Nel 1995, l’allora azienda pubblica Telecom Italia lanciava il Piano Socrate (Sviluppo Ottico Coassiale Rete Accesso Telecom): un progetto molto ambizioso per il tempo, con cui si intendeva cablare in fibra le 19 maggiori città con velocità di accesso che per l’epoca erano considerate elevate (1.5 Mb di velocità in download e 64 kb in upload) ed in grado comunque di abilitare la diffusione di servizi a banda larga come la televisione via cavo e altri servizi interattivi. L’investimento inizialmente previsto era di circa 13.000 miliardi di lire (equivalenti a circa 6,7 miliardi di euro), di cui 5.000 effettivamente spesi. Nel 1997, Socrate veniva abbandonato a seguito della privatizzazione di Telecom Italia (ora TIM) e dell’affermarsi della tecnologia ADSL in grado di sfruttare la capillare rete telefonica in rame realizzata durante il periodo di monopolio pubblico.
Il mancato scorporo della rete da un lato e la scelta – legittima solo in un’ottica di massimizzazione dei profitti – del quasi-monopolista privato di utilizzare la tecnologia ADSL/doppino in rame fino a farla diventare il “cash cow” aziendale, ha condizionato per i successivi 20 anni il modello italiano di sviluppo della banda larga, degli altri operatori di telecomunicazione nonché dei fornitori di servizi digitali a valore aggiunto. L’Italia e gli stessi operatori sono caduti quindi in quella che definiamo la “trappola del rame” e dalla quale faticosamente si sta tentando di uscire grazie al piano approvato dal Governo nel 2015 (Strategia Italiana per la banda ultralarga). La Strategia intende coprire, entro il 2020, l’85% della popolazione con infrastrutture in grado di veicolare servizi a velocità pari e superiori a 100Mbps garantendo, al contempo, al 100% dei cittadini l’accesso alla rete internet ad almeno 30Mbps. La strategia si integra con quella dell’Unione Europea (EU 2020) la quale richiede anche che entro il 2020 il 5G sia disponibile in almeno una città principale di ciascun Stato membro.
Ricordiamo anche che la strategia per la European Gigabit Society – 2025 fissa come obiettivi la disponibilità di una connessione gigabit per i settori a maggiore impatto socio-economico, la connessione ad almeno 100 Mbps in tutte le abitazioni ed il 5G disponibile in tutte le aree urbane e lungo le principali arterie di trasporto.
Prima di passare ad analizzare le prospettive di sviluppo, occorre fotografare lo stato dell’arte anche grazie ai dati forniti dall’AGCOM nel recente Osservatorio sulle comunicazioni n. 1/2018.
Il punto sulla fibra ottica
Il numero di accessi di rete fissa continua a crescere, mantenendo il trend per il quinto trimestre consecutivo per cui, su base annua, la crescita complessiva è pari a circa 430 mila linee con TIM che perde circa 240 mila linee e gli altri operatori ne guadagnano oltre 670 mila. Continua il trend di riduzione degli accessi attraverso la rete in rame di TIM: -13,6% di accessi su base annua e si rafforza la posizione delle imprese legate all’offerta di servizi Fixed Wireless Access (FWA) che superano il milione (+ 23,6% su base annua). In generale, le linee ADSL diminuiscono di 1,3 milioni unità, attestandosi su un valore di 10,89 milioni di unità, mentre gli accessi broadband che utilizzano altre tecnologie (5,69 milioni a dicembre 2017) sono aumentati in un anno di 2,33 milioni di unità, e ormai arrivano a rappresentare oltre un terzo delle linee broadband complessive. Gli accessi broadband sfiorano i 16,6 milioni di unità, con un aumento su base annua superiore al milione di linee, mentre l’aumento su base trimestrale è pari a 260 mila linee. Su base annua, aumentano di circa 1,37 milioni di unità le linee in fibra (grazie a TIM e alla crescente presenza wholesale di Open Fiber).
Nel complesso, a dicembre 2017, oltre i due terzi delle linee a larga banda sono commercializzate con velocità pari o superiore a 10 Mbit/s e le linee con velocità pari o superiore a 30 Mbit/s hanno superato i 4,5 milioni di accessi. Gli accessi con velocità compresa tra 10 e 30 Mbit/s sono aumentati di 410 mila unità, superando i 6,6 milioni di accessi, in flessione, in termini percentuali, rispetto ai tre trimestri precedenti, a conferma della graduale migrazione su classi di velocità superiori. Gli accessi con velocità inferiore a 10 Mbps, sono diminuiti di quasi 1,6 milioni, riducendosi ad un terzo del totale.
Se si passa ad osservare i dati della rete mobile emerge che, su base annua, le linee complessive hanno registrato un aumento di 2,0 milioni di unità superando la soglia dei 100 milioni di sim attive. Nello stesso periodo, le sim M2M (machine to machine) sono aumentate di 4,1 milioni di unità, a fronte di una riduzione di 2,1 milioni di sim “solo voce” e “voce + dati”. Negli ultimi cinque anni, la consistenza delle sim M2M è passata da 6,0 milioni a 16,3 milioni (pari attualmente al 19,4% delle linee “human”).
