l'analisi

La separazione delle reti telecom in Europa: verso nuovi modelli di business

Il tema della separazione delle reti di telecomunicazione torna in auge, ma il modello di riferimento, come previsto anche nel nuovo codice delle comunicazioni elettroniche Ue, è cambiato e potrebbe aprire nuovi interessanti scenari per il mercato, anche in ottica 5G. Facciamo il punto

Pubblicato il 06 Mag 2019

Innocenzo Genna

giurista specializzato in diritto e policy europee del digitale

comunicazione_spinoff

Mentre negli Usa si cominciano a prefigurare piani per ridurre lo strapotere delle grandi web company (da Google a Amazon), in Europa si fa strada un nuovo modello di separazione delle reti di telecomunicazione – il cosiddetto “modello utility” – che trova una sponda anche nel nuovo Codice europeo delle comunicazioni elettroniche e rappresenta una attraente opportunità di business.

Nuovi scenari potrebbero presto delinearsi all’orizzonte del mercato tlc, con l’ingresso di nuovi player (come i fornitori di contenuti) e l’avvio di una nuova e più proficua era di fusioni. Un trend che potrebbe investire (con le dovute riserve) anche il mercato 5G e che andrebbe comunque attentamente valutato dalle autorità di settore (Agcom e Agcm per l’Italia).

Facciamo il punto sul dibattito in corso su entrambe le sponde dell’Oceano e sulle possibili ripercussioni anche per il mercato italiano, dove è tornato ad accendersi il confronto sulla possible separazione della rete TIM.

Ridimensionare le imprese dominanti, dalle telco agli OTT

Il tema di come arginare il potere delle imprese dominanti nel settore delle comunicazioni è recentemente tornato in auge con l’intervento della democratica americana Elizabeth Warren, che ha prefigurato un piano per ridimensionare le grandi tech (Google, Facebook, Amazon ecc) al fine di contenerne lo strapotere economico. Se un tale progetto venisse attuato non si tratterebbe della prima volta in America, visto che un piano simile fu perseguito negli anni ‘80 con lo smantellamento di AT&T e la creazione delle cosiddette Baby Bells.

Si trattò di un’operazione gigantesca, che abbatté il valore di AT&T del 70% rimodellando il mercato americano delle telecomunicazioni. In attesa di sapere come proseguirà il dibattito negli Stati Uniti, esaminiamo come il tema del contenimento degli operatori dominanti nel settore delle comunicazioni si è invece sviluppato nell’ottica europea.

L’Ue e la separazione delle reti telecom

In Europa il tema riguarda sostanzialmente le telecom, e si è normalmente posto in maniera diversa rispetto agli Stati Uniti: più che ridimensionare la dominanza economica, si è pensato invece di agire sull’integrazione verticale dell’incumbent per diminuire gli effetti di potenziali abusi e discriminazioni. Così, nella normativa europea del 2009 fu inserita una norma sulla separazione “funzionale”, mirante a separare, all’interno dell’azienda dominante, le funzioni wholesale da quelle retail.

La norma, ispirata al pre-esistente modello della separazione di BT ed OpenReach nel Regno Unito, non ha però mai conosciuto significative applicazioni pratiche, benché il caso degli impegni di TIM (del 2008) con la creazione della divisione separata Open Access presenti forti affinità. La Commissione europea, rappresentata all’epoca dalla battagliera Viviane Reding (quella del roaming e del GDPR) dovette però rinunciare all’opzione “nucleare”: la separazione vera e propria, e cioè strutturale e societaria, dell’incumbent. Verso questo tipo di rimedio regolamentare vi era troppa ostilità da parte dei grandi paesi, in particolare Francia e Germania. Alla fine tale tipo di separazione fu inserita nel framework europeo, ma solo come “volontaria”, e cioè come atto unilaterale dell’incumbent (normalmente in cambio di una qualche deregolamentazione del settore).

