L’Internet delle Cose, o Internet of (every)things, oppure ancora Industrial Internet se ci si sofferma solo sul mondo manifatturiero e come indicato dal piano nazionale Industria 4.0, non è più una novità assoluta. Sebbene siano ancora diversi i limiti della tecnologia, anche, ma non solamente, legati alla sicurezza delle applicazioni, sono sempre di più i casi applicativi reali, a testimonianza di un concreto interesse da parte del mondo industriale. Non a caso, stanno proliferando anche i provider di tali tecnologie, che stanno investendo rilevanti risorse nello sviluppo di soluzioni capaci di soddisfare le esigenze degli utilizzatori (industriali).
Elemento peculiare della tecnologia IoT, è che ogni oggetto diventa in grado di scambiare in modo autonomo informazioni con gli oggetti circostanti, modificando anche il proprio comportamento in funzione degli input ricevuti dagli altri oggetti (things) o dall’ambiente. Si è iniziato a parlare di IoT nel 2010, da quando cioè il numero di oggetti connessi alla rete (di qualsiasi tipologia e dimensione) ha superato il numero degli abitanti del nostro pianeta. Si stima che entro il 2020 saranno 50 miliardi gli oggetti connessi. Una tecnologia quindi ormai prossima alla piena maturazione? Neanche a parlarne. Gartner stima che serviranno altri 5-10 anni per arrivare alla piena maturazione, coerentemente con la necessità da parte dei provider di creare piattaforme, protocolli ed ecosistemi di sviluppo integrati e diffusi su scala mondiale, in grado di garantire la sicurezza dell’interazione tra gli oggetti in real time.15
In ogni caso, è oggi già possibile immaginare uno scenario in cui l’applicazione diffusa di sensori, rilevatori e device mobili renderà ogni prodotto, oggetto, componente, “intelligente”. In altre parole, e con specifico riferimento all’ambito industriale, ogni unità elementare di un qualsivoglia sistema logistico-produttivo, sarà in grado di:
- Portare le informazioni: il prodotto porterà con sé le informazioni lungo l’intera supply chain (manuale d’uso, disegni tecnici, garanzia, …)
- Raccogliere le informazioni: il prodotto monitorerà sé stesso e l’ambiente in real time grazie ai sensori di cui sarà dotato (informazioni ambientali, informazioni d’utilizzo, …)
- Trasmettere le informazioni: il prodotto potrà modificare il proprio funzionamento e la propria influenza sull’ambiente circostante (interazione con altri dispositivi) in base alle relazioni che creerà con gli altri oggetti e con l’ambiente medesimo
Questa intelligenza diffusa all’interno dei sistemi industriali, localizzata anche nei prodotti realizzati (e movimentati), permetterà di modificare in modo sostanziale le attività delle aziende, indipendentemente dal settore in cui operano e dalla dimensione. Grazie a questa intelligenza, le imprese potranno avere (a costi marginali quasi nulli) una accresciuta visibilità sui propri asset e sui propri prodotti, e potranno contare su dati reali (ed in real time) da poter elaborare, grazie ai quali prendere le decisioni più corrette e tempestive per il soddisfacimento delle esigenze dei clienti. Non più tardi di qualche mese fa, il noto economista Jeremy Rifkin, autore di best seller quali “La fine del lavoro” e “La società a costo marginale zero”, sosteneva che l’IoT sarebbe stata una delle strade grazie a cui l’economia italiana avrebbe potuto tornare a crescere: “Metteremo sensori ovunque, in ogni device, in ogni macchina, lungo tutta la value chain, al fine di restituire dati in real time. E questo in tutti i settori, nell’agricoltura, come nel retail o nell’industria”.
