Certamente non era necessaria la fotografia data dal Rapporto Annuale della “Digital Agenda Scoreboard” pubblicato il 12 giugno per sapere che sui diversi temi chiave dell’Agenda Digitale Europea l’Italia è nelle posizioni di retroguardia.
Eppure, leggendo il rapporto, impressionano due evidenze:
l’Italia è in posizioni di retroguardia sulla media dei 27 Paesi Europei su tutti i principali indicatori, ad eccezione di quello relativo alla copertura con banda larga (ma anche qui, come vedremo, la situazione non è per niente positiva);
i Paesi che sono in retroguardia come l’Italia mostrano un tasso di miglioramento maggiore di quello del nostro Paese, per cui sono diversi i casi in cui la situazione italiana risulta in peggioramento relativo (ad esempio, si vedano la percentuale di persone che non hanno mai usato Internet, quella delle PMI che utilizzano il commercio elettronico per vendere i propri prodotti, il tasso di penetrazione della banda larga e la diffusione delle reti di nuova generazione).
Il quadro complessivo, così, fa emergere un Paese che ha delle nicchie di buone prestazioni (la percentuale di persone con elevate competenze ICT, l’uso di processi online da parte delle imprese) nell’ambito generale di un rallentamento che diventa anche troppo evidente lì dove deve essere prodotto un passo decisamente innovativo (come quello legato alla diffusione di banda oltre i 30 Mps, dove l’Italia si trova indietro a tutti gli altri Paesi europei).
Credo sia utile ripercorrere il rapporto rispetto a quelli che sono stati definiti “indicatori chiave di prestazione” per misurare l’attuazione dell’agenda digitale europea.
Copertura con banda larga
I target europei prevedono per il 2013 il 100% di copertura con banda larga (superiore a 2Mps), che nel 2020 diventa il 100% di copertura con banda superiore ai 30Mps, accompagnata dal 50% in banda superiore ai 100Mps (banda ultralarga). L’Italia mantiene una percentuale vicina al target per la banda a 2Mps (e qui il Piano per la Banda Larga prevedeva il raggiungimento dell’obiettivo con il recupero di alcune zone meno coperte, come il Molise), mentre è al palo sulla banda oltre i 30Mps (ultima con la Grecia), con una forbice che tende a crescere tra Italia e media europea se si osservano i dati di penetrazione della banda superiore ai 10Mps.
Acquisti e vendite online
I target europei prevedono per il 2015 che il 50% delle persone abbiano fatto acquisti online (e il 20% anche fuori dal proprio Paese) e che il 33% delle PMI abbia effettuato vendite online. L’Italia sui primi due indicatori è posizionata nel quadrante di retroguardia, meglio solo di Bulgaria e Romania, con meno del 20% di persone che hanno acquistato online (e di questi la metà oltre confine), contro una media europea del 45%. Stessa situazione per le PMI, dove meno del 5% delle italiane effettua commercio elettronico, in grande ritardo rispetto alla media europea (13%), trainata da alcuni Paesi in particolare come Svezia, Danimarca, Regno Unito, Slovenia, lontani tutti comunque dall’obiettivo europeo.
Uso di Internet da parte della popolazione
I target europei prevedono per il 2015 che utilizzi Internet regolarmente il 75% della popolazione europea (almeno una volta la settimana), il 60% della popolazione svantaggiata e che si riduca al 15% la parte di popolazione che invece non l’ha mai usato. Qui l’arretratezza italiana è non solo evidente (poco più del 50% di utenti “regolari” e quasi il 40% di popolazione che non ha mai usato Internet) ma anche in progressivo incremento, poiché Paesi in ritardo (come la Polonia, la Romania, il Portogallo) si muovono con tassi decisamente più elevati e via via raggiungono livelli migliori di quelli italiani.
Uso di servizi di egovernment
L’indicatore a carico di ciascun Paese europeo (popolazione che usa servizi di egovernment) prevede un target del 50% per il 2015. Questo dato, evidentemente correlato a quello complessivo sull’uso di Internet, vede l’Italia in sostanziale ritardo (meno del 20% contro l’oltre il 40% della media europea) rispetto a tutti i Paesi europei.
Riflessioni conclusive
Il quadro che si disegna globalmente è di un ritardo generalizzato correlato all’assenza di una strategia organica sul digitale. Anche nel mercato del “mobile”, dove l’Italia vanta una penetrazione tra le più elevate, è significativo rilevare come il tasso di traffico prepagato sia il più alto tra i Paesi Europei, con un approccio culturalmente ed economicamente precario che è proprio dei Paesi con maggiore ritardo sul digitale (es. Romania, Grecia, Malta, Portogallo).
La mancanza di una strategia organica si evidenzia anche dai dati negativi che si hanno sia sul fronte della penetrazione della banda larga tra la popolazione, sia sul forte ritardo di quella ultralarga, sia sulla disponibilità dei servizi online (dal commercio elettronico all’Internet banking), sia sul loro uso (tra i più bassi in Europa), il tutto correlato con una diffusione di competenze digitali che è tra le più basse in Europa. Il tutto però coniugato con uno strato di eccellenza (dalle competenze alle imprese) che si colloca ai livelli più elevati.
Un Paese sempre più divaricato e disomogeneo e allo stesso tempo incapace di muovere quel cambiamento indispensabile per la crescita economica e sociale.
Cambiamento che però non può che partire dall’acquisizione della consapevolezza che senza strategia è molto difficile definire una governance efficace e un piano di azione che possa davvero incidere sulla società italiana.
Si continua a trattare l’agenda digitale come un affare da esperti di tecnologia, e non per niente il comunicato stampa emesso dal CdM sul decreto “del fare” ha preannunciato un Tavolo permanente composto da “esperti, imprese, università”. Il digitale come aspetto di settore, parallelo agli altri settori di intervento, al contrario di quanto sostenuto anche in diverse iniziative della società civile.
Così, come si evidenzia in uno dei rapporti della Digital Agenda Scoreboard sulla situazione italiana, è naturale che le imprese italiane siano tra quelle che in Europa cercano meno personale con competenze ICT (4% contro l’8% della media europea): “dato il basso tasso di uso di Internet da parte dei cittadini e delle imprese, le imprese hanno una bassa esigenza di assumere specialisti ICT”. In pieno circolo vizioso.