L’importanza fondamentale dell’accesso a internet, testimoniata dalla reiterata battaglia per elevarlo a diritto di rango costituzionale, dal 24 dicembre scorso, data di entrata in vigore del nuovo Codice delle comunicazioni elettroniche ha un riconoscimento almeno a livello di legislazione ordinaria, con particolare riferimento a quanto in esso previsto per il Servizio universale.
Ma cosa si intende per servizio universale e perché internet deve essere considerato tale?
Nuovo codice delle comunicazioni elettroniche: pro e contro per i consumatori
Accesso a internet come servizio universale: perché?
L’accesso a internet, è ormai acclarato, è fondamentale per il benessere economico e la crescita sociale e civile delle persone. Le difficoltà di accesso a Internet, per operazioni di upload e download, rappresentano un vero e proprio vulnus alle capacità relazionali e di comunicazione per i consumatori, ma ancora di più per le imprese, dal momento che la diffusione della banda larga è un fattore di crescita economica e occupazionale di un territorio.
Una velocità minima di connessione è un requisito tecnico irrinunciabile per la diffusione di alcuni servizi quali telelavoro o telemedicina, ma anche per l’intrattenimento. In sintesi, per l’avvio di ogni tipo di attività a distanza.
Accesso a internet in Costituzione, mission impossible anche per Rodotà
Eppure, neanche una personalità di spicco quale fu Stefano Rodotà riuscì nel suo intento di inserire nella Costituzione l’art. 21 bis: “Tutti hanno eguale diritto di accedere alla Rete Internet, in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale”. Rodotà, autore di tantissime pubblicazioni tra le quali la profetica “Elaboratori elettronici e controllo sociale”, risalente al 1973, fu anche il primo garante europeo per la privacy. Insomma, non uno qualunque. Ebbene, neanche Rodotà, nel 2010, riuscì a arrivare ad un risultato, se non quello di far discutere in Commissione parlamentare il suo progetto. Dopo, il nulla.
Da Prodi a Sassoli: gli appelli
Solo poco più di un anno addietro il progetto è stato ripreso da parlamentari PD e 5 Stelle. A smuovere le acque è stato Romano Prodi, latore di un appello lanciato all’UE per un accesso alla rete aperto a tutti. In risposta a Prodi, l’impegno dell’allora presidente del Parlamento comunitario David Sassoli: “Mai come in questi mesi di lockdown migliaia di persone in Europa e nel mondo hanno dovuto lavorare, studiare, acquistare cibo, comunicare con le persone care utilizzando una connessione Internet… l’impossibilità di accesso alla rete, si è rivelata un pesante elemento di marginalizzazione. Per molti bambini ha significato vedersi negare il diritto fondamentale all’istruzione e alla conoscenza. Per tante donne e uomini, ha prodotto mancanza di informazioni e messo a rischio la loro vita. È necessario che l’accesso alla Rete si basi su regole di equità. Come nel caso dell’energia elettrica o di altri servizi considerati essenziali, il divario digitale non ha soltanto impatto sul lavoro, l’impresa, lo sviluppo scientifico, sociale e culturale. Altrettanto forti sono gli effetti sulla vita quotidiana delle persone, negli aspetti anche intimi del loro benessere e della loro felicità. Il Covid19 ha reso palese qualcosa di già evidente: la digitalizzazione non aspetta. La questione non è se avverrà o meno, ma se sarà per tutti… Il punto è assicurare trasparenza, informazione, in modo che ognuno abbia la capacità di capire e decidere”.
Codice delle comunicazioni elettroniche e internet come servizio universale
Vediamo di chiarire di cosa stiamo parlando ricorrendo alle definizioni contenute nell’art. 2, comma 1, partendo da quella di “Servizio universale” nei seguenti termini: “un insieme minimo di servizi di una qualità determinata, accessibili a tutti gli utenti a prescindere dalla loro ubicazione geografica e, tenuto conto delle condizioni nazionali specifiche, offerti ad un prezzo accessibile”; alla lettera bb) troviamo quella di larga banda: “l’ambiente tecnologico costituito da applicazioni, contenuti, servizi ed infrastrutture, che consente l’utilizzo delle tecnologie digitali ad elevati livelli di interattività; alla lettera fff) quella di servizio di comunicazione elettronica: “i servizi, forniti di norma a pagamento su reti di comunicazioni elettroniche, che comprendono, con l’eccezione dei servizi che forniscono contenuti trasmessi utilizzando reti e servizi di comunicazione elettronica o che esercitano un controllo editoriale su tali contenuti, i tipi di servizi seguenti: 1) servizio di accesso a internet quale definito all’articolo 2, secondo comma, punto 2), del regolamento (UE) 2015/2120”, e cioè (art. 2, comma 2): “un servizio di comunicazione elettronica a disposizione del pubblico che fornisce accesso a Internet, ovvero connettività a praticamente tutti i punti finali di Internet, a prescindere dalla tecnologia di rete e dalle apparecchiature terminali utilizzate”.
