La tv non salverà la banda ultra larga

Negli USA il video-streaming occupa gran parte delle attività di download. In Italia questo tipo di intrattenimento può quindi contribuire a far decollare la banda larga e ultralarga; ma con difficoltà. D’altra parte le TV troveranno difficoltà ad investire in nuove infrastrutture a causa di un implacabile e inarrestabile declino della pubblicità; la quale, per altro, in Italia, è frammentata in una miriade di televisioni

Pubblicato il 26 Lug 2016

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La causa della bassa penetrazione della banda larga in Italia presenta un importante circolo vizioso, che si può rappresentare, magari un po’ semplicisticamente, così : “In Italia la domanda di larga banda è bassa, perché non vi sono strutture adeguate. E (gli operatori rispondono che) non vi sono strutture adeguate perché la domanda è bassa”.

Di investimenti, a dire il vero, se ne stanno facendo; ma sono sicuramente in ritardo, e stenteranno a metterci al passo con il resto d’Europa. E comunque la domanda, soprattutto di banda ultralarga, in Italia è molto bassa.

In molti altri paesi un forte impulso all’uso di banda larga e ultra larga è stato dato dalla “TV online”, mentre in Italia questo tipo di TV è arrivata in ritardo; anche perché il nostro paese, a differenza della maggior parte dei paesi europei, non ha goduto dell’esistenza delle TV via cavo; precursori della TV online; che, però, finalmente, è arrivata anche da noi a fine 2015.

Ebbene, potrà la TV online facilitare lo sviluppo della larga banda in Italia, come ha fatto in altri paesi?

In linea generale si, visto che, ad esempio Netflix occupa il 37% elle attività di “download” negli USA. Quindi, sicuramente, una maggior penetrazione della TV online può aumentare la penetrazione e lo sviluppo della larga banda.

Il problema è (come al solito) relativo a chi, in Italia, ci metterà i soldi; chi farà investimenti per convogliare sempre più l’intrattenimento televisivo sulla rete Internet.

Purtroppo, in Italia, (ma non solo in Italia) lo stesso settore televisivo, per lo meno quello tradizionale, non viaggia in bellissime acque; e quindi non possiamo aspettarci da esso grandi investimenti strutturali. E questo per un certo numero di peccati originali, che rendono le previsioni, per il futuro della tv, confuse.

La tv assorbe gran parte delle risorse pubblicitarie, dappertutto nel mondo, togliendole alla carta stampata e agli altri mezzi. L’Italia però è in caso limite: nel nostro paese finisce in spot più della metà degli investimenti pubblicitari (per la precisione: il 57 per cento), contro il 23 per cento della Germania, il 33,5 della Gran Bretagna, il 34,5 della Francia, il 38 degli Stati Uniti, il 41 della Spagna (fonte Zenith Media-The Economist).

Ma la cattiva notizia è che la componente pubblicitaria che rappresenta la fonte di ricavo prevalente per le TV, manifesta particolare sofferenza; in tutto il mondo. I ricavi dei diversi settori, infatti, mostrano una continua riduzione a causa della pesante migrazione verso Internet; e ciò, non solo per le sempre maggiori ore che gli utenti passano a navigare, ma anche a causa dell’aumentare della pirateria, e per il maggior tempo dedicato dagli utenti ai videogame, ai social; e tolto alla TV.

Secondo il Washington Post l’investimento pubblicitario nella televisione diminuirà del 3% ogni anno, fino al 2020. Mentre quello sul web continuerà ad aumentare. Negli USA, ad esempio, il 2017 sarà l’anno in cui negli Stati Uniti i ricavi dell’advertising sul web, guidato da Google e Facebook, sorpasserà quello televisivo.

La maggior parte degli utenti persi si inserisce nella fascia d’età 18-24, sempre più smartphone-centrici. I giovani hanno incrementato l’uso degli strumenti digitali del 170%, tra il 2009 e il 2014, mentre la visione della tv tradizionale negli stessi anni è scesa del 21%. Persone in età più avanzata, invece, mantengono l’abitudine di sedersi sul divano davanti al piccolo schermo, anche se aumenta il consumo di media digitali. “Non è solo una questione d’età, scrivono gli analisti, sta aumentando il digital gap tra ricchi e poveri, e tra persone istruite e non”.

L’Italia ha poi un altro peccato originale; dovuto al grande numero di televisioni che si spartiscono la torta pubblicitaria. I canali televisivi italiani sono tantissimi: 640, secondo la Frt, l’associazione delle imprese radio-televisive. Tanti quanti sono i canali che operano (ma con risorse ben maggiori) in tutti gli Stati Uniti. Nel mondo i canali via etere sono circa 2.500; dunque l’Italia, da sola, ospita più di un quinto delle tv mondiali. Molte di queste TV sono locali e forniscono un totale di più di 1200 programmi. E’ molto probabile che sia difficile per le TV online appropriarsi di questo tipo di utenti; soprattutto nel breve-medio termine. E poi, la diluizione di investimenti pubblicitari non aiuta sicuramente la disponibilità per costruire infrastrutture atte a distribuire i contenuti su rete.

Siamo quindi di fronte ad un forte indebolimento di ricavi per tutto il comparto televisivo tradizionale, soprattutto quello gratuito; (ma anche la pay tv non ha molto da stare allegra). Quindi, come detto prima, non possiamo aspettarci , nell’immediato, la disponibilità a grandi investimenti strutturali da questo settore.

La stessa Netflix, che dichiara oggi 75 milioni di abbonati (44,7 negli USA) , in Italia pare che abbia risultati ancora insoddisfacenti: meno di 300.000 abbonati (100.000 paganti). Con un fatto però positivo: pare che la venuta di Netflix abbia “svegliato”tutto il settore dello streaming video via web italiano, che ha triplicato in pochi mesi il numero di abbonati. Che sono comunque pochi: sotto il milione.

Un altro fatto positivo, però, è che gli stessi operatori di telecomunicazioni stiano guardando sempre di più al tema “intrattenimento” e non è escluso che un certo numero di alleanze e fusioni possano aiutare un decollo più sostenuto della TV online; e quindi delle infrastrutture. UE permettendo.

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