle infrastrutture stradali, al punto da ostacolarne in ogni modo lo sviluppo, con la burocrazia dei permessi, il blocco di fondi già stanziati per la banda ultra larga. Gli ostacoli antiscientifici sull’elettromagnetismo e il 5G.

Gli esempi di questo tentativo di “redenzione digitale” possono essere numerosi. Il procurement della PA, la giustizia, per anni restati – quasi orgogliosamente – palude di freno a ogni sviluppo adesso sono spronati a fare meglio. Una spinta verso la Sanità digitale – con quale risorse ancora non è chiaro – come emerge dalla call oggi pubblicata dal ministero dell’innovazione, per la teleassistenza: gli esperti lo dicono da tempo, assistere a domicilio da remoto con il digitale abbassa i costi, libera spazio negli ospedali e riduce il rischio che i pazienti cronici, già fragili, possano essere contagiati.

Una scintilla è scoccata

Cambierà, finalmente? Sappiamo che in passato l’Italia ha provato tante volte a fare quella che gli esperti di Fpa chiamano “innovazione per decreto”. Soprattutto verso la pubblica amministrazione. Raramente ha funzionato, come dimostrano i ritardi di Spid, Anpr, PagoPa; dell’applicazione di norme iscritte nel codice dell’amministrazione digitale da 15 anni. E così i dipendenti pubblici e di grandi aziende che hanno continuato a firmare a mano sulla stampa, 15 anni dopo l’istituzione della firma digitale, hanno assaporato in questi giorni tutto l’amaro della propria arretratezza.

L’innovazione per decreto non funziona se non ci sono le condizioni per recepirla. Umane, soprattutto, e infrastrutturali. Allo stesso modo l’emergenza non è condizione sufficiente; né lo sono – appunto – i decreti che chiedono di farlo.

E tuttavia l’urgenza di dovere, tutti insieme, provare a cambiare  sta obbligando le persone a ingegnarsi. A sperimentare soluzioni. Cresce per forza di cose la consapevolezza digitale delle aziende che devono attrezzarsi con video conferenze e vpn; delle famiglie alle prese con le lezioni a distanza e lo shopping online.

Ribadisco: non sappiamo se la contingenza basterà per una svolta e quanti vantaggi ne verranno alla fine per il Paese. Ma certo, con un po’ di ottimismo possiamo dire che è scoccata una scintilla in Italia.

Una forte consapevolezza nuova che l’innovazione digitale è destino ineluttabile per un popolo che voglia restare a piedi saldi tra i Paesi sviluppati. E necessaria è anche una Sanità efficiente. Che è tale anche grazie al digitale: alla telemedicina, all’internet delle cose, i big data e l’intelligenza artificiale.

Quando l’emergenza sarà finita, sarà vitale conservare questa consapevolezza. Custodirla come uno scrigno prezioso e da lì ripartire per costruire un’Italia migliore.

Un’Italia che ce la può fare.

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