Andiamo avanti nel codice, all’art. 94 (Servizio universale a prezzi accessibili), comma 1. “Su tutto il territorio nazionale i consumatori hanno diritto ad accedere a un prezzo accessibile, tenuto conto delle specifiche circostanze nazionali, a un adeguato servizio di accesso a internet a banda larga e a servizi di comunicazione vocale, che siano disponibili, al livello qualitativo specificato, ivi inclusa la connessione sottostante, in postazione fissa, da parte di almeno un operatore”, e comma 3., ultimo periodo: “Il servizio di accesso adeguato a internet a banda larga è in grado di fornire la larghezza di banda necessaria per supportare almeno l’insieme minimo di servizi di cui all’allegato 5”. E vediamo quindi quali servizi prevede l’allegato 5, “Insieme minimo di servizi che il servizio di accesso adeguato a internet a banda larga è in grado di supportare ai sensi dell’articolo 94 comma 3”:
- e-mail;
- motori di ricerca che consentano la ricerca e il reperimento di ogni tipo di informazioni;
- strumenti basilari online di istruzione e formazione;
- stampa o notizie online;
- ordini o acquisti online di beni o servizi;
- ricerca di lavoro e strumenti per la ricerca di lavoro;
- reti professionali;
- servizi bancari online;
- utilizzo dei servizi dell’amministrazione digitale;
- media sociali e messaggeria istantanea;
- chiamate e videochiamate (qualità standard).
Le conseguenze giuridiche
Mettendo insieme le tessere del mosaico normativo, appare chiaro il passo avanti decisivo compiuto con l’entrata in vigore del Codice, che compensa la scarsa qualità della forma con la sostanza. Dal 24 dicembre scorso ogni cittadino italiano può reclamare dall’affidatario del servizio universale – l’incumbent, ovverossia TIM, almeno finora – la fornitura di un accesso a internet che consenta di compiere le attività elencate nell’allegato 5 al Codice. Con le conseguenze giuridiche annesse, e cioè il diritto di agire in sede di tentativo obbligatorio di conciliazione prima, e di definizione (sempre davanti al Co.re.com.) o di giudizio poi, anche ricorrendo agli strumenti di tutela d’urgenza previsti.
Una vicenda, questa, che parte da lontano, sempre con l’Ue a giocarvi un ruolo fondamentale.
La direttiva full competition e le altre
Un passaggio cruciale è la direttiva 96/19/CEE (nota come “full competition”), che all’art. 5 affronta, in un’ottica di garanzia di carattere sociale, il problema della fornitura del Servizio universale, disponendo che gli Stati membri facciano sì che “siano soddisfatte da almeno un operatore tutte le richieste ragionevoli di collegamento alla rete telefonica pubblica fissa”.
Il d.lgs. 259/2003 (il vecchio Codice) fissa, attualizzando il D.P.R. n° 318/1997 e recependo le direttive europee in materia di servizio universale (direttiva 2002/22/CE e successive modifiche), un obbligo di fornitura di servizi su tutto il territorio nazionale e per tutti gli utenti finali “ad un livello qualitativo stabilito” e “a prescindere dall’ubicazione geografica” degli stessi utenti (art. 53), specificando, al successivo articolo 54, che l’accesso alla rete telefonica da qualsiasi postazione fissa “deve essere tale da consentire un efficace accesso ad internet”.
La direttiva del 2009/136/CE ha reso ancora più esplicito tale obbligo, inserendo il termine “velocità” e riformulando quindi i commi 1 e 2 dell’art. 4 della citata norma europea in questi termini: “1. Gli Stati membri provvedono affinché qualsiasi richiesta ragionevole di connessione in postazione fissa a una rete di comunicazione pubblica sia soddisfatta quanto meno da un’impresa. 2. La connessione fornita è in grado di supportare le comunicazioni vocali, facsimile e dati, a velocità di trasmissione tali da consentire un accesso efficace a Internet, tenendo conto delle tecnologie prevalenti usate dalla maggioranza degli abbonati e della fattibilità tecnologica”.
Per fortuna, la politica UE in questo campo non si è fermata, come abbiamo visto, e anche il nuovo Codice applica una direttiva dell’Unione, quella, appunto del 2018.
Conclusioni
Oggi, anche alla luce delle enormi necessità emerse negli ultimi due anni, il discorso è, come chiunque può comprendere, ancora più stringente e attuale. La novità più significativa e dirompente è l’inserimento, in maniera finalmente chiara e precisa, dei servizi sopra elencati in quello universale. Si tratta di un diritto che non può lasciare scoperto alcun territorio né alcuna categoria di disagio.
E torniamo quindi all’inizio di questa riflessione. Rodotà, nella grandezza e nella lungimiranza della sua visione orientata all’allargamento dei diritti dei cittadini, ci aveva pensato anni e anni fa. Per fortuna sua, egli non ha vissuto questa fase tragica della storia dell’Umanità che ha senz’altro dato nuova linfa alla sua idea. L’accesso a internet elevato a diritto di rango costituzionale costituirà, qualora, come ci si augura, l’iniziativa venga ripresa, un ulteriore, decisivo passaggio per assicurare un futuro migliore ai cittadini e fornire un elemento della lotta alla diseguaglianza economica, sociale e territoriale, al cui aggravamento quella digitale dà un decisivo apporto.