Anche in questo caso non vi furono però significative applicazioni pratiche, a parte la Svezia, dove Telia nel 2008 ha separato la rete creando la newco Skanova, salvo poi ripensarci qualche anno più tardi. Un’operazione del genere è ora in corso nel Regno Unito, dove Ofcom, grazie ai suoi super-poteri (di gran lunga superiori a quelli degli altri regolatori europei) ha convinto BT ad acconsentire alla separazione societaria di Open Reach. Il processo è in fase avanzata ma, particolare di rilievo, la separazione riguarda il personale di Open Reach e gli asset non-network, mentre la rete resta di proprietà di BT.

Il nuovo Codice europeo delle comunicazioni elettroniche

Il nuovo Codice europeo (adottato lo scorso dicembre 2018 e che sarà implementato dagli Stati europei entro la fine del 2020) non ha previsto un rimedio regolamentare sulla separazione societaria delle reti delle telecom dominanti, mentre sono state mantenute le vecchie norme sulla separazione funzionale e su quella volontaria.

Rispetto al 2009, questa volta non vi è stata neppure battaglia, poiché il tema della separazione della rete per via regolamentare, e quindi in qualche modo “punitiva”, ha perso interesse presso governi e regolatori europei. La ragione di tale diminuito interesse sta nel fatto che la separazione societaria costituisce un’opzione molto difficile da implementare nei confronti di imprese ostili, e per lo più quotate; si tratta infatti di separare non aziende, ma funzioni aziendali, pertanto i confini tra wholesale e retail sono difficili da tracciare in mancanza di cooperazione da parte del management.

Il modello utility: la separazione della rete come opportunità

Nel frattempo il tema della separazione delle reti telecom ha cominciato a farsi strada in Europa anche in altro modo. Abbandonata l’idea del rimedio regolamentare, come nel caso della separazione societaria, o della deregolamentazione negoziata, come nel caso della separazione volontaria, in alcuni paesi la separazione della rete è invece emersa come opportunità di business.

In Repubblica Ceca e in Danimarca gli incumbent locali hanno proceduto allo spin-off della rete sulla base di considerazioni soprattutto finanziarie. Infatti, con la separazione della rete si crea un asset distinto all’interno dell’intero business telecom, con l’obiettivo di renderlo più lineare ed interessante per gli investitori: una mera rete di telecomunicazioni, indipendente dal retail, risulta essere un business simile a quello delle utility (energia, gas, trasporti, acqua), per lo più con ritorni ragionevolmente certi e definiti nel lungo periodo. Non è un caso che i due operatori coinvolti, rispettivamente CETIN in Cechia e TDC in Danimarca, siano controllati da fondi d’investimento, cioè da investitori che hanno una lunga esperienza ed un approccio favorevole al finanziamento delle utility.

Separazione della rete telecom e wholesale-only

Questo nuovo corso della separazione delle reti telecom sembrerebbe trovare una sponda nel nuovo Codice europeo delle comunicazioni elettroniche, il cui articolo 80 prevede un regime regolatorio agevolato per gli operatori “wholesale-only”, cioè operanti esclusivamente reti ed assenti dal settore retail. Questo regime agevolato si basa sul presupposto che tale genere di operatori sia spontaneamente incentivato a fornire servizi di accesso senza discriminazioni ed abusi; inoltre, la Commissione ritiene che tale tipo di operatori costituisca un naturale veicolo d’investimento per i fondi infrastrutturali.

Senonché, al momento la norma europea non potrebbe essere invocata da CETIN e TDC per ottenere, con la separazione delle reti, un dividendo regolamentare, e cioè una parziale deregolamentazione del mercato, perché l’art. 80 del Codice europeo richiede la perdita del controllo della rete telecom da parte dell’incumbent retail. In effetti, CETIN e TDC tutt’ora mantengono pieno controllo delle rispettive reti, benché separate con lo spin-off. Pertanto, finché le circostanze non cambieranno non si potrà in alcun modo discutere se il regime agevolato di cui all’art. 80 del Codice possa applicarsi o meno.

