Il piano del ministero alla Coesione territoriale, per la programmazione dei fondi UE 2014-2020, non punta a una strategia del digitale. Possiamo dirlo per tre motivi.
- Non assegna fondi europei alle reti, cioè alla banda ultra larga. A questo assegna solo fondi statali (una quota non precisata dei 54 miliardi dei fondi sviluppo e coesione) e solo dal 2017 (perdiamo tre anni nella pianificazione delle nuove reti, si veda tabella sotto); inoltre i fondi statali sono spesso effimeri e certo meno sicuri di quelli europei. Considerando che il piano strategico banda ultra larga è stato sviluppato con successo dal piano azione e coesione dell’ex ministro Barca per accelerare la spesa dei fondi europei a rischio di disimpegno, certamente tali infrastrutture garantiscono una spesa una canteriabilità immediata entro i tempi della prossima programmazione. Non sono pertanto assimilabili alle infrastrutture tradizionali.
- Comunque non dà abbastanza risorse all’Agenda digitale, rispetto ai 10 miliardi di euro richiesti- sui fondi europei- dall’Agenzia per l’Italia digitale. Ad oggi ci sono 3,6 miliardi di euro per “accesso alle tecnologie digitali” (si legge nella bozza della programmazione, a metà forniti dall’Europa e a metà dallo Stato), cioè sostanzialmente eGov. Circa 500 milioni per l’Ict come fattore di competizione delle imprese e altri 500 milioni per l’inclusione digitale. Ci sono più soldi per la pesca che per il digitale!
- Scherzi a parte (sulla pesca), più in generale, assegna fondi senza un piano organico, ma con cose slegate tra loro e dal resto dello sviluppo economico. Quindi, la programmazione sembra investire sul digitale senza aver bene capito che cosa è davvero quello su cui investe: una “riforma dello Stato”, trasversale, come aveva detto il premier Letta.
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(testo raccolto da Alessandro Longo)