La cordata digitale per salvare l’Italia, al Forum Pa 2016

E’ forte la consapevolezza di aziende pubbliche e private che “stavolta si muore”, se non facciamo le grandi riforme digitali, come detto dal dg dell’Agenzia per l’Italia Digitale Antonio Samaritani a Forum PA. Gli attori condividono anche le linee generali del piano per riuscirci. Adesso la sfida per metterlo in atto. L’innovazione PA può salvare il Paese, come ribadito dal ministro Padoan, verso una economia 4.0

Pubblicato il 27 Mag 2016

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Un gruppo di persone che cammina su un ciglio scopre di colpo che può fare cordata. Che solo così si può salvare dal baratro. La direzione è chiara, ma non sappiamo bene cosa ci aspetta sul percorso né i passi esatti per procedere. Possiamo riassumere con questa immagine lo stato dell’Agenda Digitale, come strumento per salvare il Paese dalla crisi, a quanto emerso da Forumpa 2016. L’immagine trae spunto da una spunto di Antonio Samaritani, dg dell’Agenzia per l’Italia Digitale, il 25 mattina: “per prima cosa, chiediamoci che cosa succede se non facciamo queste cose. Stavolta si muore”, ha detto. E che cosa bisogna fare? Passare da un modello artigianale- che finora c’è stato- di amministrazione digitale a uno “industriale”, come detto da Samaritani. Grazie a un piano triennale che dovrebbe vedere la luce nel corso dell’estate, per definirsi entro l’anno, forte della firma del Presidente del Consiglio (come annunciato a Forum Pa).

Sullo stato dell’arte dell’Agenda abbiamo già scritto.

A Forum Pa, con il confronto di soggetti pubblici e privati, si è arrivati a una consapevolezza ulteriore. Il processo di digitalizzazione ormai si può avvalere della consapevolezza da parte del settore pubblico e di quello privato che si può e si deve andare nella stessa direzione con un progetto comune e condiviso. La necessità è quella di ottenere rapidamente dei risultati, pur sapendo che la profonda trasformazione richiesta, organizzativa e culturale, richiede tempi adeguati.

Padoan e Rangone a Forumpa

D’altra parte, e lo dicono i principali indicatori internazionali come il DESI della Commissione Europea, il ritardo dell’Italia è notevole e questa rappresenta davvero, come ha ricordato Samaritani, l’ultima occasione per far sì che il nostro Paese non diventi un paese soltanto “consumatore” digitale, ma che anzi conservi e magari sviluppi il carattere di “produttore”.

Nell’ultimo anno i progressi sono stati certamente significativi, soprattutto se paragonati ai periodi precedenti, e i risultati visibili anche sul sito di monitoraggio di Agid lo testimoniano, e in alcune aree (fatturazione elettronica, pagamenti elettronici) si è già passati dalla fase “artigianale” ad una industriale, di messa a regime. In alcune aree chiave (Spid, Anpr, usabilità) siamo invece ancora alla prima fase, e questo rende lo sviluppo, come ha sottolineato il presidente di FPA Carlo Mochi Sismondi, “ancora fragile e vulnerabile”.

Certo, adesso uno degli ingredienti che nel passato mancava, una volontà politica costante e determinata, adesso sembra essere presente, come ha sottolineato Paolo Coppola, consigliere della ministra Madia sull’agenda digitale. Anche se è ancora necessario “potenziare gli strumenti di monitoraggio e controllo per guidare meglio il cambiamento della macchina amministrativa con la rapidità che vogliamo”. Perché questa è prima di tutto una trasformazione organizzativa con le persone al centro, le tecnologie sono di supporto, ma non sono il focus dell’intervento.

Così il tema non è tecnologico: questa che si sta costruendo è un’infrastruttura di cittadinanza digitale che deve incorporare regole di non discriminazione e di apertura, e in questo senso essere infrastruttura democratica.

D’altra parte, questo sforzo strategico non può che essere affiancato da una programmazione equivalente a livello locale, un vero e proprio programma triennale digitale (come detto da Alessandro Delli Noci, Anci), che parta però dalla mappa dei servizi comunali (che ancora non c’è) e da un’attenzione specifica verso l’acquisizione di competenze digitali, e l’inserimento di professionisti ICT nell’amministrazione. Con un approccio che a livello regionale è stato avviato già dal 2014 e adesso si sta sviluppando con la commissione speciale sull’agenda digitale (come detto da Dimitri Tartari, della Conferenza delle Regioni). Un nodo è certamente l’integrazione dei dati, necessaria per lo sviluppo dei servizi digitali e dalle enormi potenzialità, come mostra anche il sistema EasyCar di Aci con benefici anche importanti sul fronte, ad esempio, dell’evasione fiscale.

E l’apertura e l’interesse degli stakeholder privati c’è sicuramente, in alcuni casi anche con la disponibilità di finanziare dei progetti pilota che poi possono diventare base per la successiva “industrializzazione” (ha detto HP) o di mettere in campo investimenti specifici per le competenze digitali (Cisco), sapendo che la convergenza fisico-digitale può essere utilmente supportata anche dalle iniziative private (Poste, Sisal, forti di una propria rete di sportelli) e che in fin dei conti la scommessa è sulla semplificazione “la digitalizzazione funziona se migliora la qualità dei servizi dei cittadini” (Sisal).

Gli ingredienti suggeriti dai privati sono di vario tipo, dall’attenzione alle competenze operazionali e alla costruzione della fiducia anche pensando ad una cybersecurity trasversale (come detto da Leonardo-Finmeccanica), alla necessità di fluidificare l’interazione tra amministrazione e cittadini, puntando sull’aggregazione della domanda attraverso i servizi cloud (Hp). Perché il cloud è uno strumento di innovazione potentissimo, ha detto IBM), dalla necessità di una collaborazione a 360° tra università e amministrazioni (Emc), all’importanza di una definizione strategica a breve del modello di sostenibilità degli ecosistemi (Cisco), così come anche concepire switch-off verso il digitale e definire più in profondità le modalità di sviluppo Spid verso il mercato privato (TIM).

Ma per lo sviluppo di una rete di sistema che sostenga la crescita digitale, è necessario mettere mano alla definizione della regolamentazione per le partnership pubblico-private (Poste).

Questa trasformazione necessaria, che così si è avviata, e che vede gli attori pubblici e privati nella stessa cordata ma ancora con qualche titubanza da superare e qualche consapevolezza da acquisire (anche per lanciarsi con maggiore determinazione sulla costruzione di servizi che si inquadrino nel nuovo modello strategico e prima di tutto correlati con Spid), ha però un vulnus di base, che anche il Consiglio di Stato ha stigmatizzato nella valutazione del nuovo Cad: non ci può essere innovazione a costo zero. Certamente deve avere un ROI positivo, ma un ROI sottende la presenza di investimenti (come ribadito da Carlo Mochi Sismondi) e di un periodo di tempo utile perché possano trasformarsi in benefici misurabili e quantificabili.

E questa scelta rappresenta, nel concreto, la presenza consapevole della volontà di cambiamento.

Di fondo, c’è la consapevolezza- ormai chiara anche da parte della politica, che cambiare la PA non serve solo ai conti dello Stato e alla qualità dei servizi al cittadino, ma anche a lanciare una economia 4.0. A inaugurare insomma un nuovo ciclo economico, anche per l’Italia, come affermato dal ministro dell’economia Pier Carlo Padoan e rafforzato- allo stesso tavolo, di Forum Pa- da Andrea Rangone, fondatore degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano e Ceo di Digital360.

Ha collaborato Nello Iacono

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