Questo quadro potrebbe invitare ad un ottimismo che però deve essere ancora molto cauto, soprattutto se si esce dai confini nazionali e ci si confronta con gli indicatori europei. Se da un lato infatti, nel 2016 la copertura della banda larga in Europa era del 97,5%, ovvero al di sotto di quella italiana pari al 99,3%, la percentuale di abitazioni connesse alla banda larga in Italia è del 79% (sebbene aumentata dal 55% del 2012) a fronte di una media europea dell’85% (spiccano Finlandia 98%, Svezia 97% e Regno Unito 93%).
Il Digital Economy and Society Index (DESI), che sintetizza 5 macro indicatori (connettività, capitale umano, uso di Internet, integrazione di tecnologie digitali, servizi pubblici digitali) ci vede al quart’ultimo posto con 42 punti su 100 contro la media europea di 52 e avanti solo a Grecia, Bulgaria e Romania.
Tale dato è pesantemente influenzato dai parametri relativi alla connettività ed all’uso di Internet, che ci collocano sempre in penultima posizione rispetto alla media europea e rendono faticosa la riduzione del gap digitale.
La necessità di una rete in fibra diffusa
La giustificazione addotta da molti rispetto al ritardo nello sviluppo di banda larga ed ultra-larga risiede proprio nella domanda bassa (e offerta) di servizi digitali nonché nella scarsa cultura digitale del popolo italiano. Sul primo punto, piace ricordare il dibattito del dopoguerra sull’opportunità di realizzare la rete autostradale italiana stante lo scarso (allora) numero di automobili. Ebbene, è fatto incontrovertibile che il network autostradale abbia contribuito allo sviluppo economico del post-dopoguerra basato sulla mobilità di merci e persone contribuendo esso stesso allo sviluppo di domanda ed offerta. Similmente, l’Italia necessita di un network di trasmissione dati capace di supportare processi e servizi dell’economia digitale e stimolare la competitività del Paese. A supporto di questa posizione ci sono diversi studi effettuati negli ultimi anni, che evidenziano il ruolo di stimolo su economia, società ed occupazione delle reti di comunicazione ad alta velocità. La Deutsche Bank e la Commissione Europea concordano, sulla base di studi econometrici, che l’aumento del 10% nella penetrazione della banda larga è in grado di produrre un incremento tra l’1 e l’1,5 per cento del Prodotto Interno Lordo su base annua. Uno studio dell’OCSE individua invece una correlazione positiva tra gli incrementi nella velocità di accesso ed il reddito disponibile delle famiglie.
A breve, con lo sviluppo del 5G, avremo a disposizione una rete che non solo assicurerà molta più velocità di connessione per secondo, ma soprattutto garantirà latenze ridotte a pochi millisecondi. Tutto questo permetterà di navigare con grande efficienza ed a grande velocità alla generalità degli utenti delle aree urbane più sovraffollate, ma anche di farlo in mobilità su treni superveloci, e soprattutto di dialogare da remoto con i più diversi dispositivi (robot, droni, auto, dispositivi medici, elettrodomestici, ecc.). Ma anche il 5G si servirà dell’infrastruttura cablata in banda larga ultraveloce.
La banda ultralarga fungerà quindi da fattore abilitante di servizi legati all’internet delle cose (IoT – Internet of Things) per i quali IDC stima che nel 2018 saranno spesi 772,5 miliardi di dollari, il 14,6% in più rispetto al 2017. Vale quindi la pena ricordare come lo smart home costituisca il traino per lo sviluppo dell’IoT, soprattutto per la gestione remota di allarmi, elettrodomestici e impianti di riscaldamento ma anche come i servizi Machine To Machine diventeranno lo standard per il controllo remoto di Smart Grid, dei treni ad alta velocità o la chirurgia e monitoraggio a distanza dei pazienti.
Da non dimenticare inoltre che l’automazione industriale e la cosiddetta Industria 4.0 richiedono crescenti volumi di dati real time così come tutti i servizi classificabili come mission critical o i veicoli a guida autonoma che presto circoleranno sulle nostre strade.
Per chiudere questo elenco non esaustivo dei servizi che necessitano della banda ultralarga non dimentichiamo il gaming, la realtà virtuale ed aumentata sia per l’intrattenimento avanzato che per la produzione industriale.
La necessità di nuovi modelli
L’evoluzione tecnologica che stiamo osservando sta modificando anche la struttura del mercato costringendo provider di accesso e fornitori di servizi a valore aggiunto a rivedere i modelli di business anche in base alle modificazioni nel comportamento dei propri clienti. Se da un lato l’incumbent ed alcuni grandi operatori stanno orientando la propria strategia al mercato wholesale, dall’altra gli operatori di medie e piccole dimensioni stanno cercando di capire come sfruttare al meglio questa fase di crescita per posizionarsi al meglio in un mercato molto stratificato.
Assume quindi un ruolo determinante l’adozione di una regolazione che sappia farsi carico degli obiettivi fissati dalla Commissione (quindi certamente la connettività, parallelamente agli altri obiettivi), promuovendo soluzioni armonizzate a livello europeo ma al contempo preservando caratteristiche di indipendenza e la nostra capacità di intervenire sui mercati tenendo conto delle specificità del Paese. Questo articolo viene scritto in una fase di grande incertezza politica; l’auspicio è che questa incertezza non provochi un rallentamento nell’attuazione del piano di investimenti nella ultra broadband, nell’adozione di strumenti regolatori che favoriscano crescita e competitività e che si torni presto avere nuovamente una visione dello sviluppo di lungo termine così come era avvenuto nel 1995.