Cyberwarfare

L’Italia in cyber-guerra con i fichi secchi: “siamo ostaggio di software stranieri”

Mentre nel settore degli armamenti, come è noto, l’Italia è in grado di produrre praticamente tutto, dalle armi da fianco fino agli aerei da combattimento, passando per navi da guerra di classe FREMM, o sistemi cifranti, nel settore ICT il nostro Paese è sostanzialmente “ostaggio” dell’industria straniera (“amica”, per carità, ma sempre straniera e, soprattutto, non sottoposta alla giurisdizione italiana)

Pubblicato il 02 Giu 2016

Andrea Monti

Avvocato specializzato IT

security-160601132818

Da tempo le forze armate italiane hanno attivato progetti di guerra elettronica/informatica per migliorare la capacità di reazione in caso di attacco non convenzionale o – vista in altro modo – per incrementare il proprio livello di autonomia dai partner occidentali.

Questi progetti, tuttavia, sono indeboliti da un fattore economico, peraltro comune ad altri settori critici del nostro Paese, e cioè l’assenza di una industria nazionale che produca hardware e software totalmente autoctoni (e ancora una volta, tocca evocare il fantasma di Olivetti e chiedersi il perché della distruzione del comparto ICT nazionale).

Mentre nel settore degli armamenti, come è noto, l’Italia è in grado di produrre praticamente tutto, dalle armi da fianco fino agli aerei da combattimento, passando per navi da guerra di classe FREMM, o sistemi cifranti, nel settore ICT il nostro Paese è sostanzialmente “ostaggio” dell’industria straniera (“amica”, per carità, ma sempre straniera e, soprattutto, non sottoposta alla giurisdizione italiana).

Fino a quando un’azienda privata e, al limite, una pubblica amministrazione decide di utilizzare sistemi e tecnologie sulle quali non ha un reale controllo, siamo di fronte a un problema serio ma non grave.

Quando, però, l’apparato militare dello Stato dipende integralmente da sistemi operativi, firmware, piattaforme e tecnologie sotto il controllo tecnico e giuridico di altri paesi, il problema è evidente.

Basta ricordare come, ogni tanto, si diffondono allarmismi sulla presenza, all’interno di un sistema operativo, di backdoor o altre forme di sistemi per controllare a distanza un computer (anche) installato in punti critici della nostra infrastruttura.

A volte, come nel caso della chiave _NSAKEY in Windows NT4 sp5, si tratta di bufale, altre volte, come denuncia il libro “No Place to Hide” di Glenn Greenwald a proposito di apparati Cisco venduti al di fuori degli USA, forse no. Per non parlare, poi, in ambito privato dell’installazione (poi cessata) di software di controllo come CarrierIQ in alcune linee di smartphone Apple, Samsung e LG, all’insaputa degli utenti. Sia come sia, il problema rimane in tutta la sua ingombrante presenza.

Cosa succederebbe se lo Stato italiano smettesse di pagare le licenze d’uso dei sofware extracomunitari che sta utilizzando?

Chi detta i tempi e i modi del rilascio di informazioni su vulnerabilità di sistemi operativi e applicazioni?

Come è concepibile che personale civile incaricato di manutenere i suddetti software extracomunitari possa entrare in luoghi e sistemi informativi ai quali solo ristrette cerchie di militari possono accedere? Cosa dovrebbe impedire a un fornitore extracomunitario di tecnologia di installare cavalli di Troia o altro malware (con la protezione del copyright che impedisce al licenziatario di analizzare il software) per consentire al proprio governo di “interessarsi” a ciò che transita nell’infrastruttura militare italiana?

Se consideriamo la grande divisione nel settore strategico emersa all’indomani della notizia dell’esistenza di Echelon, che vede da un lato i cinque paesi anglosassoni (USA, Inghilterra, Canada, Nuova Zelanda, Australia) e dall’altro il resto del mondo occidentale, è abbastanza chiaro che ci siano agende differenti anche nell’ambito della stessa coalizione.

Non è difficile, date queste premesse, capire perché la Russia abbia deciso – e annunciato al mondo pochi giorni fa – di finanziare lo sviluppo di un sistema operativo UNIX-like del tutto autonomo, destinato a sostituire le piattaforme occidentali.