L’Internet delle Cose potrebbe fungere in primis da abilitatore nei confronti del processo di servitizzazione che molte aziende stanno vivendo (o dovrebbero vivere), finalizzato a porre al centro del business non tanto il prodotto fisico, bensì l’integrazione tra il prodotto (materiale) ed i servizi (immateriali) ad esso integrati. In quest’ottica, il servizio (post-vendita) smette di essere un “male necessario”, bensì si pone al centro del modello di business dell’azienda. Si pensi a quei modelli di proposizione sul mercato di oggetti legati all’utilizzo effettivo da parte del cliente (pay x use), all’effettiva disponibilità in esercizio (pay x availability), oppure al rendimento garantito (pay x performance). Il famoso Total Care di Rolls-Royce si colloca proprio qui. Ebbene, la modifica del modello di business di un’azienda (perché è di questo che si tratta), è possibile proprio grazie all’impiego di sensori miniaturizzati collocati sugli (e all’interno degli) oggetti, tali da renderli intelligenti e quindi capaci di trasferire le informazioni chiave dal campo, poi usate per definire le opportune politiche di manutenzione e service.
Se lo scenario di cui sopra vi appare futuristico (nemmeno troppo, a dire la verità), pensate al possibile impatto sulle attività logistiche (inbound e outbound). Sia che queste implichino operazioni via mare, terra, o aria, l’accesso ai dati in real time è palesemente un potenziale fattore di successo molto rilevante per le imprese. Grazie alla possibilità di far diventare ogni prodotto intelligente (nell’accezione prima descritta), la gestione dei flussi di merce interni ed esterni alle mura aziendali, potrà subire notevoli modifiche, in un’ottica di maggiore razionalizzazione ed efficientamento delle attività.
Le applicazioni della tecnologia IoT in questo ambito possono essere schematizzate in due macro categorie:
Pianificazione e monitoraggio dei processi
In questo ambito, la tecnologia permette di creare un collegamento tra il prodotto ed il processo che lo realizza. Grazie a sensori posti sui componenti in lavorazione, ogni unità lavorata fornisce dettagli sulle sue condizioni e sullo stato di lavorazione (temperatura, umidità, sollecitazioni subite, …), mettendole a disposizione dell’intera linea di produzione. Con queste informazioni, un’azienda può rilevare in tempo reale eventuali anomalie del processo produttivo, intercettando in modo tempestivo eventuali prodotti fuori standard. Inoltre, si riducono gli sprechi e si riducono i magazzini di linea, potendo contare su informazioni precise ed in tempo reale, tali da consentire una migliore pianificazione della produzione e dei materiali necessari.
In questo senso, l’IoT facilita il controllo e la tracciatura dei flussi dei prodotti e delle informazioni all’interno dell’azienda, che può quindi sapere, in ogni momento, dove si trova un componente, un semilavorato, oppure il prodotto finito, sia esso in linea piuttosto che in magazzino. Inoltre, il prodotto, può anche portare le informazioni con sé lungo l’intero processo produttivo, mettendole a disposizione degli attori protagonisti delle fasi successive (per esempio tramite tag e etichette di memorizzazione magnetiche), estendendo ulteriormente i benefici già citati.
Tracciabilità e rintracciabilità dei prodotti
Si pensi alla possibilità di automatizzare ed informatizzare completamente il processo di raccolta e controllo delle informazioni legate alla distribuzione dei prodotti lungo la supply chain. Se fino a qualche tempo fa le attività di gestione degli ordini erano delegate ad operatori che avevano il compito di verificare la coerenza dell’ordinato con quanto ricevuto, ad oggi tale operazione può essere completamente svincolata dall’operatore umano. Questo è quello che ha fatto per esempio Grandi Salumifici Italiani, che, tramite l’utilizzo della tecnologia RFID (una sorta di antenato dell’IoT), è in grado di monitorare tutta la merce in ingresso, grazie alla lettura, in un solo momento, di tutti i pallet che attraversano i propri gate. I benefici sono relativi sia ad un aumento dell’efficienza delle attività (riduzione dei tempi per lo scarico e per il controllo della merce in ingresso) sia ad un aumento dell’efficacia (riduzione della merce non conforme accettata per errore, oppure di merce integra rifiutata per “eccesso di scrupolo”).
