digital divide

I comuni alpini del Piemonte ripensano il futuro con la banda ultra larga

La terza rivoluzione industriale ha messo in ginocchio migliaia di Comuni della montagna piemontese e delle altre Regioni che hanno in comune le Alpi. Ora la quarta deve porre rimedio al secolo breve che ha portato via oltre un milione di persone. Grazie alla banda larga Le valli alpine diventano invece luogo dove insediare impresa, dove lanciare start up, dove sperimentare meccanismi economici, dove tornare alla terra ma per vendere i prodotti in e-commerce. Ecco come

Pubblicato il 18 Mag 2016

Marco Bussone

presidente Uncem

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Il sindaco di Elva la chiama emergenza. Quello di Ostana, il vero dramma. Quello di Piedicavallo, l’allarme rosso. Modi diversi per ribadire lo stesso problema. Il digital divide è nelle valli alpine un po’ tutto questo. Aree interne, si è sempre detto, poco importa portare internet ad alta velocità là dove lo spopolamento ha cancellato tre generazioni. La terza rivoluzione industriale ha messo in ginocchio migliaia di Comuni della montagna piemontese e delle altre Regioni che hanno in comune le Alpi. Ora la quarta deve porre rimedio al secolo breve che ha portato via oltre un milione di persone (intelligenze non scomparse in Trentino ad esempio), scese a valle in cerca di lavoro e servizi. Sarà anche per questa enorme sfida che gli Amministratori, i Sindaci-volontari dei piccoli Comuni delle Terre Alte non accettano più semplici promesse relative alle infrastrutture digitali. Qui, a Oncino, Balme o Ceresole Reale, per farsi capire bisogna parlare semplice. Pochi giri di parole. Concretezza e tempi certi. E non prendere il problema dalla parte sbagliata. Primo, il divario digitale si alimenta su tre fronti: tv, telefonia mobile e (poi) internet.

Insomma, prima di navigare a 30 o 100 Mbps, chi vive e lavora in montagna vuole poter telefonare e vedere il digitale terrestre. Basti sapere che in Piemonte 600mila persone hanno difficoltà a “catturare” il segnale Rai.
Allora si deve partire anche da qui (dalla fibra portata alle torri di un operatore TV, ad esempio) nell’utilizzare i milioni di euro per le cosiddette “aree bianche”, che non sono “a fallimento di mercato”. E questo è il secondo punto. Lo sono oggi, ma non lo saranno domani. Il Piano banda ultralarga e l’intero pacchetto Agenda digitale vanno letti sul medio periodo. Le aree urbane diventeranno presto sature, colme di infrastrutture e colme di servizi. Torino perde popolazione al posto di guardagnarne. Le valli alpine diventano invece luogo dove insediare impresa, dove lanciare start up, dove sperimentare meccanismi economici, dove tornare alla terra ma per vendere i prodotti in e-commerce, dove fare anche tre lavori in un anno, conoscendo a fondo l’importanza della multiprofessionalità. Ha ragione l’economista ed ex Ministro Fabrizio Barca quando ribadisce che le aree interne del Paese, comprese quelle montane (per le quali proprio Barca ha varato una opportuna Strategia nazionale di valorizzazione), sono oggi zone con “spazi liberi”. Riempire questa libertà è l’impegno degli Enti locali e delle imprese.

Anche per questo, Uncem (che rappresenta solo in Piemonte 553 Comuni montani e 54 loro Unioni) ha chiesto alla Regione e di conseguenza al Mise e Agid di ragionare subito sui servizi da portare alla pubblica amministrazione, alle imprese, ai cittadini. Questo è il terzo punto.

Per portare la banda ultralarga nelle aree a più forte divario digitale, ovvero nelle aree bianche che rappresentano il 72% del territorio regionale, sono stati assegnati al Piemonte circa 284M€, di cui 90 da fondi europei (FESR e FEASR) e 194 da fondi nazionali (FSC).

L’infrastruttura è un fine e non un mezzo. Investire in Piemonte per la fibra ottica (e non di meno per tecnologie senza fili e satellitari: viva la neutralità tecnologica!) deve permettere alle aree bianche di approntare nuovi servizi. Vuol dire ad esempio telemedicina, teleassistenza, una vera Uber dei trasporti (per superare gli antieconomici servizi pubblici con i pullman che oggi corrono avanti e indietro nelle vallate), sharing economy, protezione dell’ambiente con sensoristica e monitoraggio dell’intero comparto ambiental-paesaggistico, vera ricchezza delle Terre Alte. Ma prima ancora, il diktat è una PA inclusiva che possa parlarsi. Cloud, Spid, Mude, Suap sono ancora sigle ai più sconosciute. I gestionali dei Comuni oggi non si parlano tra loro. E farli dialogare è la condizione basilare affinché i piccoli enti delle aree interne e montane possano unire servizi e opportunità di sviluppo. Questa è la prima azione da compiere ad esempio con un soggetto forte quale è il CSI Piemonte che gestisce sistemi informativi e banche dati per circa 130 Enti pubblici piemontesi

Nella seconda metà di maggio, la Regione in collaborazione con Uncem e ANCI promuoverà incontri sul territorio nei quali ascoltare esigenze e necessità dei Comuni: quattro giornate informative e di confronto che toccheranno rispettivamente Torino e Città metropolitana; Cuneo; Asti e Alessandria; Novara, Vercelli, Biella e Verbano Cusio Ossola. Dal punto di vista operativo, per poter investire subito le risorse disponibili, la Regione Piemonte firmerà con Ministero dello Sviluppo economico e Infratel un accordo per mettere in moto la macchina. Poi saranno i Comuni, attraverso le loro Unioni, a firmare le convenzioni che saranno l’ultimo passo prima dei bandi, interamente gestiti da Infratel.

Non abbiamo tempo da perdere. Abbiamo messo tutti in guardia: cari Comuni basta comprare ferro. La politica deve imporre scelte che sappiano almeno traguardare il presente se non riescono (o riescono?) a collocarsi nel futuro. Gestionali in cloud, formazione continua per i dipendenti, innovazione per migliorarsi. Tre condizioni per non perdere. E ridurre almeno un po’ quel divario digitale che apre ogni giorno di più il rapporto incompiuto tra aree urbane e montane. Divario, che digitale solo non è.

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