La domanda che ci si dovrebbe porre, a questo punto, è perché l’Italia non stia facendo lo stesso (non fosse altro che per le notevoli e positive ricadute sul mercato interno)?

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

EU Stories - La coesione innova l'Italia

Tutti
Analisi
Video
Iniziative
Social
Programmazione europ
Fondi Europei: la spinta dietro ai Tecnopoli dell’Emilia-Romagna. L’esempio del Tecnopolo di Modena
Interventi
Riccardo Monaco e le politiche di coesione per il Sud
Iniziative
Implementare correttamente i costi standard, l'esperienza AdG
Finanziamenti
Decarbonizzazione, 4,8 miliardi di euro per progetti cleantech
Formazione
Le politiche di Coesione UE, un corso gratuito online per professionisti e giornalisti
Interviste
L’ecosistema della ricerca e dell’innovazione dell’Emilia-Romagna
Interviste
La ricerca e l'innovazione in Campania: l'ecosistema digitale
Iniziative
Settimana europea delle regioni e città: un passo avanti verso la coesione
Iniziative
Al via il progetto COINS
Eventi
Un nuovo sguardo sulla politica di coesione dell'UE
Iniziative
EuroPCom 2024: innovazione e strategia nella comunicazione pubblica europea
Iniziative
Parte la campagna di comunicazione COINS
Interviste
Marco De Giorgi (PCM): “Come comunicare le politiche di coesione”
Analisi
La politica di coesione europea: motore della transizione digitale in Italia
Politiche UE
Il dibattito sul futuro della Politica di Coesione
Mobilità Sostenibile
L’impatto dei fondi di coesione sul territorio: un’esperienza di monitoraggio civico
Iniziative
Digital transformation, l’Emilia-Romagna rilancia sulle comunità tematiche
Politiche ue
Fondi Coesione 2021-27: la “capacitazione amministrativa” aiuta a spenderli bene
Finanziamenti
Da BEI e Banca Sella 200 milioni di euro per sostenere l’innovazione di PMI e Mid-cap italiane
Analisi
Politiche di coesione Ue, il bilancio: cosa ci dice la relazione 2024
Politiche UE
Innovazione locale con i fondi di coesione: progetti di successo in Italia
Programmazione europ
Fondi Europei: la spinta dietro ai Tecnopoli dell’Emilia-Romagna. L’esempio del Tecnopolo di Modena
Interventi
Riccardo Monaco e le politiche di coesione per il Sud
Iniziative
Implementare correttamente i costi standard, l'esperienza AdG
Finanziamenti
Decarbonizzazione, 4,8 miliardi di euro per progetti cleantech
Formazione
Le politiche di Coesione UE, un corso gratuito online per professionisti e giornalisti
Interviste
L’ecosistema della ricerca e dell’innovazione dell’Emilia-Romagna
Interviste
La ricerca e l'innovazione in Campania: l'ecosistema digitale
Iniziative
Settimana europea delle regioni e città: un passo avanti verso la coesione
Iniziative
Al via il progetto COINS
Eventi
Un nuovo sguardo sulla politica di coesione dell'UE
Iniziative
EuroPCom 2024: innovazione e strategia nella comunicazione pubblica europea
Iniziative
Parte la campagna di comunicazione COINS
Interviste
Marco De Giorgi (PCM): “Come comunicare le politiche di coesione”
Analisi
La politica di coesione europea: motore della transizione digitale in Italia
Politiche UE
Il dibattito sul futuro della Politica di Coesione
Mobilità Sostenibile
L’impatto dei fondi di coesione sul territorio: un’esperienza di monitoraggio civico
Iniziative
Digital transformation, l’Emilia-Romagna rilancia sulle comunità tematiche
Politiche ue
Fondi Coesione 2021-27: la “capacitazione amministrativa” aiuta a spenderli bene
Finanziamenti
Da BEI e Banca Sella 200 milioni di euro per sostenere l’innovazione di PMI e Mid-cap italiane
Analisi
Politiche di coesione Ue, il bilancio: cosa ci dice la relazione 2024
Politiche UE
Innovazione locale con i fondi di coesione: progetti di successo in Italia

Articoli correlati