All’aumentare delle richieste e delle esigenze da parte del consumatore finale di conoscere come, dove e quando è stato realizzato un determinato prodotto, cresce anche l’interesse verso tecnologie che possano supportare le aziende nel tracciare e rintracciare queste informazioni in modo rapido e sicuro. L’IoT mostra in questo specifico ambito delle potenzialità rilevanti. Oltre a tag e sistemi RFID, ogni prodotto movimentato può essere dotato di sensori in grado di rilevare le proprie condizioni in modo continuativo durante l’intero trasporto. I dati inerenti la temperatura, l’umidità, gli urti, (…), possono essere rilevati in ogni momento, e non solo in specifici punti di rilevazione posizionati lungo la filiera (ad esempio magazzini intermedi o transit point). Il consumatore (o più in generale l’attore più a valle nella filiera), può così ricevere in tempo reale notifiche in merito alle condizioni della propria merce. Sono numerose le aziende che si stanno muovendo in questa direzione, e non solo nel manifatturiero. Operatori logistici globali come Amazon e FedEx, hanno messo a punto sistemi in grado non solo di tracciare istantaneamente la posizione di ogni singolo articolo, bensì di comunicare ai destinatari anche le condizioni (temperatura, umidità, sollecitazioni, …) in cui sta avvenendo il trasporto.
Anche nell’industria Italiana, seppure a piccoli passi e con una certa inerzia, sta cominciando a crescere la consapevolezza circa la potenziale rilevanza della tecnologia. Questo almeno è quanto emerge da una ricerca condotta recentemente dal Laboratorio RISE (Research & Innovation for Smart Enterprises) dell’Università degli Studi di Brescia su di un campione di quasi un centinaio di imprese manifatturiere.
In primis, occorre rilevare che la tecnologia è ancora poco diffusa in Italia. Dai dati, emerge che l’IoT non ha ancora fatto realmente presa nel tessuto industriale italiano: il 44% delle aziende ha una conoscenza almeno superficiale delle sue applicazioni, ma solamente il 5% ha realizzato degli specifici approfondimenti finalizzati ad una effettiva implementazione (Figura 1).
Figura 1 – Livello di conoscenza della tecnologia (dati da ricerca RISE 2015)
A fronte di una conoscenza limitata e spesso superficiale, ne deriva anche un livello di utilizzo relativamente ridotto, comunque più che proporzionale rispetto al livello di approfondimento dichiarato in Figura 1. Infatti, l’IoT, con un 15% di aziende che applicano già la tecnologia è al secondo posto tra le tecnologie indagate nella ricerca, alle spalle della sola stampa 3D. In aggiunta, un ulteriore 15% di aziende ha pianificato di investire nei prossimi 1-2 anni in questo nuovo paradigma, a fronte di analisi di fattibilità tecnico-economica in corso (Figura 2).
Figura 2 – Livello di utilizzo della tecnologia (dati da ricerca RISE 2015)
Infine, le aziende che applicano la tecnologia, sembrano ricercare benefici effettivamente molto coerenti con le macro-categorie esposte in precedenza, in termini di monitoraggio (dati di produzione e consumi energetici in particolare) e tracciabilità dei prodotti lungo la filiera (Figura 3).
Figura 3 – Benefici dichiarati dalle aziende italiane (dati da ricerca RISE 2015; 4 = max livello di interesse)
In sintesi, emerge uno scenario in chiaro-scuro, all’interno del quale la tecnologia è sì ritenuta anche molto rilevante per lo sviluppo futuro del business, ma sussiste il timore che oggi sia ancora troppo poco matura per applicazioni industriali, in relazione ai rischi legati alla gestione di dati sensibili e all’assenza di standard comuni di interoperabilità tra diversi dispositivi.