Agenzia per l'Italia digitale

La difficile quadra dell’Agenzia: i timori di Gentiloni, Palmieri, Sacco

Il direttore deve avere un ruolo forte, ma ci sono troppi referenti in ballo, che potrebbero rallentare le decisioni. Laddove invece bisogna agire in fretta. I pareri di tre esperti

Pubblicato il 21 Set 2012

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“E’ positivo di per sé che nasca l’Agenzia per l’Italia Digitale- dimostra l’attenzione del governo a questo tema- ma è evidente che l’Agenzia risente almeno in parte dello stesso limite che è emerso nelle attività della cosiddetta Cabina di regia”. Paolo Gentiloni (PD), ex ministro alle Comunicazioni, ha timori condivisi da molti, proprio nei giorni in cui il governo è a caccia di un necessario direttore per l’Agenzia. “E cioè temo che non ci sia una sufficiente scelta di dove sia il cuore decisionale di questo processo. Il rischio di questa Agenzia è che la sua attività sia un po’ troppo frenata da una molteplicità di referenti politici. Ne deriverebbe una lentezza decisionale”, continua Gentiloni. “Non ci troviamo di fronte alla nascita di una nuova Authority indipendente, autonoma dal governo. Questa è un’agenzia governativa. Uno strumento del governo. Allora sarebbe bene che avesse come referenti politici soggetti non troppo diversificati. L’auspicio è che la guida sia forte. C’è tutto da fare: uffici, dipendenti, mission, budget. Chi arriverà dovrà costruirsi da zero l’Agenzia…”, argomenta.

Gentiloni è uno dei promotori anche della proposta di legge bipartisan sull’agenda digitale, al momento in stand by in attesa del decreto. Il ruolo della proposta è fare da benchmark per il decreto, segnando insomma le misure che- secondo numerosi esponenti parlamentari- ci dovrebbero essere nella norma finale.

“Non un professore, ma una personalità forte in grado di fare parlare interlocutori diversi e possieda una cultura trasversale, di rottura con la Pubblica amministrazione”: anche Francesco Sacco, docente della Bocconi, vuole una figura dirompente a capo dell’Agenzia. Sacco fa anche un nome, Salvo Mizzi, ed è l’unico a sbilanciarsi in questo modo. Fra i “tecnici” interpellati dal nostro sito si raccolgono cortesi, ma fermi rifiuti a sbottonarsi. “Li conosco tutti i possibili candidati, per questo preferisco tenermi fuori” è la risposta standard. E anche i politici non vogliono bruciare un nome anche se Antonio Palmieri del Popolo della libertà è un po’ più loquace. “No, il nome non lo faccio. Il governo ha attivato la procedura e tocca loro decidere. In questo momento non fare nomi mi sembra un atteggiamento responsabile”.

Poi aggiunge: “La persona nominata sarà una sorta di zar del digitale con un compito molto difficile. Dovrà riassumere una molteplicità di competenze di natura tecnica e politica. Possedere conoscenze tecnologiche e districarsi nel sistema pubblico. In più dovrà misurarsi con la fusione delle agenzie precedenti un pro cesso simile alla fusione tra imprese”. Un compito troppo grande forse per una persona sola tanto che l’onorevole del Pdl ricorda di avere presentato un emendamento, bocciato, nel quale chiedeva “di rendere meno sola la figura del direttore. “Immaginavo un presidente di un consiglio d’amministrazione affiancato da un pacchetto di competenze condivise. Ma è stato deciso in altro modo”.

Competenza tecnologica, politica e capacità di gestire le fusioni fra le agenzie sono le capacità richieste da Palmieri contrario a un eventuale spoil system con la figura del direttore che cambia quando muta la compagine governativa. “Bisogna dargli il tempo di lavorare e costruire la sua squadra per creare la macchina”.

Già: è con questi desiderata che il mondo degli esperti guarda ora, in trepidazione, la nascita dell’Agenzia. Che rischia di essere il tassello più debole di tutta la struttura in via di costruzione.

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