Si sono succeduti modelli diversi nell’investimento di fondi pubblici per lo sviluppo della rete in fibra, ma non è mai stata fatta alcuna riflessione seria sul perché questi modelli non abbiano funzionato. A margine del via al primo dei bandi del Piano Italia a 1 Giga, con 3,7 miliardi di euro stanziati per portare Internet veloce ad altri 7 milioni di indirizzi (numeri civici) in tutta Italia, quello che sembra ancora mancare è un modello.
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Siamo convinti da tempo, infatti, che parlando di digitale la parola chiave sia “strategia”. Le difficoltà si incontrano infatti sul piano organizzativo e non su quello strettamente tecnologico.
Non a caso, rispetto agli indicatori DESI, i servizi online della Pubblica amministrazione registrano il miglioramento maggiore perché c’è un modello di riferimento vincente, che ha portato dal successo del progetto ANPR, al quale sono ormai associati tutti i dati anagrafici dei cittadini di tutti i comuni italiani, alla piattaforma PagoPa, all’interfaccia con i cittadini dell’app Io, con un sempre maggior numero di enti e amministrazioni connessi alla piattaforma e di cittadini che accedono ai servizi.
Quale modello per le infrastrutture a banda larga?
Per le infrastrutture di telecomunicazioni purtroppo questo modello non esiste.
I fondi europei per la realizzazione della infrastruttura di rete per la BUL si stanno spendendo fin dal 2007, soprattutto nelle regioni meridionali, tanto è vero che i territori del Sud sono tutti ben infrastrutturati, ma proprio qui registriamo il livello più basso di domanda e di contratti per la fibra.
Il primo investimento prevedeva l’intervento diretto di Infratel per stendere nelle aree più bianche la fibra spenta, senza nessun intervento né responsabilizzazione degli operatori perché questa fibra fosse accesa.
Poi c’è stato il cosiddetto modello BUL SUD, un modello a contributo pubblico sull’investimento, che è stato finora il più efficace, perché l’operatore che vinceva la gara doveva anche portare la connessione effettiva.
Infine, dal 2014 i bandi sono stati fatti in base al cosiddetto modello a concessione, basato su un’offerta wholesale-only, che, aldilà dei ritardi nella realizzazione delle opere, ha mostrato tutti i limiti dell’approccio wholesale-only che ancora una volta non responsabilizza gli operatori nelle aree bianche e lascia i cittadini senza connettività effettiva.
Conclusioni
Sono dunque convinta che, prima ancora di entrare nel merito tecnico dell’articolato del bando da 3,7 miliardi, ci si dovrebbe interrogare sull’efficacia di questo ulteriore investimento di finanza pubblica al fine del conseguimento del risultato al quale lo stesso Ministro Colao tende: l’effettiva connettività ad almeno 1 Gigabit al secondo non in termini di copertura del territorio, ma di servizio erogato a tutti i cittadini, che non è differenza da poco.
Nelle regioni del Sud, infatti, è la connettività effettiva a essere urgente e necessaria e non la fibra spenta. Per esempio, la Calabria, regione di cui conosco molto bene l’effettivo sviluppo digitale, avrà grazie al PNRR, oltre 600 milioni di ulteriori investimenti, senza però capire come si misurano i risultati da raggiungere.
Il PNRR nasce per assolvere a una funzione precisa, che non è solo quella di spendere soldi, per lo più a debito, ma soprattutto nel campo del digitale dovrebbe servire a dare risposta ai bisogni della popolazione, con ricadute nella vita reale ed è proprio su questo che sarebbero necessarie indicazioni precise.
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