Un gruppo di persone che cammina su un ciglio scopre di colpo che può fare cordata. Che solo così si può salvare dal baratro. La direzione è chiara, ma non sappiamo bene cosa ci aspetta sul percorso né i passi esatti per procedere. Possiamo riassumere con questa immagine lo stato dell’Agenda Digitale, come strumento per salvare il Paese dalla crisi, a quanto emerso da Forumpa 2016. L’immagine trae spunto da una spunto di Antonio Samaritani, dg dell’Agenzia per l’Italia Digitale, il 25 mattina: “per prima cosa, chiediamoci che cosa succede se non facciamo queste cose. Stavolta si muore”, ha detto. E che cosa bisogna fare? Passare da un modello artigianale- che finora c’è stato- di amministrazione digitale a uno “industriale”, come detto da Samaritani. Grazie a un piano triennale che dovrebbe vedere la luce nel corso dell’estate, per definirsi entro l’anno, forte della firma del Presidente del Consiglio (come annunciato a Forum Pa).
Sullo stato dell’arte dell’Agenda abbiamo già scritto.
A Forum Pa, con il confronto di soggetti pubblici e privati, si è arrivati a una consapevolezza ulteriore. Il processo di digitalizzazione ormai si può avvalere della consapevolezza da parte del settore pubblico e di quello privato che si può e si deve andare nella stessa direzione con un progetto comune e condiviso. La necessità è quella di ottenere rapidamente dei risultati, pur sapendo che la profonda trasformazione richiesta, organizzativa e culturale, richiede tempi adeguati.
D’altra parte, e lo dicono i principali indicatori internazionali come il DESI della Commissione Europea, il ritardo dell’Italia è notevole e questa rappresenta davvero, come ha ricordato Samaritani, l’ultima occasione per far sì che il nostro Paese non diventi un paese soltanto “consumatore” digitale, ma che anzi conservi e magari sviluppi il carattere di “produttore”.
Nell’ultimo anno i progressi sono stati certamente significativi, soprattutto se paragonati ai periodi precedenti, e i risultati visibili anche sul sito di monitoraggio di Agid lo testimoniano, e in alcune aree (fatturazione elettronica, pagamenti elettronici) si è già passati dalla fase “artigianale” ad una industriale, di messa a regime. In alcune aree chiave (Spid, Anpr, usabilità) siamo invece ancora alla prima fase, e questo rende lo sviluppo, come ha sottolineato il presidente di FPA Carlo Mochi Sismondi, “ancora fragile e vulnerabile”.
Certo, adesso uno degli ingredienti che nel passato mancava, una volontà politica costante e determinata, adesso sembra essere presente, come ha sottolineato Paolo Coppola, consigliere della ministra Madia sull’agenda digitale. Anche se è ancora necessario “potenziare gli strumenti di monitoraggio e controllo per guidare meglio il cambiamento della macchina amministrativa con la rapidità che vogliamo”. Perché questa è prima di tutto una trasformazione organizzativa con le persone al centro, le tecnologie sono di supporto, ma non sono il focus dell’intervento.
Così il tema non è tecnologico: questa che si sta costruendo è un’infrastruttura di cittadinanza digitale che deve incorporare regole di non discriminazione e di apertura, e in questo senso essere infrastruttura democratica.
D’altra parte, questo sforzo strategico non può che essere affiancato da una programmazione equivalente a livello locale, un vero e proprio programma triennale digitale (come detto da Alessandro Delli Noci, Anci), che parta però dalla mappa dei servizi comunali (che ancora non c’è) e da un’attenzione specifica verso l’acquisizione di competenze digitali, e l’inserimento di professionisti ICT nell’amministrazione. Con un approccio che a livello regionale è stato avviato già dal 2014 e adesso si sta sviluppando con la commissione speciale sull’agenda digitale (come detto da Dimitri Tartari, della Conferenza delle Regioni). Un nodo è certamente l’integrazione dei dati, necessaria per lo sviluppo dei servizi digitali e dalle enormi potenzialità, come mostra anche il sistema EasyCar di Aci con benefici anche importanti sul fronte, ad esempio, dell’evasione fiscale.
E l’apertura e l’interesse degli stakeholder privati c’è sicuramente, in alcuni casi anche con la disponibilità di finanziare dei progetti pilota che poi possono diventare base per la successiva “industrializzazione” (ha detto HP) o di mettere in campo investimenti specifici per le competenze digitali (Cisco), sapendo che la convergenza fisico-digitale può essere utilmente supportata anche dalle iniziative private (Poste, Sisal, forti di una propria rete di sportelli) e che in fin dei conti la scommessa è sulla semplificazione “la digitalizzazione funziona se migliora la qualità dei servizi dei cittadini” (Sisal).
Gli ingredienti suggeriti dai privati sono di vario tipo, dall’attenzione alle competenze operazionali e alla costruzione della fiducia anche pensando ad una cybersecurity trasversale (come detto da Leonardo-Finmeccanica), alla necessità di fluidificare l’interazione tra amministrazione e cittadini, puntando sull’aggregazione della domanda attraverso i servizi cloud (Hp). Perché il cloud è uno strumento di innovazione potentissimo, ha detto IBM), dalla necessità di una collaborazione a 360° tra università e amministrazioni (Emc), all’importanza di una definizione strategica a breve del modello di sostenibilità degli ecosistemi (Cisco), così come anche concepire switch-off verso il digitale e definire più in profondità le modalità di sviluppo Spid verso il mercato privato (TIM).
Ma per lo sviluppo di una rete di sistema che sostenga la crescita digitale, è necessario mettere mano alla definizione della regolamentazione per le partnership pubblico-private (Poste).
Questa trasformazione necessaria, che così si è avviata, e che vede gli attori pubblici e privati nella stessa cordata ma ancora con qualche titubanza da superare e qualche consapevolezza da acquisire (anche per lanciarsi con maggiore determinazione sulla costruzione di servizi che si inquadrino nel nuovo modello strategico e prima di tutto correlati con Spid), ha però un vulnus di base, che anche il Consiglio di Stato ha stigmatizzato nella valutazione del nuovo Cad: non ci può essere innovazione a costo zero. Certamente deve avere un ROI positivo, ma un ROI sottende la presenza di investimenti (come ribadito da Carlo Mochi Sismondi) e di un periodo di tempo utile perché possano trasformarsi in benefici misurabili e quantificabili.
E questa scelta rappresenta, nel concreto, la presenza consapevole della volontà di cambiamento.
Di fondo, c’è la consapevolezza- ormai chiara anche da parte della politica, che cambiare la PA non serve solo ai conti dello Stato e alla qualità dei servizi al cittadino, ma anche a lanciare una economia 4.0. A inaugurare insomma un nuovo ciclo economico, anche per l’Italia, come affermato dal ministro dell’economia Pier Carlo Padoan e rafforzato- allo stesso tavolo, di Forum Pa- da Andrea Rangone, fondatore degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano e Ceo di Digital360.
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Ha collaborato Nello Iacono