Separazione delle reti come anticamera di un nuovo modello di business

Se il modello della separazione delle reti dovesse effettivamente svilupparsi (eventualmente con la variante del wholesale-only) anche grazie all’interesse crescente degli investitori infrastrutturali, il mondo telecom, come lo abbiamo conosciuto fino ad ora, potrebbe cominciare a cambiare: assisteremo ad un maggiore e marcato consolidamento nel settore delle reti, con un ritorno al quasi-monopolio in talune zone, mentre nuovi attori potrebbero entrare nel mercato retail, in particolare i produttori di contenuti o i fornitori di servizi a valore aggiunto, che potrebbero offrire connettività in bundle con i loro servizi.

Per la prima volta telco, da un lato, e content/service provider, potrebbero sperimentare quelle fusioni che invece in passato si sono spesso risolte in disastri. Se si realizzasse effettivamente, questo scenario sarebbe foriero di nuove implicazioni antitrust e regolatorie, pertanto le rispettive autorità di controllo dovrebbero cominciare fin d’ora a tenerne d’occhio gli sviluppi.

Separazione delle reti e 5G

Il business della separazione delle reti telecom potrebbe assumere rilevanza anche nel percorso del 5G. Per quanto gli operatori mobili siano conservatori nel difendere il modello verticalmente integrato, è evidente che gli altissimi costi di investimento richiesti per il roll-out del 5G potrebbero rendere conveniente l’opzione di una rete unica e non verticalmente integrata (ed aperta a tutti i fornitori di servizi).

Un’idea del genere era già circolata tempo addietro negli Stati Uniti con un memorandum interno dell’amministrazione Trump, in cui si considerava l’opzione della rete unica per tenere testa ai cinesi nella corsa per il 5G. Il documento fu smentito dopo le proteste degli operatori USA, ma rifletteva comunque reali discussioni strategiche all’interno dell’amministrazione americana. Certo, difficilmente una rete 5G unica ed aperta potrà mai essere imposta dall’alto con atto d’imperio, ma qualche governo potrebbe comune provare ad incentivarla. Anche se gli operatori mobili tendessero ad osteggiarla, non potranno mai negare l’evidenza che l’installazione di una pluralità di reti in 5G è ipotesi irrealistica. D’altra parte, alcuni di loro stanno già pensando al network-sharing (vi sono notizie in tal senso in Italia circa TIM e Vodafone) proprio per ridurre i costi.

Nuovo Codice europeo e separazione TIM

In Italia il tema della separazione delle rete TIM è stato evocato frequentemente negli ultimi tempi, con fasi di accelerazione che si alternano a momenti di stallo. Qualora il progetto vada avanti, non sarà però condizionato dal solo tema, trito e ritrito, del “guiderdone” regolatorio, anche tenendo conto del fatto che, finché l’eventuale rete separata restasse sotto il controllo di TIM, non sarebbero applicabili i benefici regolamentari potenzialmente previsti dal nuovo Codice europeo per gli operatori non verticalmente integrati.

Altre considerazioni potranno influenzare le possibili opzioni sul tavolo, tenendo conto delle esperienze europee illustrate: innanzitutto, se occorra considerare un nuovo modello di business per le reti telecom, come sta accadendo in Cechia e Danimarca, da considerarsi come utility e come asset indipendenti rispetto ai mercati retail; inoltre, se il settore della connettività retail debba maggioremente aprirsi alle sinergie con gli operatori di contenuti (tipo Vivendi, Mediaset, SKY ed altri) o di servizi a valore aggiunto (gli amici-nemici OTT) dando luogo ad un forte processo di convergenza. In tutti i casi appena ipotizzati entreremmo in scenari di mercato completamente nuovi, che richiederanno attenta valutazione da parte di AGCOM ed AGCM.

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